Quando Natalia Ginzburg invitava a non togliere il crocifisso

L’Arcivescovo Ravasi: “Se togliamo il cristianesimo, perdiamo il nostro volto”

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ROMA, martedì, 2 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Ha destato molto scalpore la decisione del magistrato spagnolo Alejandro Valentin di far rimuovere tutti i crocifissi dalle aule e dagli spazi comuni della scuola pubblica ‘Macias Picavea’ di Valladolid.

Il giudice ha accolto la richiesta avanzata nel 2005 dal genitore di un alunno e da una associazione locale per la difesa della scuola laica, secondo i quali va garantito “la libertà di religione e di culto” e assicurato il carattere “laico e neutrale” dello Stato spagnolo sui temi religiosi.

I crocifissi sono presenti nella scuola ‘Macias Picavea’ di Valladolid dal 1930, e più volte il consiglio di istituto si era espresso contro la loro rimozione.

In alcune dichiarazioni riprese da APCOM, monsignor Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, ha ricordato a margine di un Convegno in Vaticano un articolo scritto da Natalia Ginzburg, in cui la scrittrice difendeva il crocifisso.

In effetti era il 1988 quando scoppiò in Italia la polemica sulla presenza del crocifisso nelle aule scolastiche.

Tra i tanti interventi sulla legittimità o meno della presenza del crocifisso, Antonio Socci, nel libro appena arrivato in libreria “Indagine su Gesù” (Rizzoli), riporta cosa affermò la scrittrice di origine ebraiche sul quotidiano comunista “L’Unità” il 22 marzo del 1988.

Nell’articolo intitolato “Non togliete quel crocifisso”, Natalia Ginzburg scrisse: “Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. E’ l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea di uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente”.

“La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Vogliamo forse negare che ha cambiato il mondo? Sono quasi duemila anni che diciamo ‘prima di Cristo’ e ‘dopo Cristo’. O vogliamo smettere di dire così?”, si chiedeva.

“Il crocifisso è simbolo del dolore umano. La corona di spine, i chiodi evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino”.

“Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Per i cattolici, Gesù Cristo è il figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo”.

“Chi è ateo – continuava la scrittrice –, cancella l’idea di Dio, ma conserva l’idea del prossimo”.

“Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e martoriati per la propria fede, per il prossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri delle scuole non c’è immagine”.

“E’ vero, ma il crocifisso li rappresenta tutti”.

“Come mai li rappresenta tutti? Perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei, neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà tra gli uomini”, affermava la Ginzburg.

“Gesù Cristo ha portato la croce. A tutti noi è accaduto di portare sulle spalle il peso di una grande sventura. A questa sventura diamo il nome di croce, anche se non siamo cattolici, perché troppo forte e da troppi secoli è impressa l’idea della croce nel nostro pensiero”.

“Alcune parole di Cristo, le pensiamo sempre, e possiamo essere laici, atei o quello che si vuole, ma fluttuano sempre nel nostro pensiero ugualmente”.
<br>“Ha detto ‘ama il prossimo come te stesso’. Erano parole già scritte nell’Antico Testamento, ma sono diventate il fondamento della rivoluzione cristiana. Sono la chiave di tutto”.

Natalia Ginzburg concludeva il suo articolo affermando: “Il crocifisso fa parte della storia del mondo”.

“L’identità di un popolo e di una cultura – ha commentato l’Arcivescovo Ravasi – è una ricchezza. Elliot diceva: se togliamo il cristianesimo dal nostro orizzonte non perdiamo la fede, perdiamo il nostro volto. E tra persone senza volto non è più possibile dialogare…”.

 

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ZENIT Staff

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