Una legge sul fine vita “al di là di ogni visione ideologica”

Monsignor Rino Fisichella inaugura il master in Bioetica alla “Regina Apostolorum”

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di Luca Marcolivio

ROMA, lunedì, 1 dicembre 2008 (ZENIT.org).- La ricerca nell’ambito delle biotecnologie è in costante evoluzione, pertanto l’etica laica e quella cattolica devono dare una risposta convincente in materia. La tematica è stata affrontata da monsignor Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la vita e rettore della Pontificia Università Lateranense, il 27 novembre scorso, durante la lezione inaugurale del master in Bioetica dell’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” (APRA).

La prolusione di monsignor Fisichella è stata introdotta dal rettore dell’APRA, padre Pedro Barrajon LC e da padre Gonzalo Miranda LC, già decano della Facoltà di Bioetica dello stesso ateneo. Entrambi hanno sottolineato l’importanza di conciliare “l’indubbio valore della scienza con il rispetto della vita umana”, considerato che la bioetica non è più ormai un argomento di mera discussione accademica ma un tema che prende animo “nelle piazze e tra la gente”.

Fisichella ha esordito richiamandosi al dibattito in corso sul testamento biologico e sulle problematiche etiche legate alla fine della vita. “Ci auguriamo – ha detto – una legge sul fine vita, il più possibile partecipata da tutto il parlamento, indipendentemente dall’essere laici o cattolici”.

Tale legge, secondo il presidente della Pontificia Accademia per la Vita, “dovrebbe riguardare la dignità di ogni persona nel momento decisivo della propria esistenza”. Fisichella ha inoltre auspicato che la normativa “vada al di là di ogni visione ideologica, e sappia puntare al bene di tutti”.

Il teologo ha poi fatto riferimento alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (di cui quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario) e del rischio di una deformazione del concetto di diritto naturale. “Papa Benedetto XVI – ha affermato Fisichella – ha sottolineato che, di decade in decade, si celebra l’anniversario di questa conquista dell’umanità, con il rischio di cadere nella retorica”.

“I diritti dell’uomo vanno riempiti dello spirito del tempo – ha aggiunto – e riletti alla luce del progresso scientifico e culturale. Le tecnologie rivoluzionarie che si sono sviluppate negli ultimi anni provocano domande di natura etica. Penso alla clonazione, al genoma umano, agli organismi geneticamente modificati, alla sperimentazione selvaggia sulle cellule umane”.

“Oggi – ha proseguito Fisichella – si è arrivati al paradosso che molti governi occidentali rivendicano nuovi diritti individuali, indicandoli come progresso ed evoluzione della società, e sono carenti, invece, in fatto di solidarietà verso i paesi in via di sviluppo dove diritti fondamentali come il nutrimento, la sanità e l’istruzione sono calpestati”.

Altro diritto costantemente violato è quello della libertà religiosa, come testimonia “l’assordante silenzio delle organizzazioni internazionali sul massacro dei cristiani nel mondo”, ha aggiunto il rettore della Pontificia Università Lateranense. “I nostri ordinamenti pretendono di soddisfare i desideri prima ancora delle esigenze fondamentali. In questo modo il confine tra diritto e prepotenza diventa molto labile”.

“Vivendo chiusi nella rivendicazione dei nostri diritti non andremo lontano – ha detto ancora Fisichella –. Si rende necessaria l’apertura alla trascendenza, ovvero riconoscere nell’altro la nostra stessa dignità, insieme alla centralità della persona umana”.

Altro principio da rivalutare è la legge naturale, la quale “non è un principio cattolico ma la maturazione della legge umana stessa. Già Cicerone affermava che la legge naturale non può essere abrogata dalle leggi umane e l’uomo che disobbedisce alla legge di natura ‘fugge da se stesso’ e si auto rinnega. Essa è stata concessa da Dio all’umanità come segno del suo amore”.

Interpellato sul testamento biologico, Fisichella ha affermato che, contrariamente a quanto affermava Heiddeger (“vivere è per morire”), “l’esistenza è finalizzata alla vita, quindi la richiesta di mettere fine alla propria vita non è una manifestazione di libertà. Ogni ordinamento giuridico dovrebbe essere fatto per difendere la vita, non per concedere il diritto alla morte: d’altra parte il nostro codice penale condanna il suicidio”.

Dal tema del testamento biologico, Fisichella ha tratto lo spunto per parlare del caso di Eluana Englaro, lamentando la disinformazione in merito. A differenza di Piergiorgio Welby, Eluana non è una malata terminale, “respira da sola, non è attaccata ad alcuna macchina, si addormenta la sera e si risveglia la mattina; probabilmente sogna”.

Nonostante ciò c’è chi chiede erroneamente di “staccare la spina” e “c’è chi parla di lei come un ‘sacco di patate’, come ho letto su un quotidiano nazionale”, ha affermato Fisichella. “Il problema non è il sondino, bensì cosa le metti nel sondino: se sono medicine è accanimento terapeutico, ma visto che le si dà solo da mangiare e da bere, non possiamo parlare di terapia”.

Per valutare tecnicamente la sussistenza, o meno, dell’accanimento terapeutico, dal punto di vista medico “bisogna capire o valutare se la cura è proporzionale allo stato di salute del paziente”, ha precisato Fisichella.

Sempre in merito al caso Welby, la “strumentalizzazione politica” ha portato ad esprimere “un giudizio riguardo la liceità del suicidio e dell’eutanasia come diritto di una persona che lo Stato doveva riconoscere”, ha poi concluso.

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ZENIT Staff

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