La spina nella carne della vita

XIV Domenica del Tempo Ordinario, 5 luglio 2009

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di padre Angelo del Favero* 

ROMA, venerdì, 3 luglio 2009 (ZENIT.org).- “Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: “Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? (…) Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando” (Mc 6,1-6).

Il testo di Luca parallelo a questo, dopo una prima reazione cittadina favorevole a Gesù, ci informa di un finale drammatico: “All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino” (Lc 4,28-30).

Cosa aveva detto Gesù per scatenare una simile reazione? Consapevole di essere stato preceduto dalla fama di taumaturgo, egli non intendeva soddisfare attese sensazionalistiche, totalmente contrarie al suo messaggio spirituale, perciò, data l’incomprensione avuta, si era detto pronto a rivolgersi oltre i confini di Israele, come avevano fatto prima di lui i profeti Elia ed Eliseo. Spiega la Nuova Bibbia per la Famiglia: “A Nazaret appena Gesù dice “Io sono il Messia”, tutti sono contenti, ma quando poi spiega che Messia non significa guaritore privato, tutto per loro, allora lo cacciano via, prima ancora che riesca a fare un solo miracolo. Gesù non è solo il Salvatore di Israele, ma la luce che illumina ogni uomo; nessuno lo può tenere solo per sé, la sua opera di salvezza supera ogni confine (N.T., vol. 1, p.150).

La violenta reazione dei concittadini del Signore è un esempio di quell’intolleranza che sta alla base di ogni atteggiamento ideologico, purtroppo comune anche fra i discepoli di Colui che ha raccomandato: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore” (Mt 11,29). Più o meno esplicitamente tale atteggiamento è questo: “se sei dei nostri, vieni; ma se non la pensi come noi, qui non c’è posto per te”. E’ lo scandalo della divisione dei credenti, oltremodo doloroso se si considera che quasi sempre, dall’una e dall’altra parte, è testimoniata un’esemplare generosità a servizio del Vangelo, mentre è chiaro che la conseguente dispersione delle già deboli forze, gioca pesantemente a favore del suo diabolico avversario.

Nella difesa e promozione della vita, a tal riguardo, sono verissime queste parole del Papa: “Di fatto se oggi possiamo osservare una mobilitazione delle forze per la difesa della vita umana in diversi “movimenti per la vita”, mobilitazione che è incoraggiante e fa sperare, dobbiamo tuttavia riconoscere francamente che finora più forte è il movimento contrario: l’estensione di legislazioni e di pratiche che distruggono volontariamente la vita umana, soprattutto la vita dei più deboli: dei bambini non nati” (in: J. Ratzinger/Benedetto XVI, “L’elogio della coscienza, la verità interroga il cuore”, p. 38). Il movimento contrario sarebbe meno forte se le forze che si mobilitano per la difesa della vita agissero in piena comunione tra loro!

Ma torniamo al Vangelo. Il finale di Luca ci lascia perplessi: scampato dalla furia omicida dei suoi concittadini, come se nulla fosse Gesù “passando in mezzo a loro, si mise in cammino” (Lc 4,30). Dice passando in mezzo a loro e non, come sarebbe più logico, allontanandosi da loro. Sembra quasi che Gesù decida di restare in mezzo a loro, accettando il rischio di esporsi a rinnovate minacce e contestazioni, anche a costo della propria vita. In effetti è proprio così, perchè il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi fino alla fine del mondo, anche se noi continuiamo a rifiutarlo, a tendergli insidie mortali, a crocifiggerlo.

Luca descrive questo volontario cammino di autoconsegna del Signore, nella parabola del buon Samaritano: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono lasciandolo mezzo morto. (…) un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino…” (Lc 10,30s).

Gesù è il Samaritano che soccorre e salva l’uomo abbattuto dal Male, e nello stesso tempo è la vittima d’ogni violenza, poichè: “…lo avete fatto a me” (Mt 25,40). Il comando finale della parabola (“va’ e anche tu fa’ così”- Lc 10,37), non riguarda, però, solo il singolo che è tenuto ad imitare l’esempio generoso del Samaritano, ma interpella i numerosi credenti ad agire “in equipe”,..come medici ed infermieri in un Pronto Soccorso. Infatti la compassione di colui che si fermò sarebbe stata vana se non avesse avuto a disposizione le bende, l’olio e il vino per medicare il ferito; se poi non avesse potuto caricarlo sulla sua cavalcatura; e infine se non avesse trovato un albergo nelle vicinanze con un albergatore disponibile a prendersi ulteriormente cura di lui.

Come attualizziamo tutto questo? La vittima sulla strada è l’uomo di oggi, e i briganti sono “i potenti, ..con la complicità degli Stati,.. che impiegano.. mezzi colossali contro le persone, all’alba della loro vita, oppure quando la loro vita è resa vulnerabile da un incidente o da una malattia e quando essa è prossima a spegnersi” (Benedetto XVI, id., p. 38).

Anzitutto, dunque, l’uomo che ha appena iniziato il viaggio della vita nel grembo: si è avviato nel cammino di discesa lungo la tuba uterina (ignaro dell’agguato mortale degli anti-nidatori come la RU 486, il Cytotec e simili); o è già entrato da qualche settimana o mese nella sua casa uterina (in lista di distruzione ad opera dalla ruspa di Karman, o di altri micidiali interventi del medico).

Quest’uomo esemplare è Gesù, colui che Pilato indicò alla folla di tutti i tempi e di tutti i luoghi: “Ecco l’uomo!” (Gv 19,5). Ed è quel “Figlio dell’uomo che incontriamo oggi nella prima Lettura (Ez 2,2-5), una definizione che anzitutto identifica l’essere umano nel suo biologico concepimento genitoriale. “L’espressione “figlio dell’uomo” è caratteristica di Ezechiele, ed indica l’uomo nella sua dimensione di fragilità e mortalità, sottolineando la distanza e il contrasto con la potenza di Dio” (Bibbia “Via, Verità e Vita”, p. 1803).

C’è forse, lungo il cammino esistenziale dell’uomo da Gerusalemme a Gerico, un tempo in cui questa dimensione di fragilità e mortalità sia più evidente che nel bambino non nato? La sua è la debolezza assoluta di un soggetto umano non ancora cosciente, al quale tuttavia possiamo far pronunciare le parole che Paolo oggi proclama a nome di ogni più fragile creatura umana: “Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo” (2 Cor 12,9). Veramente la potenza di Dio ha scelto per manifestarsi il più debole dei deboli, il più povero dei poveri: l’uomo nell’istante di inizio, come annuncia l’Angelo a Maria: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra” (Lc 1,35).

Quella di Paolo è una testimonianza misteriosa: “Fratelli, affinchè io non monti in superbia, è
stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia”
(2Cor 12,7). Questa spina ignota è una prova permessa da Dio per tenere a bada la superbia naturale dell’apostolo, e richiama il capo di Gesù, coronato di spine nella carne della testa come un re da burla nel pretorio di Pilato.

Potrebbe trattarsi degli avversari interni alle stesse comunità fondate da Paolo, quindi delle divisioni che ostacolano l’annuncio del Vangelo che egli dichiara (non senza legittimo vanto) di avere imparato non da uomini, “ma per rivelazione di Gesù Cristo” (Gal 1,11-12). Con una simile affermazione, Paolo non si appropria superbamente del Vangelo, ma ne difende appassionatamente la verità da autentico “servitore di Cristo”, da Cristo stesso costituito davanti a tutti sulla via di Damasco.

Analogamente, riprendendo la citazione iniziale di Benedetto XVI sui diversi Movimenti per la vita, nessuno di questi può impossessarsi del Vangelo della Vita, rivendicando le proprie convinzioni alla maniera di Paolo: in tal modo si opera come una spina nella carne della vita, a vantaggio e soddisfazione di colui che ne è il più temibile avversario, Satana.

Merita qui tutta la nostra attenzione, infatti, l’esplicita attribuzione a Satana che Paolo fa della sua spina umiliante. Citando questo passo, il Predicatore della Casa Pontificia osservava qualche anno fa alla presenza di Giovanni Paolo II: “Dio fa servire l’azione del demonio alla purificazione e all’umiltà dei suoi eletti. Un canto spiritual negro lo dice in tono leggero, ma teologicamente perfetto: “Il vecchio Satana è matto, è cattivo. Ha sparato un colpo per uccidere la mia anima. Ma ha sbagliato mira e ha colpito il mio peccato”. Ma ora tutto questo è finito. Il silenzio è calato su Satana; la lotta è diventata contro “la carne e il sangue”, cioè contro mali alla portata dell’uomo. L’inventore della demitizzazione ha scritto: “Non si può usare la luce elettrica e la radio, non si può ricorrere in caso di malattia a mezzi medici e clinici e al tempo stesso credere al mondo degli spiriti”. Nessuno è stato mai così contento di essere demitizzato come il demonio, se è vero – come è stato detto – che “la sua più grande astuzia è far credere che egli non esiste”.(…) Ci si lascia impressionare da quello che pensano, dell’esistenza del demonio, gli uomini di cultura “laici”, come se vi fosse una base comune di dialogo con loro. Non si tiene conto che una cultura che si dichiara atea non può credere all’esistenza del demonio. (…)

Quando Paolo VI osò ricordare ai cristiani la “verità cattolica” che il demonio esiste (“Il male – disse in un’occasione – non è soltanto una deficienza, ma un’efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore. Terribile realtà, misteriosa e paurosa”), una parte della cultura reagì stracciandosi le vesti scandalizzata. Perfino molti credenti e alcuni teologi si lasciano intimidire: “Sì, ma potrebbe, effettivamente, bastare l’ipotesi simbolica, la spiegazione mitica, o quella psicanalitica…”.

Detto questo, possiamo e dobbiamo anche ridimensionare il demonio. Nessuno è pronto a farlo più del credente. Satana non ha nel cristianesimo, un’importanza pari e contraria a quella di Cristo. Dio e il demonio non sono due principi paralleli, eterni e indipendenti tra di loro, come in certe religioni dualistiche. Per la Bibbia, il demonio non è che una creatura di Dio “andata a male”; tutto ciò che esso è di positivo viene da Dio, solo che egli lo corrompe e lo svia, usandolo contro di Lui. Abbiamo con ciò spiegato tutto? No. L’esistenza del Maligno rimane un mistero come è quella del male in genere, ma non è l’unico mistero della vita..” (P. R. Cantalamessa, Omelia alla celebrazione della Passione, 13 aprile 2004).

Il mistero della vita non è un mistero, ma una Persona: il Signore Gesù risorto e vivo in mezzo a noi, e che vive in noi con la sua stessa Vita divina.

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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