Il Papa: il Vangelo va calato nella cultura di ogni popolo

Parlando all’Udienza generale di Cirillo e Metodio, gli apostoli degli slavi

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CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 17 giugno 2009 (ZENIT.org).- Ogni popolo “deve calare nella propria cultura il messaggio rivelato ed esprimerne la verità salvifica con il linguaggio che gli è proprio”: è quanto ha detto questo mercoledì Benedetto XVI in occasione dell’Udienza generale, dedicata ai santi Cirillo e Metodio.

Parlando di fronte alle quasi 30mila persone presenti in piazza San Pietro dei due compatroni d’Europa, vissuti tra l’815 e l’885 d.C., il Papa ha ricordato la loro straordinaria esperienza di evangelizzazione nel mondo slavo cominciata quando furono inviati in Crimea, dove Cirillo imparò l’ebraico e ritrovò la tomba e le reliquie di Papa Clemente I, che era stato lì esiliato.

Furono quindi inviati nella Grande Moravia – che comprende la Slovacchia e parte dell’Ungheria settentrionale di oggi – da Michele III, su richiesta del principe Rastislav, perché non esisteva alcun maestro in grado di spiegare la fede del suo popolo nella sua lingua.

Fu allora che compresero che non si può insegnare Cristo con una lingua e una scrittura che la gente non conosce e non capisce: era necessario inculturare il Vangelo.

“Cirillo e Metodio – ha detto il Santo Padre – erano convinti che i singoli popoli non potessero ritenere di aver ricevuto pienamente la Rivelazione finché non l’avessero udita nella propria lingua e letta nei caratteri propri del loro alfabeto”.
 
Di qui, ha spiegato Benedetto XVI, il “progetto di raccogliere i dogmi cristiani in libri scritti in lingua slava”, e la nascita dell’alfabeto “glagolitico” poi designato come “cirillico” in onore del suo ispiratore.

 “In effetti – ha continuato –, Cirillo e Metodio costituiscono un esempio classico di ciò che oggi si indica col termine ‘inculturazione’: ogni popolo deve calare nella propria cultura il messaggio rivelato ed esprimerne la verità salvifica con il linguaggio che gli è proprio”.

“Questo suppone – ha proseguito il Papa – un lavoro di ‘traduzione’ molto impegnativo, perché richiede l’individuazione di termini adeguati a riproporre, senza tradirla, la ricchezza della Parola rivelata”.

“Di ciò i due santi Fratelli hanno lasciato una testimonianza quanto mai significativa, alla quale la Chiesa guarda anche oggi per trarne ispirazione ed orientamento”, ha poi concluso.

Nei saluti conclusivi ai gruppi di fedeli presenti in piazza San Pietro, Benedetto XVI ha rivolto un pensiero speciale all’Abate Dom Pietro Vittorelli, e ai fedeli dell’Abbazia di Montecassino, che hanno voluto ricambiare la visita del Papa dello scorso 24 maggio.

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ZENIT Staff

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