Migrazioni e nuove schiavitù

ROMA, sabato, 27 giugno 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato dall’Arcivescovo Agostino Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale dei Migranti e degli Itineranti, intervenendo venerdì 19 giugno a Roma al Convegno del Consiglio Nazionale Forense sul tema “La difesa dei diritti umani e il ruolo della professione legale”.

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Il Rapporto del Segretario Generale delle Nazioni Uniti su Migrazioni e Sviluppo[1] del 2006 si apriva con una nota di ottimismo: “Fin dalla notte dei tempi, le migrazioni sono per l’uomo una maniera coraggiosa di manifestare la volontà di superare le avversità ed avere una vita migliore. Oggi, a motivo della globalizzazione e dei progressi ottenuti nel campo delle comunicazioni e dei trasporti, è considerevolmente aumentato il numero di persone che desiderano istallarsi in altre regioni e ne hanno i mezzi. Questa nuova era ha creato sfide e opportunità per le società del mondo intero” (n. 1). Come menzionai nel successivo “Global Forum per le Migrazioni e lo Sviluppo” di Bruxelles (luglio 2007), di conseguenza “i migranti contribuiscono al benessere del Paese ospitante e, in virtù della loro dignità umana, devono essere rispettati e le loro libertà garantite: diritto ad una vita degna e a un giusto trattamento nel lavoro, accesso all’istruzione, alla salute e ad altri benefici sociali, per crescere in competenza e svilupparsi umanamente, per manifestare liberamente la loro cultura e praticare la loro religione”[2].

Più avanti, comunque, il Rapporto del Segretario Generale dell’ONU riconosceva che le migrazioni non sono sempre state un’esperienza fruttuosa. Essa “si è evoluta anche in maniera meno positiva. Migranti di entrambi i sessi sono sempre più esposti allo sfruttamento e agli abusi inflitti da passeurs e trafficanti, a volte con la perdita della vita. Altri si trovano intrappolati dietro un muro di discriminazione, xenofobia e razzismo a seguito dell’aumento, in alcune società, delle tensioni culturali e religiose. La cooperazione internazionale può svolgere un ruolo cruciale nel proteggere gli individui contro questi mali” (n. 17). È quanto afferma anche l’Erga migrantes caritas Christi[3] (n. 5), la nostra Istruzione approvata da Papa Giovanni Paolo II il 1° Maggio 2004, che vi invito a leggere. Potrete trovarla sulla nostra pagina web (www.vatican.va,  Roman Curia, Pontifical Councils Pastoral Care of Migrants and Itinerant People General Documents …).

Per avere un’idea della dimensione del fenomeno migratorio mondiale, basti dire che i migranti internazionali sono più o meno 200 milioni.

D’altro lato, le persone di cui si preoccupa l’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati)[4] ammontano a circa 32.9 milioni. Di questi, 9.9 milioni sono rifugiati, 12.8 milioni sono sfollati interni che ricevono assistenza umanitaria sia specifica sia attraverso altri interventi in cui l’UNHCR è agenzia leader o partner, e 5.8 milioni risultano apolidi, il che naturalmente esclude coloro che sono anche rifugiati e in cerca d’asilo.

Altri 4.2 milioni di rifugiati ricadono sotto l’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente).

Per venire più specificamente al nostro tema, le Nazioni Unite definiscono la tratta di esseri umani[5] come “il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’alloggio o l’accoglienza di persone”, attraverso mezzi impropri quali la minaccia, il ricorso alla forza o ad altri mezzi di coercizione, il sequestro, la frode, l’inganno, l’abuso di potere o uno stato di vulnerabilità “a scopo di sfruttamento”. Ciò include anche la prostituzione o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato, la schiavitù o pratiche analoghe e perfino l’asportazione di organi. Il consenso iniziale della vittima è irrilevante laddove si sia fatto ricorso a questi mezzi. Il considerare i minori vittime della tratta di persone non implica nessuna delle modalità elencate (cf. art. 3.b-c).

L’entrata in vigore del Protocollo sulla Tratta, nel dicembre 2003, ha posto importanti sfide tanto in termini di concetti quanto di applicazione della legge. Esso ha introdotto nella legislazione internazionale il concetto di sfruttamento, fino ad allora piuttosto nuovo, che può essere lavorativo e sessuale. Ben dieci leggi anti-tratta riguardano unicamente lo sfruttamento sessuale di donne e bambini. Questa nuova schiavitù, tuttavia, non include solo le vittime del traffico. Quest’ultime, infatti, sono solo un’esigua parte degli schiavi di oggi.

Kevin Bales, autore di Disposable People: New Slavery in the Global Economy[6] afferma che la schiavitù, definita come una condizione in cui le persone sono costrette a lavorare “mediante la violenza e trattenute contro la propria volontà per scopi di sfruttamento”, non solo è presente nel mondo ma sta effettivamente aumentando. Secondo il rapporto globale dell’ILO sul lavoro forzato[7] si stimano in almeno 12.3 milioni le persone che vivono in condizioni di schiavitù. Questo dato non si basa su stime nazionali o su studi di settore ma su un metodo stabilito su un ampio numero di casi riportati. La stima di Bales, compiuta con l’aiuto di ricercatori e rappresentanti di organizzazioni per i diritti umani, riportava il numero di 27 milioni circa.

Secondo l’ILO ci sono tre tipi di schiavitù moderna: quella imposta dallo Stato, quella che rientra nell’ambito del commercio sessuale organizzato da privati, e lo sfruttamento economico anch’esso operato da privati.

Sono inclusi nella prima categoria “i lavori forzati imposti dalle forze armate, la partecipazione obbligatoria ai lavori pubblici, e il lavoro penitenziario forzato [non soltanto nei campi di prigionia ma anche]… nelle moderne prigioni semi o completamente privatizzate”. In questa categoria rientrano anche i lavori forzati imposti da gruppi di ribelli, che comprendono pure il reclutamento forzato di soldati, in special modo bambini.[8] Lo “United Nations Briefing Paper for Students”[9] afferma che “generalmente si pensa che il numero di minori di 18 anni che sono stati costretti o indotti ad imbracciare le armi come bambini soldato sia nell’ordine di 300.000”. La maggior parte dei soldati delle organizzazioni militari non governative hanno meno di 15 anni, mentre la maggioranza dei bambini soldato al di sotto dei 18 anni sono stati reclutati nelle forze armate governative.

Sono incluse nella seconda categoria “le persone che sono entrate, contro la loro volontà, nella prostituzione o in ogni altra forma di attività sessuale a scopo di lucro, o che, essendovi entrate volontariamente, non possono più affrancarsene. Vi sono ugualmente inclusi i bambini costretti a forza alla pratica di attività sessuali a fini commerciali”.

Infine, la terza categoria ingloba “ogni tipo di lavoro forzato non a fini sessuali imposto da privati per sfruttamento economico. Esso include, tra gli altri, la servitù per debiti, il lavoro domestico forzato o i lavori forzati in agricoltura e in zone rurali remote”.

Esaminando le cifre dell’ILO, che sono solamente una stima minima, possiamo costatare che tra gli schiavi moderni soltanto 2.4 milioni sono vittime della tratta. Altri 7.4 milioni sono sfruttati da privati, mentre 2.5 milioni sono sottoposti al lavoro forzato da parte dello Stato o di gruppi militari. Le cifre mostrano che il lavoro forzato di cui sono responsabili lo Stato o le forze armate corrisponde a circa il 20% di tutti gli schiavi di oggi. Dei restanti 9.8 milioni, 1.4 (11%) sono sfruttati con la prostituzione (tra le vittime del traffico e no) e 7.8 milioni (uno stupefacente 63%) sono sottoposti a schiavitù per ragioni economiche.

Ad ogni modo, poco meno della metà di tutto il traffico (43%) è destinato allo sfruttamento sessuale a fini commerciali, e quasi un terzo (32%) a fini economici. Un buon quarto (25%) è dovuto a ragioni miste o indeterminate, e sappiamo che tra gli scopi del traffico c’è anche l’asportazione di organi. Il tipo di lavoro a cui sono costrette le vittime della tratta varia a seconda del fattore geografico. Quella per s
fruttamento a fini commerciali va da un quarto di tutto il traffico nei paesi industrializzato a un 90% nel Medio Oriente e nel nord Africa.

Chi sono le vittime del lavoro forzato? Oltre la metà (56%) di quanti sono intrappolati nello sfruttamento a fini commerciali sono donne e ragazze, mentre uomini e ragazzi sono poco meno della metà (44%). Nello sfruttamento per prostituzione, invece, le donne e le ragazze costituiscono la quasi totalità (98%). Si stima, poi, che i bambini rappresentino tra il 40 e il 50% delle vittime.

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Il lavoro forzato, come l’abbiamo già definito, mette in questione non solo i diritti lavorativi delle persone coinvolte, ma viola la dignità umana e i diritti dell’individuo. Lo affermano chiaramente gli articoli 3, 4 e 5 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo[10].

Fin dagli anni ‘20, gli organismi internazionali si sono impegnati ad affrontare il problema del lavoro forzato. Nel 1930, come risultato del compito intrapreso su richiesta della Lega delle Nazioni, l’ILO adottò la Convenzione sul Lavoro Forzato (n. 29), che chiedeva l’abolizione “nel più breve termine possibile dell’impiego del lavoro forzato o obbligatorio in tutte le sue forme” (art. 1,1).

Con il persistere, negli anni ’50, di alcune forme di lavoro forzato, nel 1956 le Nazioni Unite redassero l’Accordo Addizionale sull’abolizione della schiavitù, la tratta degli schiavi, e le istituzioni e pratiche simili, che mirava ad “ottenere progressivamente e quanto prima l’abolizione completa o l’abbandono” delle istituzioni e pratiche quali la servitù per debiti, la servitù della gleba, il matrimonio mediante compenso in denaro o in natura [specialmente in Africa], la consegna di un fanciullo o di un adolescente a un terzo perché ne usi la persona o il lavoro.

Da parte sua, nel 1957 l’ILO adottò la Convenzione sull’Abolizione del Lavoro Forzato, volta ad “abolire il lavoro forzato od obbligatorio e a non ricorrervi sotto alcuna forma”, come misura di coercizione o di educazione politica o quale sanzione, come metodo a fini di sviluppo economico o di disciplina del lavoro, come misura di discriminazione razziale, sociale, nazionale o religiosa.

Ad ogni modo, il tipo di lavoro forzato che ha maggiormente richiamato l’attenzione dei Governi nazionali e delle Agenzie internazionali è frutto della tratta di esseri umani. Oltre alle Convenzioni e ai Protocolli delle Nazioni Unite contro il Traffico di esseri umani, il Centro per la Prevenzione del Crimine Internazionale (CICP) e l’Istituto Interregionale delle Nazioni Unite per la Ricerca sul Crimine e la Giustizia (UNICRI), sottolineando l’importanza dell’applicazione della legge, hanno redatto un progetto congiunto denominato “Programma Globale contro la Tratta di Esseri Umani”.

Una buona notizia è data dal fatto che il 16 maggio 2005 è stata adottata la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla Lotta contro la Tratta di Esseri Umani, entrata in vigore il 1° febbraio 2008 dopo il raggiungimento del numero minimo richiesto di Stati firmatari. Il documento, tra le varie cose, chiede un rafforzamento dei controlli alle frontiere e un controllo più efficace dei documenti, anche da parte dei proprietari dei mezzi di trasporto che possono essere usati dai corrieri. Vi sono contemplate altresì numerose misure di protezione delle vittime.

La Campagna di lotta contro il traffico di esseri umani, lanciata dal Consiglio d’Europa nel 2006, intende accrescere l’attenzione sulla portata del problema in Europa oggi. Essa suggerisce anche varie misure per prevenire questa nuova forma di schiavitù, per proteggere le vittime della tratta e tutelare i loro diritti. Mira, inoltre, a perseguire legalmente i trafficanti.

Un altro passo importante è costituito dalla decisione assunta dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, nel corso della sessione del 28 settembre 2007, di nominare un “Relatore Speciale sulle forme contemporanee di schiavitù, comprese le sue cause e conseguenze” nella convinzione “che i mandati dei Relatori Speciali esistenti non coprono in maniera adeguata tutte le pratiche di schiavitù”.  

Per quanto riguarda la Santa Sede, ho avuto l’occasione di intervenire al Forum di Vienna, convocato dall’Iniziativa Mondiale delle Nazioni Unite per combattere il Traffico di Esseri Umani (UN.GIFT), dal 13 al 15 febbraio 2008. L’intero testo è stato pubblicato sulla nostra Rivista People on the Move, Vol. XL, No. 106 (Aprile 2008) 167-169.

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La Chiesa non è rimasta indifferente o silenziosa nei riguardi delle moderne forme di schiavitù. Nella sua Lettera[11] indirizzata all’allora Arcivescovo Jean-Louis Tauran, il 15 maggio 2002, in occasione della Conferenza Internazionale su “Schiavitù del XIX secolo: la dimensione dei diritti umani nella tratta delle persone”, Papa Giovanni Paolo II definiva “il commercio di persone umane [come] un oltraggio alla dignità umana e una grave violazione dei diritti umani fondamentali”. Esso è un “affronto ai valori fondamentali condivisi da tutte le culture e da tutti i popoli, valori radicati nella natura stessa della persona umana”. Già molto tempo prima, il Concilio Ecumenico Vaticano II aveva così condannato tali pratiche nella Costituzione Pastorale Gaudium et Spes (no. 27): “Tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni di vita subumana, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro, con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili: tutte queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose. Mentre guastano la civiltà umana, disonorano coloro che così si comportano più ancora che quelli che le subiscono e ledono grandemente l’onore del Creatore”. Sarebbe utile leggere l’intero messaggio di Giovanni Paolo II[12], che ha importanti ripercussioni politiche, giuridiche, economiche ed etiche e che chiede che sia prestata attenzione alle cause “più profonde dell’aumentata ‘domanda’ che alimenta il mercato della schiavitù umana e tollera il costo umano che ne deriva”.

Anche l’Istruzione del nostro Pontificio Consiglio Erga migrantes caritas Christi[13] parla del traffico di esseri umani come di “un nuovo capitolo della schiavitù” (n. 5), e sottolinea, tra le altre cose, l’importanza di una soluzione giuridica. Essa, infatti, riconosce il legame tra traffico e migrazione e pertanto incoraggia “la ratifica degli strumenti internazionali legali che assicurano i diritti dei migranti, dei rifugiati e delle loro famiglie” (n. 6), in particolare della Convenzione internazionale per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, entrata in vigore il 1° luglio 2003. Tale Convenzione “offre un compendio di diritti” (ibid.) dei migranti e protegge quanti sono in situazione irregolare, comprese le vittime del traffico di esseri umani. Tuttavia, per dare un contributo concreto, la Chiesa offre “anche nelle sue varie Istituzioni e Associazioni competenti quell’advocacy che oggi è sempre più necessaria (v. i Centri di attenzione ai Migranti, le Case per essi aperte, gli Uffici per i servizi umani, di documentazione e “assessoramento”, ecc.)” (ibid.).

Alcune Conferenze Episcopali, poi, hanno pubblicato lettere pastorali in cui esprimono preoccupazione per la tratta di esseri umani[14]. Lo stesso nostro Pontificio Consiglio ha apertamente condannato il fenomeno, ad esempio in occasione del IV Congresso Mondiale della Pastorale del Turismo[15], organizzato dal nostro Dicastero a Bangkok (Tailandia), nel 2004, nel corso del quale i partecipanti espressero raccomandazioni e lanciarono appelli proprio contro il turismo sessuale. Inoltre, nei nostri “Orientament
i per la Pastorale della Strada” (pubblicati nel giugno 2007), sono presi in considerazione la schiavitù moderna e il rapporto tra migrazione, traffico di esseri umani e diritti (nn. 88-92). Ai numeri 97-115, è illustrato il compito che la Chiesa è chiamata a intraprendere a questo riguardo. Al n. 97 leggiamo: “La Chiesa ha la responsabilità pastorale di difendere e di promuovere la dignità umana delle persone sfruttate a causa della prostituzione e di perorare la loro liberazione, dando pure, a tal fine, un sostegno economico, educativo e formativo”. Il documento sottolinea il bisogno di solidarietà nelle comunità cristiane e tra le congregazioni religiose, i movimenti ecclesiali, le nuove comunità e le istituzioni e associazioni cattoliche al fine di combattere questa piaga della società e venire in aiuto alle vittime. Chiede anche che siano sviluppate competenze e strategie volte a combattere la prostituzione e il traffico di esseri umani. Afferma inoltre che “l’azione ecclesiale di liberazione delle donne di strada … deve coinvolgere tanto gli uomini quanto le donne e porre i diritti umani al centro di ogni strategia” (n. 102). 

La Chiesa è impegnata in vari Paesi nell’assistenza alle vittime della tratta, con presenza tra di loro, con l’ascolto, l’aiuto, il sostegno per sfuggire alla violenza sessuale, creando alloggi sicuri, aiutandoli ad integrarsi nella società del paese ospitante o a tornare nella propria terra d’origine in maniera sostenibile. Nei Paesi in cui c’è un’esplosione di conflitti violenti, essa si occupa anche del recupero dei bambini soldato mediante attività per favorire il loro reinserimento socio-economico nella società, ma anche per sanare le ferite di questi ex combattenti e delle famiglie e/o comunità che li ricevono.

La parte dedicata alla “Pastorale dei ragazzi di strada” degli Orientamenti che ho già menzionato, cita “le sofferenze di tanti bambini che diventano vittime di un’intollerabile sfruttamento e violenza, non proprio come risultato del male perpetrato da parte degli individui, ma spesso come una diretta conseguenza di corrotte strutture sociali” (n. 116). Su questo argomento, il nostro Pontificio Consiglio ha organizzato, nell’ottobre 2004, il Primo incontro Internazionale per la Pastorale dei Bambini di Strada[16] e, nell’ottobre dello scorso anno, quello Latino-Americano sulla Pastorale della Strada a Bogotà. Il primo Incontro a livello europeo si svolgerà il prossimo Ottobre.

La Chiesa è altresì impegnata nella promozione di attività di prevenzione o di presa di coscienza, come possiamo vedere in molte iniziative intraprese da congregazioni di religiose. Le Conferenze Nazionali delle Superiore Maggiori di vari Paesi hanno mobilitato i loro membri ad organizzarsi e a creare una rete con le religiose di altri Paesi (d’origine, transito o destinazione delle vittime del traffico) e con le organizzazioni internazionali, governative e non, che sono attive in questo campo. Anche le congregazioni religiose maschili sono invitate a dare il loro contributo. Alcune Conferenze Episcopali danno grande priorità a questa questione nella formulazione dei loro piani pastorali, che includono programmi di cooperazione con altre Chiese e Comunità ecclesiali.

Nell’ottobre 2007, l’Unione Superiore Maggiori d’Italia (USMI), in collaborazione con l’Ambasciata degli Stati Uniti d’America presso la Santa Sede, ha organizzato un Seminario di formazione sul tema “Costruire una rete: il ruolo profetico delle religiose nella lotta contro il traffico di esseri umani”, a Roma. Ne ho presieduto la Santa Messa di chiusura in San Pietro. Anche questa celebrazione era stata tenuta per commemorare il 200° anniversario dell’abolizione della schiavitù. Per l’occasione è stato costituito il Network Internazionale dei Religiosi contro il Traffico di Persone, il cui scopo è quello di assistere le vittime di sfruttamento da parte degli esseri umani e di lottare contro i trafficanti. Un punto importante è quello di favorire l’accoglienza delle donne di strada al ritorno nel Paese d’origine. A questo riguardo è necessario creare alcune strutture, come quella recentemente inaugurata in Nigeria con l’aiuto della Conferenza Episcopale Italiana.

Un network di più vecchia data è COATNET[17], una rete internazionale di organizzazioni cristiane contro la tratta delle donne creata nel 2002, per opera delle Caritas europee in collaborazione con la Commissione delle Chiese per i Migranti in Europa (CCME). Attualmente è composta da organizzazioni cristiane di Austria, Belgio, Bulgaria, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Russia, Spagna, Svezia, Svizzera, Ucraina e Regno Unito, ed opera sulla base dei network antitraffico di questi Paesi. Le sue organizzazioni-membri conducono attività di prevenzione e coscientizzazione nelle Nazioni di origine, transito e destinazione, assistono le donne oggetto della tratta e ne sostengono il reinserimento. Sono anche impegnati in opera di “advocacy” e “networking” nei loro Paesi.

Altre iniziative includono SOLWOLDI (Solidarity with Women in Distress), fondato nel 1985 in Kenya e Germania, la Fondazione olandese dei Religiosi contro la Tratta delle Donne, istituita nel 1991, e il Comitato di Sostegno della Dignità delle Donne in Nigeria, creato nel 2001 dalla Conferenza delle Religiose di quel Paese.

Per una descrizione più dettagliata del ruolo della Chiesa e delle azioni che si possono intraprendere a questo riguardo, si può fare riferimento al Documento finale del Primo Incontro Internazionale sulla Pastorale per la Liberazione delle Donne di Strada[18], organizzato dal nostro Dicastero, a Roma, il 20 e 21 giugno 2005.

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Non dobbiamo dimenticare, tuttavia, che la causa principale di questo orrendo fenomeno delle nuove forme di schiavitù è anzitutto l’enorme divario economico esistente tra Paesi ricchi e poveri e tra ricchi e poveri all’interno di uno stesso Paese e che spinge molta gente a lasciare, in un modo o nell’altro, la propria terra alla ricerca di opportunità migliori all’estero. L’Erga migrantes caritas Christi afferma che “il fenomeno migratorio solleva una vera e propria questione etica, quella della ricerca di un nuovo ordine economico internazionale per una più equa distribuzione dei beni della terra, che contribuirebbe non poco, del resto, a ridurre e moderare ì flussi di una numerosa parte delle popolazioni in difficoltà” (n. 8). Il documento, inoltre, reitera il diritto delle persone “a non emigrare, ad essere cioè nelle condizioni di realizzare i propri diritti ed esigenze legittime nel Paese di origine” (n. 29). Ricorda, poi, che “il Magistero [ecclesiale] ha sempre denunciato altresì gli squilibri socio economici, che sono per lo più causa delle migrazioni, i rischi di una globalizzazione senza regole, in cui i migranti appaiono più vittime che protagonisti della loro vicenda migratoria e il grave problema dell’immigrazione irregolare, soprattutto quando il migrante diventa oggetto di traffico e di sfruttamento da parte di bande criminali” (ibid.). Quindi, l’Istruzione insiste sulla “necessità anche di un impegno più incisivo per realizzare sistemi educativi e pastorali, in vista di una formazione alla ‘mondialità’, a una nuova visione, cioè, della comunità mondiale, considerata come famiglia di popoli, a cui finalmente sono destinati i beni della terra, in una prospettiva del bene comune universale” (n. 8).

La Chiesa, pertanto, combatte contro le moderne forme di schiavitù, mediante le sue convinzioni, con insegnamenti e azioni, ispirata dal Vangelo d’amore e compassione del Signore e dalla dignità di ogni persona umana, utilizzando i mezzi a sua disposizione, in conformità alla sua natura e missione. Nello stesso tempo, essa invita ogni persona di buona volontà a rispondere al vigoroso appello dell’Istruzione Erga migrantes caritas Christi ad “essere promotori d
i una vera e propria cultura dell’accoglienza” (n. 39) e, per i cristiani, a rispondere all’invito di San Paolo “accoglietevi perciò gli uni gli altri come Cristo accolse voi, per la gloria di Dio” (Rm 15:7) (n. 40). Inoltre, il nostro documento rivolge un appello “all’intera Chiesa del Paese di accoglienza [a] sentirsi interessata e mobilitata nei confronti dei migranti” e a trovare “il modo adeguato di creare nella coscienza cristiana il senso dell’accoglienza, specialmente dei più poveri ed emarginati, come spesso sono i migranti, un’accoglienza tutta fondata sull’amore a Cristo” (n. 41). E ciò nella certezza che il bene fatto al prossimo, particolarmente al più bisognoso, per amore di Dio, è fatto a Lui stesso (ibid.).

Mi sia permesso concludere con le parole di Giovanni Paolo II, pronunciate il 22 febbraio 1992, nell’isola di Gorée (Senegal), teatro di un atroce mercato di schiavi durato molti secoli (forse alcuni di voi ricorderanno la foto del Papa sulla porta della “Maison des Esclaves”, mentre guarda l’immensità dell’oceano e l’immensità della sofferenza umana). Ecco le sue parole:

“Quegli uomini, quelle donne e quei bambini sono stati vittime di un vergognoso commercio … Come dimenticare le enormi sofferenze inflitte, disprezzando i diritti umani più elementari, alle popolazioni deportate dal continente africano? Come dimenticare le vite umane annientate dalla schiavitù? Occorre che si confessi in tutta verità e in umiltà questo peccato dell’uomo contro l’uomo, questo peccato dell’uomo contro Dio … Noi preghiamo perché scompaia per sempre il flagello della schiavitù così come le sue conseguenze … Noi dobbiamo allo stesso tempo opporci a nuove forme di schiavitù, spesso insidiose, come la prostituzione organizzata, che sfrutta vergognosamente la povertà delle popolazioni del terzo mondo … Noi pregheremo affinché cessino la violenza e l’ingiustizia fra gli uomini, perché non si scavino più nuovi fossati di odio e di vendetta, ma perché aumentino il rispetto, la concordia e l’amicizia fra tutti i popoli”.

Grazie per la vostra attenzione!

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1) http://www.un.org/esa/population/migration/hld/Text/Report%20of%20the%20SG%28June%2006%29_English.pdf.

2) Il testo completo del mio intervento si può trovare su L’Osservatore Romano, ed. inglese., N. 35 (2008), 29 Agosto 2007, p. 11.

3) In Acta Apostolicae Sedis, Vol. XCVI, No. 11 (3 Novembre 2004), pp. 762-822 e nella nostra Rivista People on the Move, Vol. XXXVI, N. 95 (Agosto 2004); http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/migrants/documents/ rc_pc_migrants_doc_20040514_erga-migrantes-caritas-christi_en.html. Per commenti, si veda People on the Move, Vol. XXXVI, N. 98 (Agosto 2005); “La Sollecitudine della Chiesa verso i Migranti”, Quaderni Universitari, I Parte, Città del Vaticano, 2005; “Migranti e Pastorale d’Accoglienza”, Quaderni Universitari, II Parte, Città del Vaticano, 2006; “Operatori di una Pastorale di Comunione”, Quaderni Universitari, III Parte, Città del Vaticano, 2007; “Strutture di Pastorale Migratoria”, Quaderni Universitari, IV Parte, Città del Vaticano, 2008.

4) L’ “UNHCR Online Statistical Center” divide le persone di cui si occupa in sette gruppi, e cioè (a) rifugiati, esclusi coloro che risiedono nelle aree d’operazione dell’UNRWA; (b) richiedenti asilo; (c) sfollati interni (IDP – internally displaced persons) protetti/assistiti dall’ACNUR; (d) rifugiati tornati nei propri Paesi d’origine (rifugiati ritornati); (e) sfollati interni tornati nelle loro terre (IDP tornati); (f) apolidi; e (g) una categoria di altre persone che non appartengono a nessuna delle categorie su menzionate ma alle quali l’ACNUR estende protezione e/o assistenza.

5) Protocol to Prevent, Suppress and Punish Trafficking in Persons, Especially Women and Children, Supplementing the United Nations Convention against Transnational Organized Crime, art. 3.a.

6) University of California Press, Berkeley, 1999.

7) ILO, A Global Alliance Against Forced Labour, Geneva 2005.

8) Cfr. Giulio Albanese, Soldatini di piombo, Milano 2005.

9) http://www.un.org/Pubs/CyberSchoolBus/briefing/soldiers/index.htm.

10) Articolo 3. Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà, e alla sicurezza della propria persona; Articolo 4. Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma; Articolo 5. Nessun individuo potrà essere sottoposto a trattamento o punizioni crudeli, inumani o degradanti.

11) http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/letters/2002/documents/hf_jp-ii_let_20020515_tauran_en.html

12) ibid.

13) loc. cit.

14) Ad esempio, le Conferenze Episcopali di Filippine (1979), Stati Uniti e Messico (congiuntamente nel 2003) e Canadà (2006). Altre lettere pastorali sono state successivamente pubblicate dai Vescovi di Nigeria, Irlanda e Spagna, per es.

15) In People on the Move, Vol. XXXVI, N. 96 Supplemento (Dicembre 2004).

16) Gli Atti sono pubblicati su People on the Move, Vol. XXXVII, N. 98 Suppl. (Agosto 2005).

17) cf. http://www.coatnet.org/en/6374.html.

18) Pubblicato su People on the Move, Vol. XXXVIII, N. 102 Suppl. (Dicembre 2006), pp. 95-105.

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ZENIT Staff

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