La Santa Sede chiede di omettere il termine “Yahvè” nella liturgia

Lettera del Cardinale Arinze alle Conferenze Episcopali sul nome di Dio

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CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 11 settembre 2008 (ZENIT.org).- La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha inviato una lettera alle Conferenze Episcopali del mondo sul nome di Dio, in cui chiede di non usare il termine “Yahvè” in liturgie, preghiere e canti.

La lettera si riferisce all’uso del nome “YHWH”, con cui si designa Dio nell’Antico Testamento e che in italiano viene letto “Yahvè”.

Il testo spiega che questo termine deve tradursi in base all’equivalente ebraico “Adonai” o al greco “Kyrios”, e porta come esempi le traduzioni accettabili in cinque lingue: Lord (inglés), Signore (italiano), Seigneur (francese), Herr (tedesco) e Señor (spagnolo).

Il testo è firmato dal Cardinale Francis Arinze e dall’Arcivescovo Albert Malcom Ranjith, rispettivamente prefetto e segretario della Congregazione vaticana, seguendo una direttiva di Benedetto XVI.

“Per far sì che la Parola di Dio, scritta nei sacri testi, possa essere conservata e trasmessa in modo integrale e fedele, ogni traduzione moderna del libro della Bibbia punta ad essere una trasposizione fedele ed accurata dei testi originali”, chiariscono gli autori della lettera.

“Un tale sforzo letterale richiede che il testo originale possa essere tradotto nel modo più integrale e accurato possibile, senza omissioni o aggiunte per quanto riguarda i contenuti, e senza introdurre glosse esplicative o parafrasi che non appartengono al testo sacro stesso. Per quanto riguarda il nome stesso di Dio, i traduttori devono usare il massimo di fedeltà e rispetto”.

“Nonostante questa chiara norma in anni recenti ha preso piede la prassi di pronunciare il nome proprio del Dio di Israele, conosciuto come il tetragramma divino”, si constata.

La lettera ricorda diversi passaggi del Nuovo Testamento nel quale si mette in luce la natura divina di Gesù Cristo. “Evitare di pronunciare il tetragramma del nome di Dio da parte della Chiesa ha quindi i suoi fondamenti”, spiega il dicastero vaticano.

“A parte i motivi di ordine meramente filologico, c’è anche quello di rimanere fedeli alla tradizione della Chiesa, dall’inizio, di non pronunciare mai il sacro tetragramma nel contesto cristiano e di non tradurlo in una delle lingue nelle quali la Bibbia è stata tradotta”.

Per questo motivo, “nelle celebrazioni liturgiche, nelle canzoni e nelle preghiere il nome di Dio nella forma di tetragramma ‘YHWH’ non è da usare né da pronunciare”.

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ZENIT Staff

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