VIENNA, sabato, 13 settembre 2008 (ZENIT.org).- Considerare gli immigrati come fratelli in difficoltà, al di là dei numeri, è la chiave dell’atteggiamento della Chiesa di fronte alla questione dell’immigrazione.
Lo ha affermato il Cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, nel suo messaggio al Congresso per la Pastorale dei Migranti in svolgimento in questi giorni a Vienna.
L’iniziativa è organizzata dal Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) sul tema “I migranti africani in Europa e nella Chiesa. La responsabilità pastorale” e durerà fino a domenica prossima. La Santa Sede vi partecipa in qualità di osservatore.
Nel messaggio, firmato dal Cardinal Martino e dal segretario del dicastero, monsignor Agostino Marchetto, si fa riferimento alle conclusioni del congresso panafricano celebrato in Kenya nel giugno scorso sullo stesso tema.
La Santa Sede invita a guardare agli immigrati come a persone, non a cifre, perché solo in questo modo si può essere fedeli alla tradizione cristiana di amore per il prossimo.
“Questa regola d’oro la troviamo nella rivelazione biblica e poi nella Tradizione della Chiesa e nel suo Magistero, facendo noi tesoro particolarmente dei pronunciamenti specifici sulla pastorale migratoria”, si legge.
“Quali storie personali spingono il flusso di immigrati in Europa?”, si è chiesto il Cardinal Martino.
Basarsi solo sui numeri nasconde la realtà perché questi, “con la loro neutralità matematica”, nascondono i “drammi che urgono un numero crescente di africani a rischiare anche la vita per giungere al nostro vecchio continente”.
Questo movimento dei popoli, “in continuo aumento”, “interpella pure la Chiesa e la sua responsabilità pastorale”, aggiunge il messaggio.
Soffermandosi sulla questione della legalità o dell’illegalità, osserva, “la ragione – sollecita della sua presunta purezza – diventi sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana”.
In questo senso, è necessario che i Paesi africani ed europei compiano “sforzi comuni” e si impegnino a “favorire il mantenimento dei contatti dei migranti con il loro Paese d’origine, soprattutto in vista della partecipazione allo sviluppo delle loro comunità di partenza”.
Dal punto di vista della Chiesa, continua il messaggio, “bisognerà poi continuare ad affermare la centralità della persona umana, in base alla quale discriminazioni, violenze, limitazioni alla libertà personale e collettiva sono anche causa di povertà”.
“Si tratta, da una parte, di vere riduzioni nello sviluppo sociale-economico e, dall’altra, pure di blocchi che impoveriscono l’incontro e il dialogo, l’arricchimento e lo scambio, la reciprocità e la vicendevole edificazione”.
In effetti, aggiunge il documento, “non c’è futuro per un Paese o una cultura che si chiude o, peggio, combatte culture che arrivano dall’esterno”.
“Il cristianesimo, che sta alla radice della cultura e dell’identità europea, ha dato, proprio sotto questo profilo, il suo alto contribuito al miglioramento della condizione umana, in termini di umanesimo, concorrendo a creare società più libere e paritarie, mettendo in discussione gli stereotipi e promuovendo, allo stesso tempo, il dialogo e i valori”.
L’incontro dei due continenti, conclude il messaggio, può “rafforzare in entrambi l’umanesimo che, nonostante tutto, li caratterizza”.