CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 5 giugno 2009 (ZENIT.org).- Le nuove facoltà concesse dal Papa alla Congregazione per il Clero non costituiscono una “rivoluzione della disciplina ecclesiastica per il clero”, ma di una direttiva in totale coerenza con il diritto canonico sul celibato sacerdotale e che va semplicemente incontro ad alcune esigenze pastorali particolari, che devono affrontare i Vescovi nel governo ordinario delle loro diocesi riguardo al clero.
E’ quanto ha chiarito, in una intervista concessa alla Radio Vaticana, l’Arcivescovo Mauro Piacenza, Segretario della Congregazione per il Clero, responsabile dei circa 400mila preti cattolici presenti in tutto il mondo.
Nei giorni scorsi, infatti, alcuni organi di stampa hanno diffuso commenti fuorvianti a proposito della Lettera della Congregazione per il Clero inviata ai Nunzi apostolici, affinché la portassero a conoscenza dei singoli ordinari diocesani, riguardo ad alcune nuove facoltà concesse alla Congregazione stessa, il 30 gennaio scorso.
A questo proposito si è parlato di una misura per introdurre una procedura automatica o facilitata per la riduzione allo stato laicale dei sacerdoti che vengono meno “all’obbligo del celibato” o che hanno tenuto comportamenti scandalosi.
Nei giorni scorsi lo stesso Cardinale Prefetto Cláudio Hummes aveva spiegato il senso delle novità a integrazione dello stesso Codice di Diritto Canonico e aveva fatto l’esempio di un caso non previsto dal Codice del 1983, quello cioè che sia un Vescovo ad avviare un processo di laicizzazione per un sacerdote che abbia abbandonato il proprio ministero.
Un tempo, i preti che decidevano di convivere o sposarsi civilmente informavano il loro Vescovo e chiedevano una dispensa dall’obbligo del celibato. Ora, molti sacerdoti dismettono invece la veste, si sposano civilmente, hanno dei figli ma non avvertono l’esigenza di chiedere la dispensa.
“Per il bene della Chiesa e del sacerdote che abbandona il suo ministero – aveva detto il Cardinale Hummes – è bene invece che la dispensa possa comunque avvenire, per riportare la persona interessata in una situazione corretta, specialmente se ci sono dei figli”.
“Questo perché – aveva aggiunto – i figli di un prete hanno diritto di avere un padre in una situazione corretta agli occhi di Dio e della propria coscienza”. Quindi, aveva spiegato, tali disposizioni “nascono anche dalla necessità di aiutare queste persone. In questi casi, è il Vescovo a prendere l’iniziativa”.
Secondo quanto affermato all’emittente pontificia da monsignor Piacenza, si tratta quindi di “uno strumento giuridico in continuità e coerenza con il diritto canonico vigente” messo a disposizione dei Vescovi di tutte le diocesi del mondo affinché ognuno di loro “si applichi con autentica paternità e carità pastorale a far sì che i propri più preziosi collaboratori, i sacerdoti, sappiano vivere la disciplina ecclesiastica che discende dalla dottrina, come discepolanza e con profonde motivazioni interiori”.
Restano tuttavia “immutati e intatti – ha spiegato monsignor Piacenza – i diritti e i doveri dei Vescovi nell’esercitare la funzione giudiziale. Il Vescovo deve sempre vigilare perché il presbitero sia fedele nell’espletamento dei doveri ministeriali; tanto è vero che è il vescovo diocesano che deve seguire con particolare sollecitudine i presbiteri, anche tutelando i loro diritti”.
“La larghissima maggioranza dei sacerdoti vive serenamente, nel quotidiano, la propria identità e svolge fedelmente il proprio ministero – ha aggiunto –. Soltanto che, in casi particolari, la Santa Sede interviene in via sussidiaria, per riparare lo scandalo, ristabilire la giustizia e fare emendare il reo”.
Nella lettera si afferma tra l’altro che, sebbene la Chiesa insegni che i sacramenti sono validi indipendentemente dalla santità di vita del sacerdote che li amministra correttamente, secondo la disciplina della Chiesa cattolica di rito latino bisogna insistere sul fatto che i sacerdoti ambiscano alla perfezione morale e all’imitazione di Cristo, anche nella castità.
La lettera in questione mette, invece, in rilievo i casi di grave mancanza di disciplina da parte di alcuni membri del clero, di fronte ai quali i soli strumenti pastorali e canonici del Codice di diritto canonico si sono rivelati “inadatti a rimediare allo scandalo e a ripristinare la giustizia o a correggere la persona in questione”.
Lo stesso monsignor Piacenza ha parlato a tal proposito di “situazioni anche di grave indisciplina da parte del clero, nelle quali i tentativi di superamento posti in atto non risultano efficaci e la situazione rischia di protrarsi eccessivamente, con grave scandalo dei fedeli e danno al bene comune”.
Tra le facoltà speciali concesse dal Papa alla Congregazione per il Clero figura, innanzitutto, la facoltà di trattare i casi di dimissione dallo stato clericale “in poenam, con relativa dispensa da tutti gli obblighi decorrenti dall’ordinazione, di chierici che abbiano attentato al matrimonio anche solo civilmente e che ammoniti non si ravvedano e continuino nella condotta di vita irregolare e scandalosa; e di chierici colpevoli di gravi peccati esterni contro il sesto comandamento”.
Vi è poi la facoltà di intervenire “per infliggere una giusta pena o penitenza per una violazione esterna della legge divina o canonica”; mentre in casi veramente eccezionali e urgenti, e di mancata volontà di ravvedimento da parte del reo, si potranno anche infliggere “pene perpetue, non esclusa la dimissione dallo stato clericale, qualora le particolari circostanze lo richiedessero”.
Naturalmente ogni eventuale caso dovrà essere istruito “per mezzo di un legittimo procedimento amministrativo, salvo il diritto di difesa che deve essere sempre garantito”.
Infine la facoltà di dichiarare la perdita dello stato clericale per i chierici che abbiano abbandonato il ministero “per un periodo superiore ai cinque anni consecutivi, e che persistano in tale assenza volontaria e illecita dal ministero”.
“Nulla di automatico – ha sottolineato monsignor Piacenza – non c’è automatismo nei tempi e tutto è vagliato caso per caso e sempre per situazioni gravi. Nessuno pensi superficialmente a una sorta di generica semplificazione in materia così delicata. Nessun automatismo, ma vaglio e vaglio rigoroso!”.
La finalità, ha spiegato il presule, è quella di “onorare la missione e la figura dei sacerdoti che, in questo periodo diffusamente connotato dalla secolarizzazione, sono gravati dalla fatica di dover pensare e agire controcorrente per fedeltà alla propria identità e missione”.
Il celibato sacerdotale, ha concluso, è “un dono che la Chiesa ha ricevuto e vuole custodire, convinta più che mai che esso sia un bene per se stessa e per il mondo”.