Il Papa: più attenzione nelle nullità matrimoniali per immaturità psichica

Nell’udienza ai membri del Tribunale della Rota Romana

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di Mirko Testa

CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 29 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Ricevendo questo giovedì mattina in udienza i membri del Tribunale della Rota Romana, in occasione della solenne inaugurazione dell’Anno giudiziario, Benedetto XVI ha messo in guardia sul pericoloso dilagare delle dichiarazioni di nullità matrimoniale con il pretesto dell’immaturità psichica.

Nella sua riflessione, il Pontefice ha tratto spunto da due discorsi pronunciati da Giovanni Paolo II in merito a questa tematica (5 febbraio 1987 e 25 gennaio 1988), constatando la “grande attualità” di questo problema e la necessità per il giudice di servirsi dell’aiuto dei periti nell’accertamento dell’esistenza di una reale incapacità.

Occorre, infatti, preservare la comunità ecclesiale “dallo scandalo di vedere in pratica distrutto il valore del matrimonio cristiano dal moltiplicarsi esagerato e quasi automatico delle dichiarazioni di nullità, in caso di fallimento del matrimonio, sotto il pretesto di una qualche immaturità o debolezza psichica del contraente”.

A questo proposito, il Papa ha esortato gli operatori del diritto a “trattare le cause con la doverosa profondità richiesta dal ministero di verità e di carità che è proprio della Rota Romana”, ricordando la distinzione importante “tra una maturità psichica che sarebbe il punto d’arrivo dello sviluppo umano e la maturità canonica, che è invece il punto minimo di partenza per la validità del matrimonio”.

Il Pontefice ha quindi posto l’accento sulla differenza tra “difficoltà” e “incapacità” – in quanto solo quest’ultima rende nullo il matrimonio –; “tra la dimensione canonistica della normalità, che ispirandosi alla visione integrale della persona umana, comprende anche moderate forme di difficoltà psicologica, e la dimensione clinica che esclude dal concetto di essa ogni limitazione di maturità e ogni forma di psicopatologia”.

Il Santo Padre ha quindi chiamato a discernere “tra la capacità minima, sufficiente per un valido consenso e la capacità idealizzata di una piena maturità in ordine ad una vita coniugale felice”.

Tra le diverse cause di nullità per immaturità psichica vanno comprese tutte quelle cause che possono aver compromesso in uno dei due coniugi la capacità consensuale nell’assumere e adempiere le obbligazioni fondamentali del matrimonio.

In questi casi rientrano: la mancanza di sufficiente uso di ragione, in cui il soggetto che presenta una grave alterazione delle facoltà psichiche non è cosciente del proprio stato e non è in grado di autodeterminarsi in maniera libera; oppure il cosiddetto “difetto di discrezione di giudizio”, in cui il soggetto tuttavia è cosciente del proprio stato e non perde la razionalità necessaria, come nelle gravi forme di nevrosi e di psicopatie.

 L’incapacità di assumere e adempiere gli obblighi essenziali del matrimonio può anche essere ricondotto a casi di tossicodipendenza o alcoolismo, oppure essere il prodotto di perversioni o affezioni di carattere sessuale.

Le definizioni date dai canonisti dei disturbi della personalità ricalcano da vicino quelle formulate nelle edizioni del Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali elaborato dalla Società Americana di Psichiatria (DSM).

Il DSM li suddivide fondamentalmente in tre gruppi: strano-eccentrico (disturbi paranoide, schizoide e schizotipico della personalità); amplificativo-emotivo (disturbi antisociale, borderline, istrionico e narcisistico); ansioso-pauroso (disturbi di personalità evitante, dipendente e ossessivo-compulsivo). A questi tre gruppi si aggiunge una categoria residuale, denominata disturbo di personalità non altrimenti specificato o “misto”.

Tuttavia la questione della natura psicopatologica dei disturbi di personalità diventa rilevante dal punto di vista canonico solo se la presenza di una seria forma di anomalia clinica va a incidere sulle facoltà naturali della persona, ossia l’intelligenza e la volontà.

Nell’udienza ai membri della Rota Romana il Pontefice ha sottolineato in primo luogo la necessità di “riscoprire in positivo la capacità che in principio ogni persona umana ha di sposarsi in virtù della sua stessa natura di uomo o di donna”.

Successivamente ha messo in guardia contro il rischio nella società odierna di “cadere in un pessimismo antropologico che, alla luce dell’odierna situazione culturale, considera quasi impossibile sposarsi”.

“A parte il fatto che tale situazione non è uniforme nelle varie regioni del mondo – ha osservato – , non si possono confondere con la vera incapacità consensuale le reali difficoltà in cui versano molti, specialmente i giovani, giungendo a ritenere che l’unione matrimoniale sia normalmente impensabile e impraticabile”.

“Anzi – ha precisato –, la riaffermazione della innata capacità umana al matrimonio è proprio il punto di partenza per aiutare le coppie a scoprire la realtà naturale del matrimonio e il rilievo che ha sul piano della salvezza”.

“La capacità deve essere messa in relazione con ciò che è essenzialmente il matrimonio, cioè l’intima comunione di vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, e, in modo particolare, con gli obblighi essenziali ad essa inerenti”.

All’interno degli obblighi essenziali dello stato coniugale va annoverato il consortium vitae oppure lo ius ad vitae communionem, che va identificato con il mutuo aiuto, non solo pratico o dal punto di vista della intimità sessuale, ma anche in senso più ampio e profondo, che orienta verso il bene dei coniugi esaltandone la dimensione oblativa.

La capacità al matrimonio, ha continuato il Papa, “non viene misurata in relazione ad un determinato grado di realizzazione esistenziale o effettiva dell’unione coniugale mediante l’adempimento degli obblighi essenziali, ma in relazione all’efficace volere di ciascuno dei contraenti, che rende possibile ed operante tale realizzazione già al momento del patto nuziale”.

Allo stesso modo, ha ricordato come alcune correnti antropologiche “umanistiche”, orientate “all’autorealizzazione e all’autotrascendenza egocentrica”, idealizzino a tal punto la persona umana e il matrimonio da finire per “negare la capacità psichica di tante persone, fondandola su elementi che non corrispondono alle esigenze essenziali del vincolo coniugale”.

Di fronte a queste concezioni, gli esperti del diritto ecclesiale devono tener conto del “sano realismo” a cui si riferiva Giovanni Paolo II, “perché la capacità fa riferimento al minimo necessario affinché i nubendi possano donare il loro essere di persona maschile e di persona femminile per fondare quel vincolo al quale è chiamata la stragrande maggioranza degli esseri umani”.

Le competenze del Tribunale della Rota Romana, che ebbe origine dalla Cancelleria Apostolica, furono fissate definitivamente da Benedetto XIV con la Costituzione Iustitiae et pacis nel 1747. Da Gregorio XVI (1834) la Rota fu anche tribunale di appello per lo Stato Pontificio, mentre le cause pertinenti il foro ecclesiastico, venivano decise di preferenza dalle Congregazioni.

Le norme vigenti sono state approvate e promulgate da Giovanni Paolo II il 7 febbraio 1994.

La Rota Romana funge da Tribunale di appello e giudica: a) in seconda istanza, le cause definite dai Tribunali ordinari di primo grado e deferite alla Santa Sede per legittimo appello; b) in terza ed ulteriore istanza, le cause trattate già in appello dalla stessa Rota o da un altro Tribunale ecclesiastico d’appello.

Inoltre, è anche Tribunale d’appello per il Tribunale ecclesiastico della Città del Vaticano.

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ZENIT Staff

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