ROMA, domenica, 5 luglio 2009 (ZENIT.org).- Potrebbe sembrare alquanto strano accostare in un titolo un Pontefice della prima metà del XX secolo con una scienza tanto nuova quanto dibattuta ed attuale come la bioetica. Ad un primo sguardo potrebbe addirittura sembrare che l’unico punto in comune sia proprio il dibattito che, per motivi ed interessi molto lontani, si sviluppa attorno a Pio XII da un lato ed alla bioetica dall’altro.
La fine del XIX secolo e la prima metà del secolo successivo hanno visto un’accelerazione del progresso scientifico e tecnico, accelerazione che dura ancora ai nostri giorni assumendo la connotazione di una vera e propria Terza Cultura. Questa profonda modificazione del mondo scientifico ha causato (o, quantomeno, è stata una delle concause principali) una sorta di crisi del sapere medico: l’etica medica “classica” si è in qualche maniera rivelata impreparata a rispondere alle nuove sfide rese possibili dal progresso tecnologico. Si è dunque resa necessaria una profonda revisione dell’orizzonte etico di riferimento per l’agire medico, revisione che ha assunto addirittura la connotazione di scienza in ciò che oggi chiamiamo bioetica.
In questo background storico e culturale si situano i circa 100 interventi che Pio XII dedica al mondo degli operatori sanitari. È utile annotare che il rapporto tra Pio XII e la bioetica (o ciò che noi oggi chiamiamo bioetica) è almeno duplice. Da una parte, infatti, i temi che il Papa tratta rientrano a pieno diritto tra le tematiche “classiche” di questa disciplina.
Ma non è soltanto perché Pio XII parla di temi come aborto ed eutanasia che si può fare questo accostamento: è evidente, infatti, il tentativo del Papa di utilizzare un metodo nuovo nell’approcciare queste tematiche, un metodo che, pur comprendendole, si distacca dalle singole discipline della Teologia Morale (anche nella sua declinazione dell’etica medica), della Dottrina Sociale della Chiesa, del Diritto e della stessa Scienza positiva.
E’ evidente che Pio XII, pur senza aver mai utilizzato il termine, abbia in qualche maniera fatto bioetica o, che è lo stesso, abbia contribuito a creare quella sensibilità che qualche lustro più tardi avrebbe reso necessaria la nascita della “nuova scienza”.
La crisi della medicina/etica ippocratica è ormai talmente radicata nel nostro parlare da essere diventata quasi proverbiale. Potrebbe essere utile, però, verificare un po’ più da vicino questo assioma e, contemporaneamente, vederne qualche addentellato.
Non è evidentemente compito di questo articolo affrontare in dettaglio i passi che la medicina ha compiuto durante XX secolo. Ma anche solo un rapido sguardo ci consente di apprezzare meglio quell’accelerazione di cui abbiamo parlato poco sopra. Conquiste che a noi paiono talmente assodate da risalire, per così dire, alla “notte dei tempi”, a ben vedere hanno una storia abbastanza recente.
È del 1902, ad esempio, l’ipotesi dell’esistenza dei geni: Sutton congettura, infatti, che l’ereditarietà, le cui leggi erano state poste qualche decennio prima da Mendel, sia legata ai cromosomi ed in particolare a “sezioni” vettrici dei caratteri ereditari. È da ricordare, in questa sede, che soltanto nel 1954 Watson e Crick invieranno alla rivista Nature il loro articolo con la descrizione della struttura del DNA.
L’anno successivo, nel 1955, Einthoven metterà a punto il primo elettrocardiografo. Sempre nel campo della diagnostica è da segnalare che l’antenata della tomografia nasce nel 1921 ad opera di Bocage e Vallebona. Nel 1946 viene scoperto il procedimento per la risonanza magnetica nucleare. È degli anni ’50 la nascita di una nuova tecnica di diagnostica per immagini: l’ecografia.
Anche gli studi sul sangue e le sue dinamiche risalgono al primo quinto del XX secolo: nel 1907 viene effettuata la prima trasfusione di sangue, mentre è del 1913 l’invenzione del primo rene artificiale.
Per quanto riguarda, poi, la chirurgia, anche in questo campo dobbiamo annotare enormi passi avanti. Oltre alle scoperte relative alle tecniche della sepsi chirurgica ed alla loro importanza, ed al perfezionamento dei farmaci anestetici, è la stessa arte chirurgica che subisce una notevole accelerazione.
Per quanto concerne, poi, il progresso della terapia chimica, annotiamo che è “solo” nel 1921 che Banting e Best riescono ad estrarre insulina attiva dal pancreas di cane. Ma la scoperta scientifica che più ha segnato il progresso della medicina è certamente quella ascritta a Sir Fleming che, nel 1928, intuisce che nel Penicilum notatum, un particolare tipo di muffa, vi siano sostanze antibiotiche: nasce la cosiddetta “era antibiotica”.
Non si può dimenticare che la prima metà del ‘900 ha visto nascere e svilupparsi una nuova scienza: la psicanalisi. Il termine (e la metodologia scientifica stessa) venne coniato alla fine dell’800 da Sigmund Freud, e nel giro di pochi anni venne adottato e tradotto in tutte le principali lingue.
Questa diffusione non fu soltanto semantica: nel 1939, anno in cui Freud morì, le teorie freudiane erano ampiamente diffuse. Non spetta a queste pagine tracciare una storia completa della psicanalisi, ma forse è interessante annotare due particolarità. La prima è che la nascita della nuova scienza avvenne in maniera tutt’altro che tranquilla e condivisa.
Nell’arco di pochi decenni i primi collaboratori di Freud diedero vita a numerose altre scuole di pensiero, dissentendo anche in maniera sostanziale rispetto ad alcuni presupposto delle teorie freudiane. La seconda particolarità è che la Chiesa, proprio con Pio XII, assunse una posizione critica quantomeno nei confronti dei presupposti teorici della psicanalisi.
Un’ultima annotazione riguarda alcune nuove strutture di cui il corpo medico sente la necessità di dotarsi.
Il fermento scientifico del quale ho dato una breve traccia, avviene in un orizzonte di riferimento etico abbastanza chiaro: si tratta dell’etica ippocratica. Il fatto di poter dare un nome al contesto valoriale non significa che questo contesto sia per sé condiviso ed accettato.
Anzi, proprio nel periodo che stiamo analizzando, vi sono fortissime tensioni. E ancora: il fatto di potersi riferire ad un giuramento di carattere “medico” non limita il discorso alla sola scienza/arte medica, anche se, per il tema che mi è stato affidato, a questa mi riferirò.
È dunque possibile tracciare, seppur brevemente, le coordinate fondamentali dell’etica ippocratica o, comunque, di quello che ho chiamato “orizzonte etico di riferimento”? Ritengo che si possa sintetizzare l’etica ippocratica in un unico imperativo morale: “non causare danno”.
L’idea stessa è presente nel giuramento: “Sceglierò il regime per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, e mi asterrò dal recar danno e offesa”. Le restanti indicazioni del documento altro non sono se non declinazioni di questo principio universale, ivi inclusi i divieti di aborto e di eutanasia.
La storia del ‘900 ci ha insegnato (post facta) che un grosso nodo, forse non ancora del tutto sciolto a tutt’oggi, è quello del conflitto tra l’interesse di uno contro l’interesse di molti. Se l’etica ippocratica si poteva “concentrare”, per così dire, sul benessere del paziente, le possibilità tecnologiche ed il panorama filosofico culturale della fine ‘800 e degli inizi del ‘900 fanno sì che ci si ponga il quesito: è lecito sacrificare il benessere di uno (o di pochi) per il benessere di molti? Si ha eco della portata di questo dilemma nel documento finale del processo di Norimberga. Regolando la sperimentazione, infatti, questo “decalogo” indica come primo punto che uno degli elementi che non possono mancare (pena l’illiceità stessa dell’esper imento) è la libera accettazione del paziente.
A scanso di equivoci, vorrei sottolineare che non è solo il progresso tecnologico a favorire questo tipo di atteggiamento “anti-ippocratico”. Più fattori, infatti, intervengono e si influenzano a vicenda. Vorrei, in questa sede, nominarne alcuni e tentare di fornire una sintesi semantica.
Innanzitutto va riscontrata una mutazione nella concezione dell’uomo.
Il passo successivo all’appiattimento antropologico è l’appiattimento etico.
Questo offuscamento antropologico ed etico ha come conseguenza per il nostro discorso il far coincidere il malato con la sua malattia, per cui, ad esempio, “debellare la sindrome di Down” (fine di per sé buono) consiste nello stanare il più alto numero possibile di downiani ed abortirli.
Non va, poi, dimenticato il fattore filosofico-politico che, soprattutto negli anni in esame, era ben presente.
Un altro fattore decisivo è il tentativo di eliminare l’orizzonte trascendente dalla vita dell’uomo.
Accanto alle divinità di Scienza e Stato, soprattutto nella seconda metà del ‘900, si aggiunge quella di Gaia, la Dea Terra.
Gli ingredienti antropologici, filosofico-culturali, sociali e politici che ho appena delineato potrebbero essere raccolti sotto molte denominazioni. C’è chi parla di “post-modernità”, chi di “decadenza”, chi semplicemente attende i tempora bona. Mi permetto di inserire una mia personale proposta di nomenclatura. I fattori analizzati, applicati al campo medico-scientifico, assumono la connotazione dell’eugenismo. E anche su questa tematica, vedremo, il nostro Pio XII ha dato un’importante indicazione.
Per chi ne volesse saperne di più, consigliamo il libro “Pio XII e la Bioetica” di Leonardo M. Macrobio
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*Leonardo M. Macrobio insegna alla Facoltà di Bioetica dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum