I Vescovi italiani auspicano una legge sul fine vita

Per evitare eutanasia e testamento biologico la CEI cambia tattica

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di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 22 settembre 2008 (ZENIT.org).- Per evitare situazioni come quella di Eluana Englaro dove il parere di singoli giudici può autorizzare forme camuffate di eutanasia e testamento biologico, la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) ha chiesto al Parlamento una legge sul fine vita.

Il cambio di tattica nei confronti dei temi “eticamenti sensibili” in materia di “fine vita”, l’ha annunciato il Cardinale Angelo Bagnasco nel corso della prolusione al Consiglio Nazionale della CEI, svolta a Roma il 22 settembre.

Parlando della vicenda di Eluana Englaro, la giovane leccese che vive da 16 anni in stato vegetativo conseguente a un coma da trauma cranico a causa di un incidente stradale, il Presidente della CEI ha espresso “la partecipazione commossa alla sorte di questa giovane” e “la condivisione e il rispetto per la situazione di sofferenza nella quale versa la famiglia”.

“È una condizione, quella di Eluana – ha continuato il porporato –, che peraltro interessa circa altri due mila nostri concittadini sparsi per il territorio nazionale. Per loro e le loro famiglie, come pure per altri malati gravemente invalidati, è necessario un efficace supporto da parte delle istituzioni”.

In merito alla sentenza della Corte di Appello di Milano che autorizza la sospensione di idratazione e alimentazione di Eluana, il Cardinale Bagnasco ha sottolineato “la nuova situazione venutasi a determinare in seguito a pronunciamenti giurisprudenziali che avevano inopinatamente aperto la strada all’interruzione legalizzata del nutrimento vitale, condannando in pratica queste persone a morte certa”.

Per questo motivo, ha sottolineato il Presidente della CEI, “si è imposta così una riflessione nuova da parte del Parlamento nazionale, sollecitato a varare, si spera col concorso più ampio, una legge sul fine vita che – questa l’attesa − riconoscendo valore legale a dichiarazioni inequivocabili, rese in forma certa ed esplicita, dia nello stesso tempo tutte le garanzie sulla presa in carico dell’ammalato, e sul rapporto fiduciario tra lo stesso e il medico, cui è riconosciuto il compito – fuori da gabbie burocratiche − di vagliare i singoli atti concreti e decidere in scienza e coscienza”.

Dopo aver ribadito che l’alimentazione e l’idratazione, sono universalmente riconosciuti come “trattamenti di sostegno vitale, qualitativamente diversi dalle terapie sanitarie”, l’Arcivescovo di Genova ha precisato che si tratta di “una salvaguardia indispensabile, questa, se non si vuole aprire il varco a esiti agghiaccianti anche per altri gruppi di malati non in grado di esprimere deliberatamente ciò che vogliono per se stessi”.

Per “volgersi al bene concreto generale”, il Presidente della CEI ha auspicato che si evitino “inutili forme di accanimento terapeutico” e soprattutto “non vengano in alcun modo legittimate o favorite forme mascherate di eutanasia, in particolare di abbandono terapeutico”.

“Sia invece esaltato ancora una volta – ha continuato il porporato – quel favor vitae che a partire dalla Costituzione contraddistingue l’ordinamento italiano”.

Il Cardinale Bagnasco ha quindi ribadito che “la dignità non viene meno, quali che siano le contingenze o le menomazioni o le infermità che possono colpire nel corso di un’esistenza”, ed ha concluso affermando di guardare “con fiducia alle sfide che il Paese ha dinanzi a sé, sicuri che il nostro popolo − con l’aiuto del Signore − saprà trovare le strade meglio corrispondenti alla sua voglia di futuro e alla sua concreta vocazione”.

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ZENIT Staff

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