di Carmen Elena Villa
CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 1° luglio 2009 (ZENIT.org).- Un’opera che riscatta la bellezza e l’armonia di alcuni gioielli della storia dell’arte. Così Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, ha definito i lavori di restauro della Cappella Paolina.
La Cappella sarà inaugurata sabato prossimo da Benedetto XVI dopo sette anni di lavori.
Ubicata vicino alla Cappella Sistina, è riservata al Papa e alla famiglia pontificia. In genere vi rimane esposto il Santissimo Sacramento. Due affreschi di Michelangelo adornano le pareti laterali: La Crocifissione di San Pietro e La Caduta di Saulo.
La costruzione della Cappella Paolina iniziò nel 1537 sotto il mandato di Paolo III, diretta dall’architetto Antonio da Sangallo. Vi spiccano anche alcuni affreschi di Federico Zuccari e Lorenzo Sabatini relativi alla vita di San Pietro e San Paolo.
“Michelangelo è coprotagonista di un insieme abitato da molte voci, un insieme che i secoli hanno omologato nella percezione visiva”, ha affermato Antonio Paolucci durante una conferenza stampa svoltasi questo martedì mattina nel Palazzo Apostolico, nel corso della quale sono stati presentati i lavori di restauro della Cappella.
“Anche perché Lorenzo Sabatini e Federico Zuccari, i principali autori chiamati a confrontarsi con Michelangelo, hanno cercato nei loro affreschi di tenersi sottotono, scegliendo di apparire non competitivi e anzi per quanto possibile mimetici rispetto ai capolavori del venerato maestro”.
Sette anni di restauro
Il direttore dei Musei Vaticani ha condiviso con i giornalisti l’iter del processo di restauro: “Abbiamo cominciato da tutto quello che non è Michelangelo, e quindi dagli affreschi del Sabatini e dello Zuccari e dai decori bianchi policromi e dorati”.
“Volevamo che il livello della pulitura, lasciata per ultima, dei due murali di Michelangelo non contrastasse col timbro luminoso e cromatico dell’insieme. Recuperata dunque la gamma coloristica dell’intera Cappella, (…) abbiamo modulato la pulitura della Caduta di Saulo e della Crocifissione di San Pietro”, ha indicato Paolucci.
Il direttore dei Musei Vaticani ha ricordato lo sforzo di Michelangelo nel dipingere quegli affreschi, i cui risultati si possono apprezzare anche dopo tanti secoli: “Lavorò nella Paolina con faticosa pazienza per poco meno di dieci anni, dipingendo prima la Caduta e poi la Crocifissione. Aveva ormai settant’anni ed era in cattive condizioni di salute”.
“Era uscito spossato dall’immane fatica del Giudizio, lo preoccupava il progetto della cupola di San Pietro, intorno a lui vedeva sparire il suo mondo. Nel 1547 moriva la poetessa Vittoria Colonna, l’amica e la confidente degli anni tardi, due anni dopo veniva a mancare Paolo III Farnese, il ‘suo’ Papa”.
Nel 1550 Michelangelo concluse il lavoro nella Cappella Paolina. Paolucci ha sottolineato le principali caratteristiche pittoriche dei suoi due capolavori: “La gamma cromatica e la saldezza plastica delle figure sono ancora quelle del Giudizio, ma ancora più forti vi appaiono la tensione drammatica e l’oltranza espressionistica”.
Allo stesso modo, ha espresso il proprio apprezzamento per l’opera, osservando che “si ha l’impressione che il mistero della Grazia misteriosamente offerta a un’umanità immeritevole angosci l’anima dell’artista che vive e testimonia, da cristiano, la crisi religiosa della sua epoca lacerata dalla Riforma”.
“Gli affreschi di Michelangelo sono arrivati a noi consumati e logorati in più punti, coperti da una scura camicia di sporco, di ravvivanti alterati, di incongrui ritocchi”, ha ricordato il direttore dei Musei Vaticani.
“La pulitura e le minime integrazioni condotte da Maurizio De Luca e da Maria Pustka li hanno restituiti non già ‘all’originario splendore’ come scrivono alcuni giornalisti, ma al meglio oggi possibile della leggibilità, della godibilità. Che è tutto quello che si deve chiedere a un buon restauro. Niente di più e niente di meno”, ha concluso Paolucci.