ROMA, domenica, 26 aprile 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica la sintesi della presentazione del 2° Rapporto sullo stato di attuazione della legge 40/2004 elaborata da Carlo Casini, già magistrato di Cassazione e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica. Casini è inoltre Presidente del Movimento per la Vita italiano, membro della Pontificia Accademia per la Vita e docente presso l’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” di Roma.
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Per valutare gli effetti della L. 40/04 si è per lo più soliti misurarli soltanto sul piano di uno solo dei due scopi della legge stessa, dichiarati nell’art. 1, quello di “superare la sterilità e la infertilità”. L’indagine sul secondo obiettivo, quello di tutelare il diritto alla vita del concepito, viene quasi sempre trascurato.
Questa ricerca intende rimediare a tale dimenticanza proponendo la domanda: di quanti nuovi esseri umani è stata evitata la distruzione per effetto della legge? E’ una domanda doverosa, alla luce di ben quattro ripetuti pareri del Consiglio nazionale di bioetica sullo statuto dell’embrione umano.
La vita del concepito in provetta è in grave pericolo anche quando esso viene destinato alla nascita mediante trasferimento in utero: soltanto 1 su 10 arriva al parto e l’ombra di morte si estende quando vengono trasferiti embrioni scongelati. In tal ultimo caso solo un concepito su 20 giunge al parto.
Nel triennio 205-207 su 196.399 embrioni trasferiti ha potuto essere provata la nascita di solo 16.185 bambini.
Ma l’indagine si occupa dei concepiti non trasferiti. I dati provano che nel quinquennio 2003-2007, 5.349 embrioni sono morti per effetto dello scongelamento (1 su 4 di quelli congelati). Si tratta di un residuato di scongelamenti anteriori alla legge.
Questo non sarebbe avvenuto se la legge fosse stata approvata prima.
Ma l’effetto più benefico della legge è quello di aver evitato nel solo triennio 2005-2006-2007, per il quale esistono dati che consentono il calcolo, la possibile formazione soprannumeraria e la conseguente possibile distruzione, diretta o per congelamento, di altri 120.000 embrioni (i calcoli danno la cifra di 121.869).
Si può dunque affermare che il divieto contenuto nell’art. 14 di distruzione, congelamento e produzione soprannumeraria di embrioni si ispira ad un criterio di maternità e maternità responsabile sia pure nellʼambito di tecniche che restano in sé gravate da riserve etiche anche quando gli embrioni sono tutti trasferiti in utero.
La seconda parte della ricerca, condotta confrontando anche i dati di altri paesi europei, dimostra che il rispetto dei limiti posti a tutela del diritto alla vita hanno anche meglio garantito la salute della donna e non hanno diminuito la percentuale del “successo”.
Infatti sono diminuite le sindromi da iperovulazione (0,44% nel 2007 contro l’1,02% della media europea) perché una pluralità di stimolazioni “dolci” è meno pericolosa delle stimolazioni “severe”, possibili quando non sia posto un limite alla generazione di embrioni e quindi al prelievo di ovociti.
Il confronto con quanto accade nella inseminazione semplice prova la verità di questo assunto. Ma il risultato più sorprendente della ricerca è che la probabilità che una donna richiedente la P.M.A. con tecniche di II e III livello debba più volte sottoporsi a trattamento iperovulatorio e prelievo è andata calando, passando dal 30,5% dei cicli e dal 14,3% dei prelievi del 2003 al 20,6% dei cicli e al 7% dei prelievi nel 2007, in netta controtendenza con quanto accade nella inseminazione semplice dove la stimolazione plurima è andata crescendo (29,4% nel 2005 – 34,7% nel 2007).
Quanto al “successo”, in termini di gravidanze e parti, il confronto europeo è istruttivo. Se è vero che i dati percentuali di altri paesi sono migliori di quelli italiani è anche vero che già nel 2003, prima della legge 40, l’Italia si trovava al 24° posto tra trenta nazioni, con riferimento alla percentuale di parti per trasferimento da FIVET e al 20° per trasferimento da ICSI. Peraltro l’Italia si è sempre trovata al primo posto per numero di centri che effettuano le P.M.A. e per il numero di donne ultratrentacinquenni, che è andato crescendo nel tempo fino a raggiungere nel 2007 il 65,1% mentre nel 2003 era del 56,4%.
La polverizzazione dei centri implica una minore efficienza di alcuni centri più piccoli e l’età delle donne oltre i 35 anni dimezza la percentuale dei successi. Nonostante ciò la percentuale delle gravidanze e dei parti è aumentata negli ultimi anni.
E’ auspicabile che la classe medica, gli operatori dei centri e le coppie affette da infecondità tengano responsabilmente conto di quanto esposto in questa ricerca.
Per chi volesse approfondire l’argomento consigliamo di leggere il 2° Rapporto sullo stato di attuazione della legge 40/2004 (aprile 2009) al link: http://www.mpv.org/mpv/allegati/498/2RapportoParlamento.pdf