ROMA, giovedì, 2 luglio 2009 (ZENIT.org).- Lunedì, 29 giugno 2009, festa solenne dei santi Pietro e Paolo, Benedetto XVI ha firmato la sua terza enciclica, la prima del suo Magistero sociale.
Lo scorso 13 giugno, durante l’udienza concessa ai soci e ai corsisti della Fondazione «Centesimus Annus», il Papa aveva sostenuto la necessità di ripensare i «paradigmi economico-finanziari dominanti negli ultimi anni». Secondo il pontefice, proprio «la crisi finanziaria ed economica che ha colpito i Paesi industrializzati, quelli emergenti e quelli in via di sviluppo, mostra in modo evidente come siano da ripensare certi paradigmi economico-finanziari che sono stati dominanti negli ultimi anni».
Il pontefice, parlando di economia di mercato, cita un passaggio decisivo della Centesimus annus del 1991, ritenendo che «la libertà nel settore dell’economia deve inquadrarsi in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale, una libertà responsabile il cui centro è etico e religioso». A questo punto del discorso, il Papa ricorda ai presenti l’imminente pubblicazione dell’Enciclica dedicata all’economia, al lavoro e allo sviluppo: la Caritas in veritate. L’enciclica sociale sullo sviluppo che nelle intenzioni del Pontefice celebra ed aggiorna la Populorum progressio (1967) di Paolo VI. È stata proprio l’enciclica di Paolo VI ad insistere, oltre che sull’apprezzamento della cultura e della civiltà tecnica che contribuiscono alla liberazione dell’uomo, anche sul “dovere gravissimo”, che incombe sulle Nazioni più sviluppate, di “aiutare i Paesi in via di sviluppo”.
Con riferimento all’enciclica firmata oggi (ieri n.d.r.), Benedetto XVI disse ai soci e ai corsisti della Fondazione Centesimus Annus: «Come sapete, verrà prossimamente pubblicata la mia Enciclica dedicata proprio al vasto tema dell’economia e del lavoro: in essa verranno posti in evidenza quelli che per noi cristiani sono gli obbiettivi da perseguire e i valori da promuovere e difendere instancabilmente, al fine di realizzare una convivenza umana veramente libera e solidale». Nell’occasione, Benedetto XVI cita un passaggio della «Centesimus Annus»: «Come la persona realizza pienamente se stessa nel libero dono di sé, così la proprietà si giustifica moralmente nel creare, nei modi e nei tempi dovuti, occasioni di lavoro e crescita umana per tutti».
Mercato, proprietà, impresa, profitto, lavoro assumono un significato cristianamente consistente nella misura in cui il centro è Cristo; Cristo redentore che, rivelando Dio all’uomo, rivela l’uomo all’uomo. Il mercato dunque può assumere i caratteri cristiani della “relazionalità”, la proprietà assume la cifra della “responsabilità”, con il lavoro l’uomo – creato ad immagine e somiglianza del Padre-Creatore – “soggettivamente” partecipa in un certo senso all’“opera creatrice” del Padre-Creatore, l’impresa è la “comunità” di lavoro nella quale sperimenta il suo profondo legame con l’umanità intera ed il profitto è uno dei tanti (ma indispensabile) “parametri” per misurare la corretta (responsabile) allocazione dei beni della terra.
Al centro della riflessione della Caritas in veritate troviamo la questione dello sviluppo integrale della persona, ricordiamo quanto riconosciuto e proposto da Giovanni Paolo II e ripreso dallo stesso Benedetto XVI durante l’udienza del 13 giugno: «un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia».
Il senso di queste affermazioni, confermate e rafforzate da Benedetto XVI, incontra un caposaldo della tradizione dell’“economia sociale di mercato”: le attività economiche, al pari di qualsiasi altra dimensione dell’agire umano, non si realizzano mai in un vuoto morale o in un mondo virtuale, ma all’interno di un determinato contesto culturale, le cui matrici possono essere riconosciute e apprezzate ovvero trascurate e disprezzate. In questa prospettiva, una sana “economia di mercato”, “economia d’impresa”, “economia libera” – ovvero un capitalismo rettamente inteso – sono sempre limitate da un ordine giuridico che le regola e da istituzioni morali, come ad esempio la famiglia e la pluralità dei corpi intermedi che, nel rispetto del principio di sussidiarietà orizzontale, interagiscono con esse e le influenzano, essendone esse stesse influenzate.
L’economia di mercato è sempre plasmata dalla cultura nella quale essa vive, e a sua volta, è influenzata dalle azioni e dalle abitudini quotidiane di coloro che la pongono in essere, poiché le azioni dei singoli influenzano la qualità della vita all’interno della società. È questo il “personalismo metodologico” che ha pervaso il Magistero sociale di Wojtyla e che continuerà a plasmare la cura pastorale di Benedetto XVI anche in ambito socio-economico.
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* Flavio Felice è docente di Dottrine economiche e politiche alla Pontificia Università Lateranense e di Filosofia dell’Impresa alla LUISS Guido Carli di Roma. Direttore della Fondazione Novae Terrae e presidente del Centro Studi Tocqueville-Acton è autore di “Appunti di dottrina sociale della Chiesa”, insieme a P. Asolan (Rubbettino 2008) e di “L’economia sociale di mercato” (Rubbettino 2008).
[L’articolo in questione è stato pubblicato anche dal sito del Centro Tocqueville-Acton al link: www.cattolici-liberali.com/pubblicazioni/OpinionieCommenti/2009/NuovaEnciclica.aspx]