Eros, philia e agape (parte III)

COLLEVALENZA, martedì, 28 aprile 2009 (ZENIT.org).- Per la rubrica sull’Amore misericordioso pubblichiamo la terza parte dell’intervento pronunciato da padre Domenico Cancian, fam, al Convegno svoltosi a Collevalenza, dal 27 al 29 ottobre 2006, sulla prima Enciclica di Benedetto XVI, “Deus Caritas Est”.

Le prime due parti sono state pubblicate il 7 e il 21 aprile.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

* * *

4. La storia d’amore raccontata dall’evangelista Giovanni.

Deus caritas est (o theòs agápe estín: 1 Gv 4,8.16).Questa “folgorante intuizione” che in qualche modo definisce Dio può esser considerata il vertice della rivelazione cristiana, la sua novità 20.

Ce la propone l’apostolo prediletto, o meglio “quello che Gesù amava (on x-agapa)” e che nell’ultima cena “si trovava (sdraiato a tavola) nel seno di Gesù… appoggiato nel suo petto” (Gv 13,23.25). Lo stesso apostolo che vide il cuore di Gesù aperto dal colpo di lancia e da esso uscire sangue e acqua (cf 19,34). A Giovanni Gesù affidò la persona più cara: Maria.

Dopo aver fatto assieme agli altri Apostoli l’esperienza straordinaria di aver udito, veduto, contemplato e toccato il Verbo della vita, ce la racconta affinché tutti quelli che vogliono credere entrino in comunione col Padre, col Figlio e tra di loro, gustando così la gioia perfetta (cf 1 Gv 1,1-3).

Dopo lunga meditazione Giovanni, per ultimo, scrive il Vangelo, tre lettere e forse anche l’Apocalisse. Egli ci consegna la sintesi della sua esperienza apostolica in due affermazione: “Dio è amore” (1 Gv 4,8.16) e “Amatevi gli uni gli altri come io vi amati” (Gv. 15,12; cf 13,34). L’una completa l’altra.

Vogliamo percorrere a grandi linee questa “storia d’amore” che Giovanni ci racconta nel Vangelo e nella sua prima lettera, perché a quest’ultima l’intera Enciclica si ispira per affrontare i problemi del nostro tempo.

4.1 “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37)

Il punto vertice della rivelazione dell’Amore di Dio è il Cristo Crocifisso ed ancor più precisamente il cuore trafitto di Gesù.

Il Papa, almeno quattro volte, lo richiama 21. È “dal cuore trafitto di Gesù che scaturisce l’amore di Dio (Cfr Gv, 19,34)”; quel cuore è “l’originaria sorgente” dell’amore divino 22.

Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo — amore, questo, nella sua forma più radicale. Lo sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo, di cui parla Giovanni (cf 19, 37), comprende ciò che è stato il punto di partenza di questa Lettera enciclica: «Dio è amore» (1 Gv 4, 8). È lì che questa verità può essere contemplata. E partendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l’amore. A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare23.

In questo modo il Papa si collega alla spiritualità del cuore di Gesù ed anche all’<i>Amore Misericordioso che nel Crocifisso evidenzia il cuore con la scritta: caritas. Gesù ci ha rivelato, soprattutto nella morte di croce, il cuore di Dio, pieno di Amore divino. Tutta la sua vita, passione e morte, sono motivate da quell’Amore che, morendo, ha tutto donato a noi. L’Amore di Dio, effuso nei nostri cuori, è lo Spirito Santo. Nasce così l’uomo nuovo, il discepolo di Gesù che, sull’esempio di Giovanni, attinge l’amore direttamente alla sorgente e a sua volta lo comunica agli altri, suscitando la comunità cristiana.

Giovanni descrive con attenzione e sottolinea il mistero della morte di Gesù crocifisso e trafitto. Dopo averci assicurato che il fatto è storico, l’apostolo vede in questo evento il compimento di due profezie: quella dell’agnello pasquale (cf Es 12,46) e quella del popolo che, dopo aver ucciso il proprio re, lo contempla “trafitto” (cf Zac 12,10).

Ed è tanto importante, per San Giovanni, questa visuale che io ritengo abbia scritto il suo vangelo tenendo davanti agli occhi proprio il Signore Gesù crocifisso da cui escono acqua e sangue. È una visuale riassuntiva, conclusiva, sintetica e ogni pagina del IV vangelo può essere riletta contemplandola a partire da essa” 24.

Gesù è il vero Agnello pasquale, la cui morte consente all’umanità intera il definitivo esodo pasquale, la liberazione più decisiva, la nuova alleanza dell’uomo con Dio, nel sangue di Cristo.

Il sangue versato significa la morte sacrificale dell’agnello per la nostra salvezza e l’acqua è simbolo dello Spirito che dà vita. La tradizione patristica ha sempre contemplato in questa scena la nascita della Chiesa e ha visto nell’acqua e nel sangue i due sacramenti fondamentali del Battesimo e dell’Eucaristia.

Volgere lo sguardo al Crocifisso significa per Giovanni vedere e comprendere, nella fede, il mistero dell’amore che salva, come già gli ebrei morsi dai serpenti velenosi erano salvati guardando il serpente di bronzo (cf Num 21,4-9). Cristo crocifisso si rivela così il Salvatore dell’umanità e il Signore della storia. “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). Giovanni legge nel Crocifisso che versa acqua e sangue, l’espansione, nella storia umana, della gloria di Dio che risplende nel Figlio, pieno di grazia e di verità e che dona lo Spirito” 25.

4.2. “Amatevi come Io vi ho amati” (cf Gv 13,34; 15,12).

Introducendo il racconto dell’ultima Pasqua di Gesù, Giovanni scrive: “Sapendo Gesù che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1). L’evangelista presenta con queste parole tutta la parabola della vita di Gesù.

Per questo consegna il suo testamento con le seguenti parole: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34-35). Se tutta la vita di Gesù è stata spesa nel segno dell’amore che riassume la Legge e i Profeti, non poteva non lasciarci che quest’unico “comandamento”.

E in cosa consiste la novità?

Nuovo, spiega Sant’Agostino, perché questo amore di Gesù” ci rinnova, rendendoci uomini nuovi, eredi del Testamento Nuovo, cantori del cantico nuovo” e crea di tutti coloro che lo accolgono e lo vivono “un sol popolo nuovo, il corpo della novella sposa dell’Unigenito Figlio di Dio della quale il Cantico dei Cantici dice: Chi è costei che avanza tutta bianca? (Ct 8,5). Sì, bianca perché rinnovata; e rinnovata da che cosa, se non dal comandamento nuovo?” 26.

Dunque il comandamento nuovo significa che quell’amore di Cristo rinnova dall’interno l’uomo trasformandolo, rigenerandolo (“chi ama è generato da Dio”: 1 Gv 4,7), facendolo passare dalla morte alla vita (Cf 1 Gv 3,14), dalle tenebre alla luce (cf 1 Gv 2,8-11).

È nuovo perché – spiega San Tommaso – è “l’amore di Dio effuso nei nostri cuori ad opera dello Spirito Santo” (Rom 5,5), attuando in questo modo la Nuova Alleanza che consiste nel dono di un cuore nuovo 27.

È nuovo infine perché lo Spirito donandoci un cuore nuovo, ci offre realmente la capacità di amare come Gesù ha amato, in modo gratuito, abbondante, fedele, sincero. “Siccome Dio ci ha amati per primo (cf 1Gv 4,10), l’amore adesso non è più solo un «comandamento», ma è la risposta al dono dell’amore, col quale Dio ci viene incontro”28. “Egli ci ama, ci fa vedere e sperimentare il suo amore e, da questo «prima» di Dio, può come risposta spuntare l’amore anche in noi” 29.

L’amore di Dio rivelato in Cristo, proprio perché divino “non avrà mai fine” (1 Cor. 13,8). È la “legge eterna”, lo “statuto divino” e quindi l’unica legge che regola per sempre la comunità escatologica. Questo amore il mondo non lo conosce e non è capace di porre: infatti viene da Dio!

4.3 “L’amore è da Dio … Dio è amore” (1 Gv. 4,7-8.16).

“Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama
non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1 Gv 4,7-8).

Non è una definizione metafisica, non si parla di un sentimento, non significa semplicemente che “Dio ama”, tanto meno che l’amore è Dio. Giovanni ci presenta l’esperienza cristiana fondamentale: Dio ci ama in Cristo effondendo in noi dal suo cuore il suo stesso Amore che è lo Spirito. Se tutta la storia di Dio con l’uomo, la sua rivelazione è storia di amore, allora Dio è amore.

Tutta questa storia d’amore che la Bibbia ci racconta s’incentra proprio in Gesù. “In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui… ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1 Gv 4,9-10). Tutta la vicenda di Gesù, dalla nascita alla morte in croce ci racconta che Dio è amore. Amore totale e gratuito. “Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi” (4,10). Ci ha amati “per primo” (4,19).

Di quale amore si tratta? Facendo riferimento al Padre che manda/dona a noi il Figlio e Gesù che si consuma nel fuoco dell’amore, non possiamo intenderlo che come eros-filia-agape. “Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio in lui” (4,16).

Il Papa legge in questo versetto, l’immagine dell’uomo e del suo cammino, la formula sintetica dell’esistenza umana. “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” 30.

Allora noi stiamo (meglio: abitiamo) nell’amore, cioè in Dio, come nella casa che da sempre cercavamo e allo stesso tempo facciamo esperienza di essere abitati da Dio di essere “tempio di Dio”. “Chi abita nell’amore, abita in Dio e Dio abita in lui”. Questa è la formula dell’Alleanza: una reciproca e continua inabitazione di Dio nell’uomo e dell’uomo in Dio. Una comunione perfetta che è esattamente il cuore della nuova alleanza, lo scopo della Rivelazione e il desiderio più forte dell’uomo, l’incontro di Dio con l’uomo e dell’uomo con Dio. Condotto dallo Spirito che infonde in lui l’Amore di Gesù, l’uomo ritorna al Padre. L’uomo diventa una cosa sola in Gesù, come Gesù. Tutto questo ad opera dell’eros-filia-agape che è lo Spirito.

5. L’Eucaristia, il sacramento della
eros-philia-agápe di Gesù

Nella storia d’amore che la Bibbia ci racconta, l’ultima cena di Gesù con i suoi costituisce il momento che sintetizza tutta la vita-morte-risurrezione sua.

Gesù è ben consapevole che quella è la sua Pasqua, la sua ora. Predice l’imminente tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro, l’abbandono dei suoi. È la notte dei tradimenti che nel suo animo delicato pesano come macigni.

Gesù trasforma la Pasqua ebraica nella sua Cena, nella sua Pasqua. Con piena consapevolezza, animato dal suo eros-filia-agápe umano e divino, senza misura, compie alla perfezione, in modo inimmaginabile, tutti i simboli dell’Antico Testamento.

“Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione… questo è il mio corpo che è dato per voi… questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi” (Lc 22,15-20).

Facendo del pane il Suo Corpo e del vino il Suo Sangue, Egli anticipa la sua morte, l’accetta nel suo intimo e la trasforma in un’azione di amore. Quello che dall’esterno è violenza brutale, dall’interno diventa una atto di un amore che si dona totalmente. È questa la trasformazione sostanziale che si realizzò nel cenacolo e che era destinata a suscitare un processo di trasformazioni il cui termine ultimo è la trasformazione del mondo fino a quella condizione in cui Dio sarà tutto in tutti (cf 1 Cor. 15,28)… È questa, per usare un’immagine a noi oggi ben nota, la fissione nucleare portata nel più intimo dell’essere. La vittoria dell’amore sull’odio, la vittoria dell’amore sulla morte. Soltanto questa intima esplosione del bene che vince il male può suscitare poi la catena di trasformazioni che poco a poco cambieranno il mondo31.

Pane e vino diventano Corpo e Sangue di Cristo affinché noi pure mangiando lo stesso cibo possiamo diventare l’unico Corpo di Cristo, una cosa sola con Lui e tra di noi.

È questo il miracolo più grande ad opera dell’amore davvero straordinario di Gesù che si fa nostro pane. Un amore al di sopra di ogni nostra esperienza e immaginazione, per cui la Chiesa ha sempre detto che il mistero eucaristico è il sacramento più grande, quello che in qualche modo riassume tutti gli altri e al quale tutti rimandano. Il totalmente Altro viene dentro di noi e noi siamo in Lui.

Fate questo in memoria di me” non significa ripetere la cena pasquale, ma entrare noi stessi nell’«ora» di Gesù, farla diventare anche nostra “lasciandoci tirare dentro quel processo di trasformazioni che il Signore ha di mira” 32: dall’odio all’amore, dalla maledizione alla benedizione, da una vita egoistica ad una vita aperta al dono e al servizio come quella di Gesù. “L’Eucaristia ci attira nell’atto oblativo di Gesù… (in essa) veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione”33.

Quindi l’Eucaristia, facendo di tutti noi “un solo Corpo” ci fa fratelli “concorporei e consanguinei” e ci spinge all’amore del prossimo in modo concreto e universale (Cf Lc 10,25-37 e Mt 25,31-46).

Forse per questo l’evangelista Giovanni al posto del racconto dell’istituzione eucaristica, già ampiamente riferito dagli altri, pone il nuovo comandamento dell’amore. Ambedue, eucaristia e amore, sono chiamati “agape”. L’eucaristia è il vertice dell’agápe e l’ agápe è il senso, il cuore dell’Eucaristia.

“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui” (Gv 6,56). Questa è la formula dell’Alleanza portata all’ultima conseguenza. Esprime la massima comunione le cui analogie, in verità molto povere, sono il rapporto sponsale e la relazione madre-figlio.

Se rimaniamo in Gesù, formando un tutt’uno con Lui, come il tralcio è un tutt’uno con la vite, noi portiamo molto frutto, possiamo amare come Gesù, vivere come Lui. Per cui un’altra versione del comandamento di Gesù ancora più sintetica è la seguente: “Rimanete nel mio amore (agape)” (Gv 15,9). Sant’Agostino scrive: ” Prendere il calice della salvezza e invocare il nome del Signore significa essere ricolmi di carità in tale pienezza che si è pronti a morire per i fratelli”, come ha fatto Gesù 34.

Il grido di Gesù in croce: “Tutto è compiuto” (Gv 19,30), rivela il dono totale di sé al Padre e agli uomini, il consumarsi perfetto del suo eros, philia,agape. Gesù ce lo dona in ogni Eucaristia per coinvolgerci a fare altrettanto.

———-

20 Cfr Benedetto XVI, “Dio è amore: questa la novità del cristianesimo”, Udienza del mercoledì 9 Agosto 2006.

21 DCE, nn. 7.12.17.39.

22 Ibidem, n. 7.

23 Ibidem, n. 12.

24 C.M.MARTINI, Volgere lo sguardo al Signore della Chiesa, Ancora 1986, p. 61.

25 Ibid, p. 63ss.

26 Sant’Agostino, Opere di Sant’Agostino. Commento al Vangelo, 65, 1, p. 1141.

27 Das Evangelium des Johannes, Göttingen 1953, p. 404.

28 DCE, n.1.

29 DCE,n . 17.

30 DCE, n.1.

31 Benedetto XVI, Omelia a Colonia, domenica 21 agosto 2005..

32 Ibid.

33 DCE, n. 13.

34 Meditazioni, V, 4, p. 135.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione