Salvatori dell'Olocausto: un dovere morale

Testimonianza di Baruj Tenembaum

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NEW YORK, domenica, 28 giugno 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo un articolo di Baruj Tenembaum, fondatore della Fondazione Internazionale Raoul Wallenberg (www.raoulwallenberg.net), istituzione che ricerca e riconosce l’opera dei salvatori dell’Olocausto.

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Si parla e si scrive molto dell’Olocausto, il che è un bene perché permette di non dimenticare la tragedia e perché insegna alle nuove generazioni che solo ricordando il passato potremo evitare che la sua parte peggiore si ripeta. Ad ogni modo, in generale, quando ci riferiamo alla Shoah tendiamo ad associarla esclusivamente alle immagini delle vittime, ai campi di sterminio e alle esecuzioni di massa. In genere dimentichiamo il lato luminoso della disgrazia: quello di cui sono protagoniste decine di migliaia di persone che aiutarono molti ebrei e altri perseguitati dal nazismo a evitare una morte certa.

La Fondazione Raoul Wallenberg, una ONG creata in Argentina, ha la missione di promuovere, attraverso iniziative educative e di divulgazione di massa, le azioni dei salvatori dell’Olocausto che hanno avuto come basi etiche i valori della solidarietà e il coraggio civico.

<p>Non è tuttavia possibile trovare i salvatori se i salvati non raccontano la propria storia. E’ un ostacolo che ci troviamo davanti ripetutamente nell’organizzazione. Un esempio: di recente abbiamo localizzato dei sopravvissuti in Israele, Argentina, Ungheria e Francia. Malgrado i nostri sforzi, nessuno di loro ha voluto raccontare la storia dei propri salvatori perché, hanno detto, per loro era troppo doloroso.

Non potremo mai provare o capire il dolore di quanti hanno sperimentato sulla propria pelle episodi talmente estremi e atroci che spesso le circostanze delle peripezie vissute non sono state riferite neanche ai familiari più prossimi delle vittime.

Non è però un dovere delle persone che sono state salvate dalla morte durante l’Olocausto identificare chi ha teso loro una mano solidale, nonostante il trauma che i ricordi possono provocare? Le persone che sono riuscite a sopravvivere all’Olocausto grazie all’aiuto prestato da chi a volte ha rischiato la propria vita non dovrebbero sentire come un’esigenza imperativa il racconto dei fatti accaduti perché la storia si nutra di esempi di coraggio che possano servire come modello di condotta, nel presente e in futuro? I salvatori non hanno dovuto vincere un panico paralizzante quando agivano contro le norme applicate diligentemente dai nazisti e dai loro alleati, in qualche caso ancor più sanguinari dei diretti seguaci di Adolf Hitler?

Crediamo che la libertà di cui dispongono i sopravvissuti di parlare o tacere sia la libertà che hanno ottenuto grazie all’aiuto prestato da quanti li hanno salvati. Hanno il diritto di restare in silenzio? Non godono forse della facoltà di scegliere grazie alla persona che li ha salvati?

Pensiamo che i sopravvissuti che sono stati salvati abbiano il dovere morale di raccontare la propria storia prima che sia troppo tardi, malgrado la sofferenza che può provocare ricordare esperienze atroci che hanno avuto luogo quasi settant’anni fa.

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ZENIT Staff

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