Veglia per la vita all’Università Cattolica di Roma

Intervista a Leo Pergamo, responsabile dei giovani del Movimento per la Vita

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di Antonio Gaspari

ROMA, giovedì, 29 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Si terrà sabato 31 gennaio, alle ore 20:00, nella Chiesa centrale del Sacro Cuore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – Facoltà di Medicina e Chirurgia “A. Gemelli”, una veglia universitaria internazionale sul tema “La forza della vita nella sofferenza”.

Organizzata in occasione della Giornata per la Vita 2009 dal Movimento per la Vita italiano (MpV) dal MoVit-MpV UCSC in collaborazione con il Centro Pastorale – U.C.S.C. Roma e il Laboratorio Culturale “Progetto Emmaus”, la veglia ha visto l’adesione anche del Movimento dei Focolari, di Phos, della FUCI, della Comunità di S. Egidio, dell’UNITALSI, de La Quercia Millenaria e dall’associazione Ali di scorta.

Presieduta dal Cardinale Zenon Grocholewski, Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, la veglia vedrà le testimonianze: della dott.ssa Adriana Turriziani, Hospice “Villa Speranza” – U.C.S.C.; di Leo Pergamo, responsabile nazionale dei giovani del MpV Italiano e animatore della veglia; del prof. Rodolfo Proietti, docente ordinario di Anestesiologia e Rianimazione – U.C.S.C.; di don Paolo Bovini, Assistente spirituale e docente di Teologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore; e del dott. Giuseppe Grande, Presidente MoVit – MpV UCSC Roma.

Per conoscere motivazioni e finalità di questa iniziativa, ZENIT ha intervistato Leo Pergamo.

Perché una veglia per la vita?

Leo Pergamo: Per apprendere insieme a costruire la vita su Cristo, accogliendone con gioia la parola e mettendone in pratica gli insegnamenti. E’ urgente che sorga una nuova generazione di apostoli radicati nella Parola di Cristo, capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo e pronti a diffondere dappertutto il Vangelo della Vita.

E questo è parte di ciò che ci ripromettiamo quotidianamente di fare e che molto più concretamente vogliamo vivere in questa veglia.

Può forse sembrare banale e ripetitivo presentare le nostre esperienze davanti ad una comunità che è sempre pronta a prendere posizioni a favore o contro gli sforzi che ognuno di noi compie.

Non è semplice presentarsi come testimoni di Dio, esporsi a testa alta senza evitare di potersi prendere le proprie responsabilità: perché essere simboli viventi e portatori del messaggio di Dio implica degli oneri non indifferenti.

Sarà forse la nostra innocenza e le nostre sempre minori certezze nella vita che ci portano ad avere una maggiore sensibilità nei confronti di Dio, che ci portano a considerare questa veglia come fonte inesauribile di emozioni, di lacrime, di gioia, di ansie, di paura di non essere all’altezza; come una serata dalla quale non puoi che imparare ad apprezzare chi continua a dimostrarti che è l’Amore l’unica cosa che conta veramente, dalla quale non puoi che trovare conforto e dalla quale puoi allontanarti solo con un sorriso…

Perché una veglia non può piacere o non piacere, non è un film o una canzone o uno spettacolo da vedere e alla fine del quale chi ha assistito deve esprimere un giudizio, non siamo una compagnia teatrale che mette in mostra ciò che ha imparato a memoria: la veglia è condivisione, è improvvisazione, è scambio di vite, è l’incontro con il Signore. Una veglia fa crescere…

Che cosa chiedete al Signore?

Leo Pergamo: «Parole, parole, parole…», cantava un vecchio motivo, divenuto popolarissimo. Non è facile districarsi nella massa di parole che ci investono quotidianamente e che noi stessi produciamo con generosa abbondanza. Ci sono quelle subdole, patinate di verità, ma prodotte da un cuore malefico, altre sono sincere, ma forse superficiali, altre ancora sono vere e potenti, dotate di dinamismo trasformante. Vorremmo, prima di tutto, chiedere al Signore di essere capaci di distinguere le parole, valutandone la qualità e la provenienza.

Vorremmo inoltre pregare per il popolo cristiano che si appresta a celebrare la XXXI giornata per la Vita, perché tra gioie, sofferenze e speranze non si stanchi di promuovere la cultura della Vita, abbandonando quella forma di relativismo che avvolge il mondo e fa vittime in ogni angolo, anche tra coloro che maggiormente si professano “figli di Dio”.

Vorremmo affidare al Signore tutti i bambini che nascono alla vita, specialmente quelli che non hanno alle spalle una famiglia “cristiana”, perché siano accolti con amore e tutta la Comunità riconosca che il frutto del grembo è, sempre e comunque, dono di Dio.

Vorremmo pregare per tutti coloro che soffrono nel corpo e nello spirito e per coloro che li assistono, perché imparando da Cristo a farsi prossimo gli uni per gli altri, possano sperimentare nella loro esistenza “la forza della Vita nella sofferenza”.

Infine pregheremo anche per tutti noi che prenderemo parte a questa veglia, perché possiamo avere la forza di accogliere, senza esitazione alcuna, la Parola di Dio e di viverla nell’esperienza quotidiana, aprendo il nostro cuore ai fratelli.

In che modo le attività terrene e materiali del Movimento per la vita possono trarre beneficio da una  veglia di preghiera?

Leo Pergamo: “Quando andiamo a celebrare l’Eucarestia ricordiamoci sempre di rispettare la vita. E’ per la vita che Dio è morto. Ogni vita è dono di Dio in noi. Compreso il bambino non ancora nato”. Queste parole di Madre Teresa racchiudono il senso profondo della serata che vivremo il prossimo 31 gennaio, ed alla quale invitiamo quanti vorranno unirsi a noi.

Con lo sguardo all’Eucarestia, per trovare il senso profondo, le ragioni ultime dell’impegno a servizio della vita.

Nell’Eucarestia l’impegno per una cultura a servizio di ogni uomo trova pieno compimento, il volontariato a servizio di chi è fragile e debole, in primo luogo il bambino non ancora nato, trova la propria dimensione piena. 

Quale riflessione intendete svolgere sul tema “La forza della vita nella sofferenza”?

Leo Pergamo: La sofferenza, come scritto anche nel messaggio, appartiene al mistero dell’uomo. Rimane un mistero, che solo nel mistero della croce trova il proprio senso.

La sofferenza, dunque, come momento di fragilità, in cui l’uomo si sente, da un lato, bisognoso di aiuto, dall’altro privo di altro, che non sia l’alta dignità di ogni uomo.

Un malato gravemente disabile, incapace di svolgere funzioni o attività di relazione, è privato di tutto, ma non di quella dignità che deriva dall’appartenenza alla famiglia umana. La vita allora appare nella sua forza piena; davvero si dischiude agli occhi il mistero della dignità umana, mentre a tutti è chiesto un impegno a servizio di questi fratelli sofferenti.

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ZENIT Staff

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