CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 1° gennaio 2009 (ZENIT.org).- Questo giovedì, nello Stato della Città del Vaticano, è entrata in vigore una nuova legge sulle fonti del diritto, secondo cui l'ordinamento canonico diverrà “la prima fonte normativa” e il “primo criterio di riferimento interpretativo”, mentre le leggi italiane non verranno più recepite automaticamente.

Le norme - promulgate da Benedetto XVI nell'ottobre del 2008 e che sostituiscono la legge del 7 giugno 1929 (emanata in seguito ai Patti Lateranensi firmati l'11 febbraio dello stesso anno) - sono state presentate in un articolo apparso su “L'Osservatore Romano”, a firma di José María Serrano Ruiz, Presidente della Corte di Appello dello Stato della Città del Vaticano e Presidente della Commissione per la revisione della Legge sulle Fonti del Diritto Vaticano.

La legge, ha sottolineato Serrano Ruiz, che prevede una riduzione del numero degli articoli - da 25 (nel 1929) agli attuali 13 - mette in luce la “posizione preferenziale del diritto della Chiesa nel Corpus Vaticanum”, riconoscendone la “sua genuinità autonoma e autoctona”.

“Né rientrerebbe nelle prospettive della Chiesa del Vaticano II – ha proseguito – indicare nella sua legge spirituale e universale, cioè nel diritto canonico, una norma di vigenza e applicazione formale e immediata nella comunità giuridica e politica vaticana”.

Di seguito ha poi segnalato “la recezione della legislazione italiana come fonte suppletiva”.

“Per lo più quindi – ha spiegato – i rapporti tra i due enti sovrani dovranno essere regolati da disposizioni chiare e che riconoscano nello stesso tempo la completa autonomia e la necessaria collaborazione di entrambi”.

La nuova legge introduce però un cambiamento importante. Infatti, mentre la precedente prevedeva “una sorta di recezione automatica che si presumeva come regola, solo eccezionalmente rifiutata per motivi di radicale incompatibilità con leggi fondamentali dell'Ordinamento canonico o dei trattati bilaterali, nella nuova disciplina si introduce la necessità di un previo recepimento da parte della competente autorità vaticana”.

Quest'ulteriore “cautela” nella recezione della legislazione italiana, ha proseguito, è giustificata da tre ragioni: il numero “esorbitante di norme nell'Ordinamento italiano”; “l'instabilità della legislazione civile per lo più molto mutevole” (riferimento all' “ideale tomista” di un ordinamento razionale della legge); e infine “un contrasto, con troppa frequenza evidente, di tali leggi con principi non rinunziabili da parte della Chiesa”.

In una intervista alla “Radio Vaticana”, il prof. Giuseppe Dalla Torre, Presidente del Tribunale del Vaticano, ha spiegato che le norme costituiscono “una semplificazione rispetto alla legge del 1929; e poi, l’aspetto più importante è il fatto che viene sostituito il richiamo al Codice civile del 1865 con il Codice civile italiano del 1942”.

“Si tratta di un’innovazione importante per quanto riguarda l’aggiornamento – ha proseguito –, ma non così rilevante per quanto riguarda i contenuti giuridici, perché il filtro alle leggi italiane c’è sempre stato, anche nella precedente legge sulle fonti del 1929”.

Infatti, ha tenuto a ribadire, “la legislazione italiana è sempre stata richiamata in via suppletiva”.

La nuova legge, secondo il prof. Giuseppe Dalla Torre, non rappresenta in alcun modo un atto di rottura o un atteggiamento polemico nei confronti dell'ordinamento italiano, né una levata di scudi contro le leggi che si annunciano in Italia su temi di bioetica.
 
Del resto, ha osservato, “anche l’ordinamento italiano, come quello di qualsiasi altro Stato, prevede dei filtri alla recezione di norme di ordinamenti stranieri, perché evidentemente ogni Stato vuole cautelare il proprio ordinamento giuridico dalla intromissione di valori che siano incompatibili con i principi dell’ordinamento giuridico stesso”.

In una intervista al “Corriere della Sera”, invece, il Direttore dell' “Osservatore Romano”, Gian Maria Vian, ha spiegato che la “cautela” verso le leggi italiane non rappresentano un passo indietro rispetto allo spirito di “laicità” che animò Papa Pio XI, nel decidere di affidare la legislazione vaticana del 1929 a un giurista non cattolico come lo studioso ebreo Federico Cammeo.

“Questo piccolo Stato ha un ordinamento giuridico proprio perché non è teocratico – ha affermato –. E le sue leggi [...] non sono desunte tout court dal diritto canonico”.

“Basta leggere il Codice di diritto canonico del 1983”, ha detto, dove “al canone 2 si dice: 'Le leggi civili alle quali il diritto della Chiesa rimanda, vengano osservate nel diritto canonico con i medesimi effetti [...] in quanto non siano contrarie al diritto divino e se il diritto canonico non dispone altrimenti”.