di Antonio Gaspari
ROMA, lunedì, 29 settembre 2008 (ZENIT.org).- Sarà in libreria a fine novembre, ma il libro “L’Anello e la croce”(Rubbettino), scritto da Andrea Monda, ha già suscitato un notevole interesse.
Il libro si propone esplicitamente di indagare il significato teologico de “Il Signore degli anelli”, cercando di capire chi sono veramente gli hobbit, rispondendo a domande del tipo: e se fossero le nuove figure di eroi che ben si attagliano alle atrocità e ai drammi del XX secolo? E se fossero figure di santi? E se Frodo fosse una figura di Cristo?
Monda, professore e giornalista, che ha già pubblicato nel 2002, insieme a Saverio Simonelli, un volume dal titolo “Tolkien, il signore della fantasia”, è convinto che gli hobbit incarnino “i piccoli che saranno i primi” e gli “umili” del Vangelo ai quali saranno rivelati i segreti del Regno.
Intervistato da ZENIT, Monda ha spiegato che “Il Signore degli Anelli di Tolkien è un libro dal duplice destino: snobbato dalla critica letteraria ufficiale (specialmente in Italia), ha ricevuto dai lettori di tutto il mondo, da oltre cinquant’anni, un successo straordinario che lo ha portato ad essere uno dei libri più letti ed amati”.
Una delle questioni più discusse dai critici e dai lettori in questo mezzo secolo è stata la reale o presunta natura religiosa dell’opera.
Per l’autore de “L’anello e la croce” se da una parte “all’interno del romanzo non si trovano elementi espliciti di religiosità”, dall’altra “la storia stessa raccontata da Tolkien, e i suoi significati, rivelano una sostanza non solo religiosa ma squisitamente cristiana e cattolica”.
Nell’opera di Tolkien, Monda legge la figura messianica in tre personaggi: Aragorn, il re; Gandalf, il profeta; Frodo (che non per nulla è celibe…), il sacerdote.
Quest’ultimo risponde a una missione e obbedisce a una volontà altrui, quella di Gandalf, essendo pronto al sacrificio per salvare gli altri.
E Gollum? Per Monda “l’ambiguo hobbit è come Giuda”, un traditore che però alla fine si trasforma in strumento provvidenziale.
Monda ha raccontato a ZENIT di aver letto “Il Signore degli Anelli” la prima volta nel 1978 e di averlo da allora discusso e commentato in più occasioni. Il libro “L’anello e la croce” nasce dalla tesi di laurea in Scienze Religiose, che ha conseguito presso la Pontificia Università Gregoriana nel 2005.
Alla domanda su come abbia fatto a vedere la teologia in un romanzo di avventura e fantasia, il professor Monda ha sostenuto che “la vita è un’avventura”, e per il cristiano “la vita non è solo lo scorrere del tempo cronologico, biologico, ma è l’accogliere il Dio che viene, l’avvento del Cristo che irrompe nella nostra esistenza e la trasforma. La storia umana non è solo umana”.
“E la fantasia – ha continuato Monda – non è solo una sterile evasione in un mondo immaginario”.
Se la fantasia è quella cosa che la parola stessa indica (dal greco Fòs, luce) allora si capisce che essa “non è ‘evasione’ bensì ‘visione’ e quindi tutto cambia. Con la fantasia l’uomo si rende conto che il mondo non è solo quello che appare, che la realtà non coincide con la verità ma ad essa rinvia, la realtà diventa segno e simbolo”.
In merito alla visione simbolica del romanzo e dei personaggi ideati da Tolkien, Monda è convinto che “Tolkien era uno spirito profondamente religioso e cattolico (e così definisce anche il suo romanzo più famoso), voleva parlare delle cose eterne, non di quelle transeunte, per citarlo direi che lui amava i fulmini e non le lampadine, i cavalli e non le automobili”.
“A lui interessava ciò che ‘resta’, cioè che ‘resiste’. E sapeva che questa è la carità, come dice San Paolo nella lettera ai Corinzi. E allora s’inventa una storia dove l’amicizia e l’amore sono le cose che resistono a tutto, anche alla catastrofe finale che per Tolkien è una eu-catastrofe (è un suo termine): uno sconvolgimento improvviso e violento che però porta il Bene, porta al Bene ed è un segno che nella sua drammatica storia l’uomo non è abbandonato a sé stesso ma è accompagnato sempre dalla luce della grazia di Dio”.
Nel volume, Monda fa una lettura simbolica dei personaggi, Ad esempio il personaggio di Sauron, l’Oscuro Signore, il Satana della storia, viene sconfitto da una piccola compagnia di viandanti, i nove della Compagnia dell’Anello.
“Sauron è uno spirito solitario – ha spiegato Monda – , è uno spirito, cioè non è incarnato, ed è solitario, arroccato nella sua torre nera e superba, chiuso ad ogni tipo di relazione (non a caso è rappresentato da un occhio solo: egli detesta l’alterità) e questo terribile signore della guerra viene sconfitto da alcuni piccoli personaggi, in particolare gli hobbit, che non sono potenti, ma sono uniti da vincoli di amicizia: la Compagnia, da cum-panis, coloro che spezzano il pane insieme”.
“E’ la compagnia-comunione, fatta d’amore e d’amicizia (pur tra mille cedimenti e tradimenti) che vince contro l’arroganza del potere che si erge da solo contro tutti, con volontà di strumentalizzazione nei confronti degli altri”, ha precisato l’autore.
“Gli hobbit – sostiene Monda – sono la più grande invenzione di Tolkien, perché degli eroi, dei cavalieri, dei maghi, dei nani e dei draghi si sapeva già, ma gli hobbit non li conosceva nessuno. Eppure sono loro che permettono il lieto fine della storia”.
Monda ha rilevato che “i pagani non conoscevano il ‘lieto fine’ che non è un’invenzione di Hollywood, ma un contributo dell’avvento del cristianesimo nella storia dell’arte e della cultura dell’Occidente”.
“La storia ha una fine, una fine buona perché la storia ha un fine che è la comunione con Dio, rispondere alla sua chiamata”, ha sottolineato l’autore del saggio su Tolkien.
Monda ha affermato che “gli hobbit collaborano con Dio al raggiungimento di quel fine. Lo fanno con umiltà, senza piena consapevolezza, ma con tenacia. Essi sono gli umili del Magnificat, che saranno esaltati, mentre i ricchi e i potenti saranno rovesciati dai loro troni”.
“E’ proprio ciò che accade nel Signore degli Anelli – ha concluso – ; è, se vogliamo, la morale della favola”.