La questione ambientale come questione sociale

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ROMA, giovedì, 4 settembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Dottrina Sociale e Bene Comune l’intervento del professor Emanuele Cirillo, docente di Chimica e Fisica e docente al Master di Scienze Ambientali dell’Università Europea di Roma.

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Anche se oggi risulta tra i temi più in voga, la questione ambientale deve trovare nuovi e diversi spazi per essere affrontata compiutamente. L’ambiente non è indagabile in maniera univoca e servono i vari contributi del pensiero umano, per coglierne i tanti affascinanti aspetti che si propongono alla nostra attenzione. Ad esempio l’aspetto tecnico-scientifico, quello etico, quello comunicativo-relazionale, quello sociale, per chi è credente quello religioso, sono varie porzioni della tematica che, colte singolarmente, potrebbero indurre ad una trattazione riduzionista, tendente alla parzialità o ad una visione monodisciplinare. Non possiamo pensare all’ambiente come ad un’esperienza superficiale, senza rivestirla del significato più alto che esso cela. La questione ambientale è, infatti, prima di tutto questione morale, che tocca l’intimo della persona e la società tutta. Limitarsi ad un’ecologia, dove l’essere umano è uno “spettatore esterno” o nel peggiore dei casi uno “scomodo parassita”, ci priva della bellezza della scoperta della responsabilità che abbiamo rispetto al Creato. Un’autorevole proposta in merito, viene da Giovanni Paolo II nella sua Enciclica “Centesimus Annus”, che offre una prospettiva innovativa di “Ecologia umana”.

Mentre ci si preoccupa giustamente, anche se molto meno del necessario, di preservare gli «habitat» naturali delle diverse specie animali minacciate di estinzione, perché ci si rende conto che ciascuna di esse apporta un particolare contributo all’equilibrio generale della terra, ci si impegna troppo poco per salvaguardare le condizioni morali di un’autentica «ecologia umana»… … L’uomo riceve da Dio la sua essenziale dignità e con essa la capacità di trascendere ogni ordinamento della società verso la verità ed il bene.

Il primo aspetto che emerge, da tale approccio, è il valore unico insito in ciascun essere umano. Uomo e natura non contrapposti ma integrati e caratterizzati da un parallelismo. Se infatti è vero che vi è un ordine nell’ecosistema, in cui ciascuna componente fisico-chimica e biologica ha un ruolo e la loro interazione fa emergere proprietà e funzionalità ben precise, è anche vero che ciascuna persona è fatta delle proprie caratteristiche (l’aspetto fisico, il comportamento, il carattere, ecc.), che richiamano anch’esse un preciso ordine. Come la natura è per i credenti un dono del Creatore, ciascuno di noi è un dono, per se stesso e per gli altri. Così come va preservata l’armonia dell’ecosistema, così va preservata l’armonia della persona. In tale ottica si riconosce quindi Dio che ci fa dono del Creato e della nostra stessa dignità. Uomini e donne sono parte della natura ma allo stesso tempo la trascendono, in virtù di quel “Quid” che ci rende “a Sua somiglianza”. Nessun altro tra i viventi può rendersi protagonista, nel bene e nel male, del proprio agire. Per questo non è comprensibile una visione ecologica priva di questo incipit. Il valore caratteristico di ciascuna persona non può non essere riconosciuto; non si può pensare alla questione ambientale senza l’uomo, perché è dall’uomo stesso che essa nasce.

Questa qualità umana, anche se connaturata deve trovare accoglienza e educazione. Scrive ancora Giovanni Paolo II: “La prima e fondamentale struttura a favore dell’«ecologia umana» è la famiglia, in seno alla quale l’uomo riceve le prime e determinanti nozioni intorno alla verità ed al bene, apprende che cosa vuol dire amare ed essere amati e, quindi, che cosa vuol dire in concreto essere una persona.” Ecco allora il secondo spunto di riflessione: la famiglia diviene “palestra di socialità”. Educare al rispetto dell’ambiente è quindi prerogativa della famiglia, cellula sociale che pone le basi al riconoscimento dell’armonia del Creato e di ciascuna persona. Un bambino educato alla responsabilità saprà anche vivere in modo rispettoso dell’ambiente; un bambino che impara ad aver cura di se stesso e dei propri cari sarà un cittadino più solidale; un bambino che vive nell’amore, sarà anche pronto ad amare. La famiglia diviene allora il luogo in cui si educa e ci si educa, a leggere nel Creato un dono da rispettare e curare.

Un terzo aspetto che va a completare le idee portanti dell’ecologia umana è la visione di uno sviluppo, legato alla libertà di educazione per incrementare la capacità sociale del lavoro umano. Ciascuno ha diritto a lavorare ed usare le risorse disponibili ma ricercando sempre il bene comune come fine, riconoscendo l’ordine che deriva dalla partecipazione allo sviluppo dei popoli, per il raggiungimento di una qualità di vita opportuna alla dignità di ciascuno. La Terra allora, in quest’ottica, non è più una risorsa da sfruttare, secondo un modello consumista, oppure un “Totem” intoccabile da venerare, come vorrebbe un certo ambientalismo, ma diviene la casa comune da abitare. Una casa da abitare in armonia secondo il mandato divino della Creazione che ci fa co-autori con Dio, in quanto designati a gestire con oculatezza l’equilibro della Biosfera. L’essere umano non è padrone ma amministratore. Non ha potere assoluto ma relativo alla ricerca del proprio giusto sostentamento, nel rispetto della dignità di ogni persona e delle future generazioni.

In definitiva le questioni ambientali mostrano spesso uno stretto legame con le problematiche di ordine sociale: osserviamo, ad esempio, come in molti luoghi della Terra ci sia un nesso di causalità tra degrado sociale e degrado ambientale e viceversa. La povertà di molte popolazioni non è frutto di mancanza di risorse, minerali e petrolio ma di problemi culturali e socio-politici. Molti ancora soffrono la fame perché la “Destinazione universale dei beni”, cara alla Dottrina sociale della Chiesa, è ancora troppo spesso un proposito a favore di pochi che mirano allo sfruttamento delle risorse ed a discapito di molti che soffrono l’indigenza. Questo squilibrio provoca degrado ambientale. Pensiamo ad esempio ad un popolo che non ha da mangiare: avrà come primo obiettivo la sopravvivenza, sfruttando al massimo qualsiasi risorsa disponibile. Vivere raccogliendo tutto quanto si trova è di sicuro uno stile di vita meno sostenibile di chi, ad esempio, coltiva e trova un ritmo nella produzione e nella raccolta.

I fautori delle idee neomalthusiane, oggi riproposte per risolvere simili questioni con programmi di pianificazione delle nascite tramite aborti ed uso di anticoncezionali, dovrebbero confrontarsi con la responsabilità di chi si arricchisce sfruttando la povertà e la sofferenza di altri esseri umani, invece di camuffare l’ingiustizia di “chi ha troppo e chi troppo poco”, con le politiche di riduzione demografica, senza rimuovere le cause culturali e socio-politiche reali.

Dice ancora il Pontefice: “L’uomo riceve da Dio la sua essenziale dignità e con essa la capacità di trascendere ogni ordinamento della società verso la verità ed il bene. Egli, tuttavia, è anche condizionato dalla struttura sociale in cui vive, dall’educazione ricevuta e dall’ambiente. Questi elementi possono facilitare oppure ostacolare il suo vivere secondo verità. Le decisioni, grazie alle quali si costituisce un ambiente umano, possono creare specifiche strutture di peccato, impedendo la piena realizzazione di coloro che da esse sono variamente oppressi. Demolire tali strutture e sostituirle con più autentiche forme di convivenza è un compito che esige coraggio e pazienza”. A ciascuno è affidato questo coraggio e questa pazienza, perché ciascuno sia costruttore di un ambiente sano, dove poter vivere dignitosamente riconoscendo in se ste
sso e nel prossimo un autentico dono di Dio.

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ZENIT Staff

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