“La mia patria è Cristo”

Presentato al Meeting di Rimini il libro di Giussani “Uomini senza Patria”

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di Antonio Gaspari

RIMINI, martedì, 9 settembre 2008 (ZENIT.org).- E’ stato presentato al Meeting di Rimini il 30 agosto il libro “Uomini senza patria” (Rizzoli, 408 pagine, 11,00 Euro) che raccoglie i dialoghi di don Luigi Giussani con i responsabili degli universitari di Comunione e Liberazione e che spiega come l’unica patria di un cristiano non possa essere che Gesù.

“Non ha patria non chi semplicemente professa dei valori cristiani ma chi ha riconosciuto Cristo presente, oggetto di esperienza”, ha spiegato Emilia Guarnieri, Presidente della Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli, alla presentazione del libro di Giussani.

Secondo la Presidente del Meeting, “questo incontro continuo ci rende appassionati a tutto e a tutti. La familiarità con Cristo ci rende consapevoli del nostro limite e allora degli altri, diversi da noi, abbiamo bisogno. La nostra apertura al reale non è una forma di tolleranza ma un riconoscimento della ricchezza altrui”.

Bernhard Scholz, Presidente della Compagnia delle opere (Cdo), ha raccontato di essere uno degli studenti che partecipò agli incontri con don Giussani, rimanendo affascinato da come il fondatore di Comunione e Liberazione “metteva al centro la persona, ma non in un modo retorico”.

“Quello che mi stupì – ha continuato il Presidente della Cdo – è che Giussani non voleva vederci come esecutori di progetti ideologici sociali, lui voleva persone che fossero in grado dire ‘io’ e di mettersi in gioco in qualsiasi situazione”.

“Questo, per me, è una cosa affascinante, e tutto quello che è stato fatto dopo è scaturito da persone senza patria, che non partivano da ideologie, ma persone che partendo da sé si aprivano all’altro”, ha aggiunto.

“Dire ‘io’ significa dire noi – ha sottolineato Scholtz –, perché è impossibile concepire se stessi al di fuori di un processo sociale. La socialità nuova del progetto cristiano è aperta a chi si interessa degli altri, ma non per un dovere o un imposizione, ma per una realizzazione di sé”.

“Ad un certo punto – ha aggiunto il Presidente della Cdo – uno capisce per esperienza che non può realizzare se stesso senza un rapporto con l’altro. Certo la diversità provoca e può anche pesare ma è sempre un bene, perché permette alla persona di emergere”.

Per Scholtz, è “la realtà la sfida che fa emergere se stesso” e questo “è il contrario di tutte le comodità che vengono proposte” perché “non è semplice né banale assumersi la responsabilità; la vita in questo caso è molto più faticosa, ma molto più affascinante e bella, e per me questo incontro con don Giussani è stato sconvolgente da questo punto di vista”.

“La vita non è un gioco confortevole – ha concluso il Presidente della Cdo – c’è la realtà che ti mette in gioco con i rischi di tutta la tua libertà. Non ce la fai da solo e quindi scopri il grande valore dell’amicizia”.

Eugenia Roccella, Sottosegretario di Stato al lavoro e alle politiche sociali, ha precisato di provenire da una esperienza culturale diversa, ma di aver scoperto l’appartenenza a questo mondo, ed una profonda affinità con l’impostazione di don Giussani incentrata sulla centralità della persona.

Il Sottosegretario al Welfare ha detto di condividere la scelta di don Giussani di parlare dell’umano e di diffidare della parola etica perché troppo limitante.

Il termine “umano è più corretto – ha precisato- perché non solo indica la difesa della vita ma ne dà il motivo: difendiamo la vita perché essa ha un significato. Non dare ma cercare il senso della vita; il significato dell’esistenza Giussani lo situa nell’incontro con Cristo”.

La Roccella si è detta in totale sintonia con l’analisi di don Giussani quando ha scritto: “Per questo la lotta di oggi è tra due concezioni dell’uomo, fra l’uomo che appartiene a qualcosa di più grande o dell’uomo che appartiene a se stesso”.

A questo proposito il Sottosegretario al Welfare ha spiegato che “paradossalmente l’uomo che pensa di trovare la libertà nell’assoluta autodeterminazione è in una condizione di assoluta eterodeterminazione” e che quindi “l’autodeterminazione si rovescia drammaticamente e praticamente spesso nel suo contrario”.

Nelle difficili condizioni degli anni Settanta, don Giussani ha scritto parole vere anche oggi: “Fino a quando il cristianesimo è sostenere dialetticamente e anche praticamente valori cristiani, esso trova spazio e accoglienza dovunque”.

“Ma là dove il cristiano è l’uomo che annuncia nella realtà umana, storica, la presenza permanente di Dio fatto Uno tra noi, oggetto di esperienza […], la presenza di Cristo centro del modo di vedere, di concepire e di affrontare la vita, senso di ogni azione, sorgente di tutta l’attività dell’uomo intero, vale a dire dell’attività culturale dell’uomo, questo uomo non ha patria”, aggiungeva.

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ZENIT Staff

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