Le vittime civili non sono “solo un effetto collaterale della guerra”

Un fenomeno in aumento, denuncia l’Arcivescovo Celestino Migliore

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NEW YORK, venerdì, 16 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Le vittime civili dei conflitti armati non possono essere considerate “solo un effetto collaterale della guerra”, ha avvertito la Santa Sede all’ONU.

L’Arcivescovo Celestino Migliore, Nunzio Apostolico e Osservatore Permanente della Santa Sede presso il Palazzo di vetro, ha offerto questo giovedì alcuni criteri morali intervenendo al dibattito sulla protezione dei civili nei conflitti armati, svoltosi al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Il rappresentante papale ha iniziato constatando che “il Consiglio di Sicurezza affronta la questione della difesa dei civili nei conflitti armati da più di dieci anni”.

La sicurezza dei civili durante i conflitti, ha denunciato, “sta diventando sempre più critica, se non a volte drammatica, come abbiamo testimoniato nei mesi, nelle settimane e nei giorni scorsi nella Striscia di Gaza, in Iraq, nel Darfur e nella Repubblica Democratica del Congo, solo per fare qualche nome”.

Per questo motivo, ha rivolto un appello “ad assicurare la protezione dei civili attraverso un maggiore rispetto per le regole del Diritto internazionale umanitario”.

A questo scopo ha presentato tre pilastri fondamentali per assicurare più protezione ai civili nei conflitti: “accesso umanitario, speciale protezione dei bambini e delle donne e il disarmo”.

“Lo schiacciante maltrattamento di civili in troppe parti del mondo non sembra essere solo un effetto collaterale della guerra”, ha proseguito.

“Continuiamo a vedere civili presi di mira deliberatamente come mezzi per raggiungere obiettivi politici o militari”, ha lamentato, aggiungendo che “negli ultimi giorni abbiamo testimoniato un fallimento pratico, da ogni parte, nel rispettare la distinzione tra obiettivi civili e militari”.

“E’ triste – ha dichiarato – che i progetti politici e militari scavalchino il rispetto per la dignità e i diritti delle persone e delle comunità, quando i metodi o gli armamenti vengono usati senza prendere tutte le misure ragionevoli per evitare i civili; quando le donne e i bambini sono usati come scudo dai combattenti; quando viene negato l’accesso umanitario nella Striscia di Gaza; quando in Darfur la gente viene sfollata e i villaggi sono distrutti; quando vediamo la violenza sessuale che devasta la vita delle donne e dei bambini nella Repubblica Democratica del Congo”.

In questo contesto, il presule ha riconosciuto che “la protezione dei civili richiede non solo un rinnovato impegno nei confronti del Diritto umanitario, ma in primo luogo una volontà politica e un’azione positive”.

La protezione dei civili, ha constatato, “deve essere basata su un diffuso esercizio responsabile della leadership. Ciò richiede che i leader esercitino il diritto di difendere i propri cittadini o il diritto all’autodeterminazione ricorrendo solo a mezzi legittimi”.

Richiede anche, ha aggiunto, il pieno riconoscimento della loro responsabilità nei confronti della comunità internazionale e il rispetto per il diritto di altri Stati e comunità “di esistere e coesistere in pace”.

Monsignor Migliore ha affermato che “il crescente numero delle vittime di guerra e delle conseguenze per i civili deriva anche dalla produzione massiccia e dalla continua innovazione e sofisticazione degli armamenti”.

“La qualità e disponibilità sempre maggiore di armi di piccolo calibro e di armi leggere, così come delle mine antiuomo e delle bombe a grappolo, rende tragicamente l’uccisione di esseri umani molto più semplice ed efficace”.

Il presule ha quindi lodato la Convenzione sul bando delle bombe a grappolo e ha incoraggiato i Paesi a “ratificare questo trattato come una questione prioritaria e un segno del loro impegno per far fronte alla morte delle popolazioni civili”.

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ZENIT Staff

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