di Renzo Allegri
ROMA, martedì, 27 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Se fosse ancora in questo mondo, Chiara Lubich avrebbe festeggiato in questi giorni il suo 89° compleanno, essendo nata a Trento il 22 gennaio 1920.
Ogni anno, gli aderenti al Movimento da lei fondato, i Focolarini, celebravano questo anniversario. In qualunque luogo si trovassero, era per loro un giorno di grande festa. Grande e vastissima festa dal momento che, tra aderenti e simpatizzanti, il Movimento dei Focolarini costituisce un esercito immenso, un autentico popolo di circa sei milioni di persone presenti in 182 Paesi.
Quest’anno è il primo compleanno della loro fondatrice che non possono festeggiare, perché, come essi dicono, ma lo dicono con gioiosa serenità: “Il 14 marzo scorso Chiara Lubich è andata alla casa del Padre”.
Una donna incredibile. Riservata, umile, affabile, carismatica, di un carisma travolgente che affascinava tutti.
Molti, soprattutto tra coloro che non sono interessati alle vicende religiose, si sono meravigliati nell’apprendere dai giornali che i funerali di Chiara sono stati celebrati con una solennità eccezionale, riservata in genere ai grandi santi.
La cerimonia si è svolta a Roma, nella Basilica di San Paolo fuori le mura che, con San Pietro, è la più importante Basilica della Cristianità.
Il rito è stato officiato dal Cardinale Tarcisio Bertone, il Segretario di Stato del Vaticano. Il Papa ha inviato un suo particolare messaggio.
Era presente una folla incredibile. Molte personalità di tutte le religioni. Molti politici. “Chiara è stata un dono per la Chiesa e per il mondo”, ha detto il Cardinale Bertone nell’omelia.
“Chiara ha scritto una pagina di storia della Chiesa”, ha sentenziato la prestigiosa rivista dei gesuiti “Civiltà Cattolica”.
Nata a Trento, Chiara Lubich aveva una madre molto credente e un padre socialista, che era anche antifascista e, a causa delle sue idee politiche, perse il lavoro di tipografo e la famiglia dovette affrontare molte difficoltà economiche.
Chiara volle studiare e lavorava per pagarsi l’università. Si laureò in filosofia, ma già al liceo la sua mente e il suo cuore erano agitati da una passione speciale: aveva scoperto il Vangelo e si era innamorata di Gesù.
A 19 anni, durante una visita alla Santa Casa di Loreto, ebbe come una folgorazione interiore: le parve di sentire la voce di Dio che la invitava a svolgere una missione importante, ma non sapeva quale.
Nel 1942, decise di consacrare la sua vita a Dio, pur continuando a vivere nel mondo. Un giorno del 1944, mentre, insieme ad alcune amiche che condividevano i suoi ideali, si trovava in un rifugio antiaereo, capì quale era la missione che Dio le chiedeva.
“Avevamo portato con noi il Vangelo”, raccontava. “Lo aprimmo a caso e sotto i nostri occhi si presentò la pagina di Giovanni al capitolo 17, versetto 21: ‘Che tutti siano uno, Padre, come io e te’. Quelle parole ci parvero una rivelazione. Quel ‘tutti’ sarebbe stato il nostro orizzonte. Quel progetto di unità, la ragione della nostra vita”.
Che cosa abbia fatto Chiara Lubich nel corso della sua lunga esistenza per “concretizzare” quella frase, “Che tutti siano uno”, che lei diceva essere il “Testamento di Gesù”, è impossibile anche solo immaginarlo.
Le opere, le iniziative, gli scritti, i discorsi, le testimonianze, i convegni, i viaggi, i movimenti: un fiume di attività.
Fin da quei primi anni, durante l’estate organizzava degli incontri sulle montagne trentine e li chiamava “Mariapoli”.
Cioè “cittadelle di Maria”. I partecipanti erano invitati a vivere secondo la legge evangelica dell’amore reciproco, e dell’assoluta unità fraterna, con la conseguente comunione di ogni ricchezza, materiale, spirituale, culturale. Erano momenti in cui si realizzava il desiderio di Gesù “Che tutti siano uno”.
Ma erano “momenti di aggregazione temporanei”, che duravano il tempo di un convegno. Chiara voleva che quell’esperienza diventasse permanente, quasi un laboratorio dove progettare il grande sogno di un mondo unito.
E ci riuscì nel 1964. A Loppiano, in Toscana fondò la prima cittadella della fraternità permanente, seguita poi da altre. Attualmente sono 33, sparse in giro per il mondo.
Alcune settimane fa, sono andato a visitare Loppiano. Un’esperienza veramente indimenticabile. Arrivarci è semplice: sulla autostrada A1, si esce ad Incisa Val d’Arno, si prende la strada per le colline e dopo una ventina di chilometri si incontra Loppiano: una cittadina popolata da novecento abitanti, appartenenti a settanta diversi Paesi di cinque continenti.
Non sono extracomunitari in attesa di un lavoro o del permesso di soggiorno. E neppure turisti incantati dalla bellezza delle colline toscane. Sono cittadini che abitano e lavorano dando vita ad una comunità singolare che non ha eguali al mondo.
Una cittadina moderna con negozi, sale per incontri, centri d’arte, atelier, piccole aziende, negozi, scuole e una grande chiesa dedicata a Maria Theotokos, cioè “madre di Dio”.
Un centro cosmopolita, ecumenico, dove non esistono distinzioni di religione, razza, etnia o cultura. Dove ognuno segue il proprio credo, le proprie tradizioni, ma è strettamente unito agli altri da una sola regola che costituisce la ragione specifica della cittadina: vivere secondo il comandamento di Gesù: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”. “Padre, che tutti siano uno, come io e te”.
Camminare per Loppiano è un’esperienza incantevole. Si incontrano persone cordiali che si fermano a chiacchierare, ti danno subito del “tu” e il sorriso che hanno sul viso è spontaneo.
Incontro una giornalista, Stefania, focolarina, responsabile dell’Ufficio informazioni e una signora, Elda Pardi, toscana, focolarina anche lei, amica di Chiara Lubich e che è stata una delle prime cittadine di Loppiano.
Ora svolge il ruolo di rappresentante degli abitanti per i rapporti con le istituzioni, una specie di sindaco della cittadina. In macchina mi accompagnano a visitare la cittadina, che si estende su un territorio di 260 ettari con coltivazioni di ulivi, vigneti, alberi da frutta.
Tutti gli abitanti lavorano per vivere. I beni e il lavoro sono considerati “mezzi” per realizzare la fraternità universale e così ognuno pensa anche agli altri. In questo modo non esistono persone in difficoltà economiche. La cittadina è come una grande famiglia, i cui membri vivono l’uno per l’altro.
“Loppiano è la città della fratellanza, della solidarietà, della comprensione e dell’amore”, dice Elda Pardi. “E’ un punto d’incontro tra i popoli, le culture e le fedi religiose. Un cantiere aperto in cui sperimentare che l’unità tra uomini è davvero possibile”.
“Un progetto – ha aggiunto – che potrebbe sembrare utopia ma che invece è una bellissima realtà, esistente da 44 anni, e che ha già ramificazioni in giro per il mondo. E la realizzazione del grande sogno di unità di Chiara Lubich”.
Elda Pardi mi racconta che il terreno venne regalato a Chiara da uno dei suoi più stretti amici di allora, Vincenzo Folonari, giovane rampollo della celebre famiglia bresciana produttrice di vino, purtroppo morto giovane. Ma, grazie a quella donazione, Chiara poté dare concretezza al suo sogno.
Ora, a Loppiano è sorto anche un Istituto Universitario, che si chiama “Sophia”. E’ stato inaugurato all’inizio di dicembre. “Un altro sogno di Chiara che si realizza”, dice monsignor Piero Coda, preside dell’Istituto.
“Anche questo progetto dell’Università risale a molti anni fa. Chiara lo ha elaborato con lunghe e interminabili riunioni cui partecipavano diversi professori italiani e stranieri e c’ero anch’io”.
Laureato in filosofia a Torino, per molti anni docente
di teologia alla Pontificia Università Lateranense, presidente dell’Associazione teologi italiani, monsignor Piero Coda è, quindi, un vecchio amico di Chiara Lubich.
“Svolgo l’incarico di preside per volere della stessa Chiara”, dice. “La sua ultima firma, prima di morire, la fece proprio per proporre me come preside di questa facoltà. Stare qui è come continuare a lavorare con lei”.
L’Istituto fornisce un dottorato nell’approfondimento delle relazioni che legano le diverse discipline al servizio dell’uomo nella luce del Vangelo.
Prepara uomini adatti a far crescere nel mondo l’unità e la pace. E’ frequentato, come primo anno di corso, da 40 studenti che provengono da 14 nazioni diverse. Sono già tutti laureati e vengono qui per dare alla loro preparazione scientifica una dimensione più ampia, aperta al dialogo con gli altri, illuminata dal “carisma dell’unità” tipica del Movimento Focolarino.
“Questi ragazzi non hanno sogni di profitto economico, di carriera, di successo mondano”, spiega il professor Coda.
“Il loro desiderio è quello di una vita migliore, di un mondo più giusto. E sanno che questo è possibile attraverso la fratellanza, attraverso il Vangelo che in questa Università diventa non solo esperienza di ricerca culturale, ma anche esperienza di vita”.
“Oggi si parla molto di economia e di finanza”, continua il professor Piero Coda. “Bene: qui a Loppiano abbiamo un modo di fare economia che è assolutamente straordinario. Chiara Lubich lo aveva chiamato ‘Economia di comunione’”.
E’ un progetto che si rivolge principalmente alle imprese. Promuove la nascita di aziende che si impegnano a destinare una parte degli utili ai più poveri, una seconda parte a diffondere la cultura “del dare” e una terza parte alla crescita e alla creazione di nuovi posti di lavoro.
A Loppiano c’è un “polo imprenditoriale” con 21 imprese diverse nel campo tessile e dell’artigianato, alimentare e d’arredamento. Imprese che mettono in pratica con successo il principio dell’ “economia di comunione”.
Anche altre nazioni hanno raccolto questa sfida e oggi sono circa 800 le aziende che nel mondo vogliono dimostrare come l’impresa possa davvero diventare lo strumento di un mondo più fraterno, un’arma contro la miseria e la disuguaglianza.
“Se anche i politici credessero a questo progetto – ha concluso Coda -, penso che si potrebbero fare passi veramente concreti verso il superamento della crisi economica che ora sta spaventando”.