La Chiesa in Italia celebra la "Giornata dell'ebraismo"

La Conferenza Rabbinica Italiana non parteciperà tuttavia all’evento

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ROMA, venerdì, 16 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Il 17 gennaio, la Chiesa in Italia, in Polonia, in Austria e nei Paesi Bassi celebra – ormai dal 1990 – la “Giornata dell’ebraismo”, intesa a favorire l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei.

Tuttavia, a causa delle controversie suscitate dalla riformulazione della preghiera del Venerdì Santo per gli ebrei — del Messale del 1962 — la Conferenza Rabbinica Italiana – che dal 2001 promuove questa Giornata insieme alla Conferenza Episcopale Italiana (CEI) – ha deciso di non partecipare all’evento, specificando però di non voler interrompere il dialogo con la Chiesa cattolica.

Benedetto XVI – con una nota della Segreteria di Stato pubblicata da “L’Osservatore Romano” nell’edizione italiana del 6 febbraio 2008 – ha modificato la preghiera per gli ebrei che si recitava nella liturgia del Venerdì Santo prima del Concilio Vaticano II e che d’ora in poi verrà utilizzata solo dalle comunità che celebrano la liturgia secondo questa forma “straordinaria” del rito latino.

La nuova formulazione prevede l’invocazione affinché Dio “illumini” i cuori degli ebrei, “perché riconoscano Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini”.

Oggi la grande intercessione per la liturgia della Passione, il Venerdì Santo, in base al messale adottato nel 1969 ed entrato in vigore nel 1970 sotto Paolo VI (forma “ordinaria”), recita: “Preghiamo per gli ebrei” perché Dio “li aiuti a progredire sempre nell’amore del suo nome e nella fedeltà alla sua alleanza”.

Il Cardinale Walter Kasper, Presidente della Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo,  in un articolo  pubblicato il 10 aprile 2008 su L’Osservatore Romano”, ha affermato che la preghiera ha un carattere del tutto escatologico e che non si può collegare in alcun modo con un appello a una concreta missione verso gli ebrei.

Il 13 gennaio il Rabbino capo di Venezia, Elia Enrico Richetti, in uno scritto apparso su “Popoli”, la rivista missionaria dei gesuiti italiani, ha commentato che “se io ritengo, sia pure in chiave escatologica, che il mio vicino debba diventare come me per essere degno di salvezza, non rispetto la sua identità”.

“Non si tratta, quindi – ha aggiunto – di ipersensibilità: si tratta del più banale senso del rispetto dovuto all’altro come creatura di Dio”.

“Se a ciò – ha proseguito – aggiungiamo le più recenti prese di posizione del Papa in merito al dialogo, definito inutile perché in ogni caso va testimoniata la superiorità della fede cristiana, è evidente che stiamo andando verso la cancellazione degli ultimi cinquant’anni di storia della Chiesa”.

In una intervista ai microfoni della “Radio Vaticana”, monsignor Vincenzo Paglia, Presidente della Commissione della Conferenza Episcopale Italiana per l’Ecumenismo e il Dialogo, ha ribattuto che il dialogo tra cattolici ed ebrei non solo non è stato interrotto ma si è allargato anche sul piano della riflessione teologico-morale.

Il Vescovo di Terni ha quindi invitato alla calma: “Credo che tutti dobbiamo essere saggi, evitando semplificazioni sciocche che poi alla fine nuocciono agli uni e agli altri”.

Il presule ha poi sottolineato che “non solo gli eventi drammatici di questi giorni nella Terra Santa, ma anche quei focolai di antisemitismo che qua e là ogni tanto riappaiono, spingono ebrei e cristiani a stringere, a serrare le fila, se così posso dire, e comunque a non allentare affatto le fila del dialogo”.

Per questa Giornata, l’Ufficio nazionale CEI per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso ha diffuso un Messaggio dal titolo “Ebrei e cristiani. 1959-2009: mezzo secolo di dialogo”.

Il testo ripercorre i momenti più rilevanti del cammino di scambio e amicizia tra le due comunità di fede, a partire dalla omissione dell’aggettivo “perfidi” (che nella forma latina significava “non fedeli alla nostra fede”), dalla preghiera pro Judaeis del Venerdì Santo 1959, per volontà del Papa Giovanni XXIII.

Frutto del Concilio Ecumenico Vaticano II, la Dichiarazione “Nostra Aetate” del 28 ottobre 1965 pose le fondamenta del successivo dialogo cattolico-ebreo, “un movimento crescente di confronto, studi comuni e collaborazione fraterna, che ha comportato anche l’esame critico del passato, spesso polemico, non negandolo ma cercandone il superamento entro le nuove prospettive ecumeniche e interreligiose”.

Suggello del nuovo orientamento fu la visita di Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma, il 13 aprile 1986.

Qui il Pontefice chiamò gli ebrei “i nostri fratelli maggiori”: “La religione ebraica – disse – non ci è estrinseca, ma in un certo qual modo è intrinseca alla nostra religione. Abbiamo quindi verso di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun’altra religione. Siete i nostri fratelli prediletti, e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori”.

Anche Benedetto XVI ha più volte ribadito il legame intrinseco tra la Chiesa e Israele nel corso di udienze e incontri con le comunità ebraiche del mondo e gli organismi impegnati nel dialogo.

Dal punto di vista degli sforzi intrapresi dalle due religioni per intavolare un dialogo sempre più fruttuoso, di notevole importanza sono i contatti avviati nel giugno del 2002 tra la Commissione vaticana per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo e il Grande Rabbinato di Israele.

 

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ZENIT Staff

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