La Santa Sede rimane favorevole al trapianto degli organi

Si riaccende il dibattito sulla morte cerebrale come fine della vita

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di Mirko Testa

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 3 settembre 2008 (ZENIT.org).- In merito al dibattito recentemente riapertosi sulla morte cerebrale, la Santa Sede ha fatto sapere di non aver modificato la propria posizione a favore del trapianto degli organi.

A dichiararlo è stato padre Federico Lombardi, Direttore della Sala Stampa vaticana, rispondendo a un articolo a firma di Lucetta Scaraffia apparso su “L’Osservatore Romano” (3 settembre 2008).

Nell’articolo, la docente di Storia contemporanea all’Università di Roma “La Sapienza” metteva in dubbio, alla luce delle nuove ricerche scientifiche, la validità dei criteri di morte cerebrale per stabilire il decesso di una persona e di conseguenza del trapianto degli organi.

Si tratta, ha detto padre Lombardi, di “un interessante e autorevole articolo firmato dalla professoressa Lucetta Scaraffia, ma non può essere considerato una posizione del Magistero della Chiesa”.

Prendendo la parola sulla vicenda, lo stesso Direttore de “L’Osservatore Romano”, Gian Maria Vian, ha definito l’articolo della professoressa Scaraffia “un autorevole e interessante contributo a una discussione importante su una questione delicata, discussione che è opportuno possa svilupparsi serenamente”.

Fino agli anni Sessanta, la tradizione giuridica e medica occidentale riteneva che l’accertamento della morte dovesse avvenire mediante il riscontro della definitiva cessazione delle funzioni vitali: la respirazione, la circolazione, l’attività del sistema nervoso.

Nell’agosto del 1968 un Comitato ad Hoc, istituito dalla Harvard Medical School, composto da 13 membri e presieduto dall’anestesiologo Henry Knowles Beecher, propose un nuovo criterio di accertamento della morte fondato su di un riscontro strettamente neurologico: la definitiva cessazione delle funzioni del cervello, definito “coma irreversibile”.

La definizione di morte venne cambiata in quasi tutti gli Stati americani e, in seguito, anche nella maggior parte dei Paesi cosiddetti sviluppati – solo il Giappone resistette fino al 1999 – , mentre la morte cerebrale venne accolta nella legislazione e nella pratica medica della maggior parte degli Stati del mondo.

La stessa Chiesa cattolica, come ricorda la Scaraffia, accolse la definizione data della Harvard Medical School, e infatti “consentendo il trapianto degli organi, accetta implicitamente questa definizione di morte, ma con molte riserve: per esempio, nello Stato della Città del Vaticano non è utilizzata la certificazione di morte cerebrale”.

In Italia, oggi, vengono applicati dei criteri neurologici che si riferiscono alla funzionalità dell’intero encefalo e per legge è obbligatorio eseguire l’esame elettroencefalografico.

A partire dagli anni Ottanta del XX secolo, tuttavia, nel mondo scientifico hanno iniziato a circolare perplessità e dissensi sulla validità della nozione di morte cerebrale.

Nel corso degli anni, nella pratica clinica quotidiana, si è poi assistito al moltiplicarsi di casi nei quali alla cessazione irreversibile delle funzioni cerebrali non seguiva la perdita di funzionamento integrato dell’organismo sottoposto a misure rianimatorie.

A questo proposito, la Scaraffia ricorda un caso verificatosi nel 1992 e riguardante “una donna entrata in coma irreversibile e dichiarata cerebralmente morta prima di accorgersi che era incinta; si decise allora di farle continuare la gravidanza, e questa proseguì regolarmente fino a un aborto spontaneo”.

E’ stato dimostrato, cioè, afferma la docente, che “la morte cerebrale non è la morte dell’essere umano”.

“Queste considerazioni – ha commentato la Scaraffia – aprono ovviamente nuovi problemi per la Chiesa cattolica, la cui accettazione del prelievo degli organi da pazienti cerebralmente morti, nel quadro di una difesa integrale e assoluta della vita umana, si regge soltanto sulla presunta certezza scientifica che essi siano effettivamente cadaveri”.

Quindi, aggiunge, “l’idea che la persona umana cessi di esistere quando il cervello non funziona più, mentre il suo organismo — grazie alla respirazione artificiale — è mantenuto in vita, comporta una identificazione della persona con le sole attività cerebrali, e questo entra in contraddizione con il concetto di persona secondo la dottrina cattolica, e quindi con le direttive della Chiesa nei confronti dei casi di coma persistente”.

Giovanni Paolo II è intervenuto più volte sul tema: il 29 agosto del 2000, parlando al Congresso Internazionale della Società dei Trapianti, aveva sottolineato che “la cessazione totale ed irreversibile di ogni attività encefalica”, come criterio di accertamento della morte, “se applicato scrupolosamente, non appare in contrasto con gli elementi essenziali di una corretta concezione antropologica”.

In sostanza, ciò che asserì anche in un messaggio all’incontro promosso dalla Pontificia Accademia delle Scienze nel 2005, dal titolo “I segni della morte”, era l’ammissibilità morale dell’espianto degli organi solo nel caso in cui il donatore sia certamente e interamente morto.

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ZENIT Staff

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