Arcivescovo Marchetto: il dialogo, “motore dell'integrazione dei migranti”

Intervenendo all’Università di San Diego

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di Roberta Sciamplicotti

SAN DIEGO (Stati Uniti), martedì, 27 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Il dialogo è il “motore” dell’integrazione dei migranti nelle società di accoglienza, ha affermato questo martedì l’Arcivescovo Agostino Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti.

Il presule è intervenuto all’Università di San Diego sul tema “Religione, migrazione e identità nazionale” sottolineando che le migrazioni sono “un drammatico segno della nostra epoca tormentata”, “un vasto fenomeno che alcune istituzioni e alcuni Governi vorrebbero controllare o perfino fermare finché non si rendono conto che si tratta di una componente strutturale della realtà socioeconomica e politica della società attuale”.

Per questo, “è inutile cercare di eliminare il fenomeno” e bisogna invece “affrontarlo e concentrare tutti gli sforzi per rispondere alle sfide che presenta e identificare i benefici che può apportare”, usando in primo luogo lo strumento del dialogo.

Quando la gente migra, ha spiegato l’Arcivescovo, “porta con sé non solo la propria capacità di lavorare e di produrre, ma anche le sue caratteristiche personali, i tratti, l’educazione, le convinzioni, le convenzioni sociali, i costumi, le tradizioni, le credenze, la religione”, ossia “tutti quegli elementi stabili e duraturi, così come quelli mutevoli e contingenti, che caratterizzano una cultura”.

Il contrasto che si verifica quando i migranti arrivano in un Paese dalla cultura e dalle tradizioni diverse “può disorientare, soprattutto perché il migrante si vede diverso dalla maggioranza”.

Per questa ragione, ha osservato monsignor Marchetto, “la Chiesa cattolica ha sottolineato la necessità di preparare le persone alla migrazione, attraverso programmi pre-migratori di formazione e istruzione, perché siano in grado di far fronte a questa situazione”.

Migranti e società di accoglienza

In un ambiente nuovo, i migranti cercano in genere compagnia e sicurezza in chi proviene dalla loro stessa Nazione e cultura, ma “se non si aprono lentamente alla vita e alla cultura della società ospite, rifiutando ciò che pensano metta in pericolo la loro identità, possono adottare un atteggiamento di chiusura, che porta alla formazione di ghetti con i loro connazionali e, purtroppo, alla loro emarginazione”.

All’estremo opposto si situa l’adozione in toto della cultura del Paese di accoglienza “senza nemmeno cercare di valutare le sue conseguenze sul proprio stile di vita”.

“Avendo trascurato o inconsciamente soppresso la propria identità culturale”, i migranti “diventano quasi una ‘copia’ dei residenti locali, privando la società ospite dell’arricchente contributo che la loro cultura avrebbe potuto apportarle”.

Di fronte a queste due alternative estreme, la soluzione migliore per il rapporto tra migranti e popolazione del Paese di accoglienza è “la via di un’autentica integrazione, con uno sguardo aperto che rifiuta di considerare soltanto le differenze tra immigrati e locali” ed è pronto ad accogliere gli apporti positivi di tutti.

Il “motore” di questo processo, ha constatato monsignor Marchetto, è il dialogo, perché la vera integrazione avviene quando si verifica un’interazione tra immigrati e popolazione ospite “a livello non solo socio-economico, ma anche culturale”.

“Quando si riconosce il contributo positivo dell’immigrato alla società ospite, attraverso la sua cultura e i suoi talenti, l’immigrato stesso è più motivato a trovare un alto grado di interazione con la popolazione locale, e questo porta a una sana integrazione interculturale”, ha rilevato.

Il risultato del dialogo, aggiunge il presule, “è un arricchimento reciproco delle culture, e la società viene trasformata in un mosaico in cui ogni cultura ha il proprio posto nel comporre un unico disegno, che diventa più bello man mano che aumenta la molteplicità culturale”.

Cultura e religione

Nel suo intervento, monsignor Marchetto ha sottolineato anche l’esistenza di “un forte legame tra cultura e religione, come si può vedere dal fatto che per alcune religioni l’identità religiosa e quella culturale coincidono”.

“In realtà – ha ammesso –, le migrazioni internazionali sono diventate una preziosa opportunità non solo per il dialogo tra culture, ma anche per quello interreligioso”, perché alcuni Paesi con antiche radici cristiane ospitano ora società multiculturali.

In questo contesto, è necessario garantire a tutti la libertà di religione, come espressa dall’articolo 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. “Se quindi la società vuole beneficiare delle migrazioni internazionali – ha sottolineato l’Arcivescovo –, deve rispettare la libertà di migranti di professare, praticare e anche cambiare la propria religione”.

Da questo punto di vista, il presule ha ricordato il principio della reciprocità, da intendere “non solo come un atteggiamento per avanzare richieste, ma come un rapporto basato sul rispetto reciproco e sulla giustizia nelle questioni giuridiche e religiose”.

La reciprocità, ha osservato, “è anche un atteggiamento di cuore e spirito che ci permette di vivere insieme ovunque con gli stessi diritti e doveri”.

Solo in questo modo, ha concluso, si potrà essere consapevoli di ciò di cui parla Papa Benedetto XVI nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2009, cioè che siamo “tutti partecipi di un unico progetto divino, quello della vocazione a costituire un’unica famiglia in cui tutti – individui, popoli e Nazioni – regolino i loro comportamenti improntandoli ai principi di fraternità e di responsabilità”.

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ZENIT Staff

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