Il significato della tradizione per cattolici e musulmani

La rete internazionale di Oasis torna a riunirsi a Venezia

Share this Entry


di Mirko Testa

ROMA, sabato, 20 giugno 2009 (ZENIT.org).- La tradizione, il suo significato per la fede cattolica e islamica, e il suo peso nell’ambito delle società multiculturali: è questo il tema al centro dei lavori del Comitato scientifico internazionale della Fondazione Oasis (www.oasiscenter.eu), che si riunirà il 22 e 23 giugno prossimi, presso la Fondazione Cini a Venezia.

Il Centro Oasis, con sede nella città lagunare, è nato nel settembre 2004 da un’intuizione del Patriarca di Venezia, il Cardinale Angelo Scola, e riunisce personalità del mondo ecclesiale e accademico impegnate nel continuare ad approfondire il lavoro di reciproca conoscenza tra le comunità cristiane dell’Occidente e dei Paesi a maggioranza musulmana fino a raggiungere sempre nuovi interlocutori dell’Islam di popolo.

Allo stesso tempo, Oasis è uno strumento espressivo che viene incontro alla sete culturale dei cristiani nei Paesi a maggioranza musulmana e anche un soggetto comunitario che mira a indagare e interepretare attraverso la categoria della “testimonianza” le nuove sfide poste dall’inedita mescolanza tra culture e fatti spirituali che si osserva ai giorni nostri, definita come “meticciato di civiltà”.

Questa sua missione il Centro Oasis la porta avanti attraverso: la rivista in quattro edizioni (inglese-arabo, inglese-urdu, francese-arabo, italiano-arabo), distribuita in Europa e nella maggior parte dei Paesi dell’Africa e dell’Asia (www.cisro.org); la pagina web (www.oasiscenter.eu); la newsletter mensile in tre lingue che si può ricevere gratuitamente; e infine la collana “I libri di Oasis”.

Le due intense giornate di lavoro verranno introdotte, lunedì prossimo, dal dr. Martino Diez, Direttore della Fondazione Internazionale Oasis; seguirà poi l’intervento del Cardinale Angelo Scola, che parlerà Dell’inevitabile interpretazione culturale della fede.

Mentre, più tardi, il dr. Paolo Gomarasca, ricercatore di Filosofia morale e docente Istituzioni di Antropologia alla Facoltà di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano, affronterà il tema Tradizione-testamento-eredità: per un’ermeneutica della tradizione.

Successivamente, prenderanno la parola padre Michel Cuypers, membro dell’IDEO (Istituto domenicano di Studi Orientali), specializzatosi nello studio letterario del testo del Corano, su Il ruolo della tradizione nella fede islamica, e la prof.ssa Malika Zeghal, docente di Antropologia e Sociologia delle religioni all’Università di Chicago Divinity School, su Tradizione e tradizioni nell’Islam contemporaneo.

In tarda mattinata, si alterneranno poi gli interventi del prof. Azzeddine Gaci, Presidente del Consiglio Regionale del Culto musulmano Rhône-Alpes, in Francia (“L’Islam europeo. Una tradizione in costruzione”) e del prof. John Milbank, teologo cristiano e professore di Religione, Politica ed Etica presso l’Università di Nottingham (“Ripensare il ruolo pubblico delle religioni”). Seguiranno quindi fino a sera interventi liberi sulle relazioni e dibattiti.

Martedì 23, invece, dopo l’introduzione affidata al dott. Roberto Fontolan, Direttore della Rivista Oasis, seguiranno delle serie di interventi liberi che precederanno l’intervento conclusivo del Cardinale Scola e la celebrazione della Santa Messa a S. Giorgio Maggiore. Alle 13:15, il Patriarca di Venezia e altri esponenti del Comitato terranno la consueta conferenza stampa per la presentazione dei lavori svolti. 

In una intervista a ZENIT il dr. Martino Diez ha detto che “ognuno di noi viene al mondo portando una dote, che può essere vista come un fardello oppure come una ricca eredità. Sono due modi di descrivere lo stesso fatto, che cioè ognuno di noi si colloca entro un orizzonte interpretativo che gli è dato”.

“Per noi, decisamente, la descrizione adeguata è la seconda: la tradizione è una grande risorsa che viene messa nelle nostre mani – ha continuato Diez –. Ma per essere assunta personalmente, criticamente vagliata e se necessario modificata. Non può che essere così perché ogni tradizione è sempre e di nuovo da riconquistare da parte del singolo e delle comunità”.

E se, ha aggiunto, “da più parti si afferma che Islam e Cristianesimo si devono confrontare sul piano culturale”, il “riflettere sull’inevitabile interpretazione di ogni fede (quella cristiana in primis) ci permetterà di comprendere meglio che impostare il dialogo a partire dalla cultura non si configura come una limitazione di campo, ma come una necessaria e inevitabile precisazione”.

“Ogni tradizione religiosa si dà sempre dentro la storia. Il grande rischio del moderno fondamentalismo è proprio di omettere il riconoscimento di questo dato di fatto”, ha poi osservato.

“Islam e Cristianesimo possono svolgere l’uno per l’altro una funzione di purificazione reciproca – ha sottolineato –: come cristiano occidentale ad esempio, posso ri-imparare dai musulmani il senso della Maestà divina, che l’interpretazione culturale corrente, anche della mia fede, tende a mettere in secondo piano, per effetto del secolarismo”.

“Allo stesso modo penso che i musulmani potranno articolare meglio il nesso tra verità e libertà proprio a partire dall’attenzione che la modernità riserva al soggetto”, ha spiegato Diez.

“Mi sembrano significative in questo senso – ha proseguito – le parole del Muftì di Bosnia Mustafa Cerić in un’intervista che sarà pubblicata nel prossimo numero 9 di Oasis: ‘noi musulmani abbiamo molte cose da trasmettere agli altri, ma anche noi abbiamo molte cose da ricevere. Gli altri possono rendere la nostra vita sempre più piena di senso’”.

Alla domana se esiste o no il rischio di una deriva dall’idea di “tradizione prevalente” a quella di “religione civile”, il Direttore della Fondazione Internazionale Oasis ha risposto che quella di “tradizione prevalente” è “una categoria importante per riflettere a partire dalla realtà storica concreta e poter, così, affrontare i potenziali conflitti tra le diverse ipotesi interpretative”.

“Infatti, a causa del processo di meticciato di civiltà, la varietà interna alle nostre comunità è destinata a crescere esponenzialmente”, ha affermato.

“È evidente però – ha precisato – che le diverse tradizioni che una tale varietà porta con sé non si collocano sullo stesso piano, perché hanno contribuito in misura molto differenziata a dar forma al volto storico della società”.

“Prendiamo il caso italiano: il nostro Paese è quello che è per il concorso di tante tradizioni religiose e culturali, ma tra di esse quella cattolica riveste certamente un ruolo centrale e prioritario”, ha evidenziato.

“Tuttavia, quando si affrontano delicati temi etici, il necessario rispetto nei confronti della tradizione prevalente di un popolo, che può implicare sacrifici – ovviamente proporzionati – per alcune componenti della società, rischia la deriva verso ‘una religione civile’ nel momento in cui cancella lo spazio per l’espressione del terzo, assumendo un’interpretazione ideologica ed esclusivista della propria tradizione”.

Mentre, ha quindi concluso, prendendo il “delicato caso della libertà religiosa, il rispetto dovuto alla tradizione prevalente esclude un atteggiamento aggressivo da parte delle minoranze, ma si rischierebbe la deriva verso una religione civile se la libertà di coscienza del singolo venisse annullata in omaggio alle convinzioni religiose della maggioranza”.

Per ulteriori informazioni su Oasis: www.oasiscenter.eu

Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione