Innanzitutto (ed è del tutto normale da parte di un teologo celebre per la sua preoccupazione riguardo al relativismo dogmatico), il Papa mette in guardia sul pericolo derivante dal negare l’universalità dei diritti “in nome di contesti culturali, politici, sociali e persino religiosi differenti” e dall’uso dell’“argomento della specificità culturale per coprire violazioni dei diritti umani” (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata mondiale della Pace, 1° gennaio 1998, 2). L’ammonimento è più che giustificato. Nel corso degli anni, questa argomentazione è stata avanzata da alcuni dei peggiori violatori dei diritti umani, tra cui molto di recente la Birmania. Ma d’altra parte non è sempre facile distinguere fra il relativismo culturale che mina i diritti universali e un legittimo pluralismo che ammette differenti mezzi di espressione e protegge tali diritti. Il pensiero sociale cattolico, sulla base della lunga esperienza della Chiesa nella dialettica fra principi universali e culture differenti, riconosce come l’universalità non comporti necessariamente l’omogeneità, e come l’esistenza di diverse modalità di attuazione dei principi non implichi necessariamente un atteggiamento relativista riguardo ai principi stessi (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 1999, 3). Infatti, la storia dell’inculturazione della fede cattolica in società estremamente differenti mostra come la concezione comune delle verità fondamentali possa essere arricchita dalla varietà delle esperienze attraverso cui tali verità vengono vissute. Di conseguenza, non si deve pensare che il Papa intenda porre in netto contrasto i diritti universali e le particolarità culturali. Dopotutto, i diritti scaturiscono dalla cultura; i diritti non possono essere sostenuti senza fondamenti culturali; e i diritti, per essere effettivi, devono diventare parte del modo di vivere di ciascun popolo. Come ha affermato una volta Giovanni Paolo II, i diritti umani saranno garantiti solo “quando una cultura dei diritti umani, rispettosa delle diverse tradizioni, diventa parte integrante del patrimonio morale dell’umanità” (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 1999, 12). Ignorare questa realtà significherebbe cadere nella mentalità che caratterizza la cultura professionale di molti avvocati internazionali, dipendenti di istituzioni internazionali e ONG internazionali – una sorta di “-ismo” internazionale, insensibile alle particolarità locali e che insiste sulle proprie interpretazioni dogmatiche dei diritti umani. Questo tipo di dogmatismo può risultare altrettanto dannoso per la causa della tutela della dignità umana quanto le pretese del relativismo culturale. Basti pensare solamente ai reiterati tentativi di usare le agenzie delle Nazioni Unite come siti di produzione off-shore, dove le problematiche delle lobby possono essere trasformate in nuovi “diritti”, esenti da qualsiasi controllo pubblico e responsabilità democratica.Promuovere la giustizia e i diritti umani senza cadere nel relativismo culturale da un lato e nell’imperialismo culturale dall’altro, è dunque un’ardua sfida. L’invocazione del Papa, nel suo discorso, al principio della sussidiarietà mostra come egli sia ben consapevole delle difficoltà che tale sfida comporta. Tali difficoltà si intensificano se considerate alla luce della critica mossa dal Papa al positivismo.
2. Positivismo
È difficile comprendere come forme distruttive di relativismo si possano distinguere da un legittimo pluralismo se i diritti sono considerati semplicemente come l’esito di provvedimenti legislativi o di altre decisioni ufficiali. Gli artefici della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo sapevano bene che non tutto quanto all’interno di un determinato ordinamento giuridico è definito come “diritto” possa o debba essere universalizzato. Come sottolinea il Papa nel suo discorso alle Nazioni Unite, la giustizia è spesso negata quando i diritti vengono presentati “semplicemente in termini di legalità, […] deboli proposizioni staccate dalla dimensione etica e razionale, che è il loro fondamento e scopo”. Il termine “razionale” è significativo in questo contesto poiché, secondo il pensiero cattolico, i diritti umani derivano da un ordine naturale, le cui leggi possono essere scoperte attraverso lo studio e l’esperienza. Esse sono accessibili mediante la ragione sia per chi crede sia per chi non crede. Rimuovere i diritti umani da questo contesto – sottolinea il Papa – distruggerebbe la loro universalità. Tuttavia, nel nostro mondo post-moderno – in cui la concezione di diritti, giustizia e legge naturale è violentemente contestata – non è semplice identificare gli strumenti per preservare il rapporto fra i diritti umani e i loro fondamenti etico-razionali. A un livello abbiamo a che fare con i relativisti filosofici, i quali non sono in grado di affermare perché un qualsiasi valore dovrebbe essere difeso o un comportamento condannato, salvo che ricorrendo alle preferenze individuali. A livello pratico, il problema di “chi decide” sarà sempre alquanto spinoso, un problema che le democrazie liberali hanno trovato opportuno affrontare mediante la separazione dei poteri e il sistema di checks-and-balances (Sistema istituzionale di “controlli e contrappesi” che caratterizza i rapporti fra i vari poteri dello stato negli ordinamenti democratici. ndt). L’osservazione del Papa, secondo cui l’applicazione di procedure corrette e lo stato di diritto non sono sufficienti per la difesa dell’umana dignità, è un implicito richiamo alla priorità della cultura. Come ha affermato una volta Giovanni Paolo II: “…la dignità della persona deve essere tutelata nei costumi, prima di esserlo nel diritto” (Discorso ai membri del corpo diplomatico accreditato presso la santa sede, 9 gennaio 1989, 7). Tuttavia, sebbene lo stato di diritto e un processo equo non siano sufficienti in sé, essi sono estremamente importanti al fine di tutelare l’umana dignità (e sono riconosciuti come tali nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo). Al pari dei diritti fondamentali che difendono, essi rappresentano fragili conquiste culturali ottenute con fatica. Il Papa riconosce tutto ciò nel passo del suo discorso in cui insiste sul fatto che la comunità internazionale deve rispettare “i mezzi giuridici previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e da altri strumenti internazionali” quando essa esercita il suo compito di protezione.
3. Selettività
Un terzo problema citato dal Papa sorge dalla tendenza assai diffusa a trascurare l’interdipendenza fra i diritti fondamentali, un’abitudine consolidatasi durante gli anni della guerra fredda, quando i principali antagonisti diedero inizio alla pratica oggi comune di considerare la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo come una sorta di menu, da cui ognuno poteva scegliere a piacere i propri diritti preferiti ignorando il resto. Sebbene il principio secondo cui i diritti universali sono “interdipendenti e indivisibili” sia stato affermato in numerosi documenti delle Nazioni Unite, nella prassi esso è stato palesemente disprezzato tanto dalle nazioni quanto dalle lobby di potere. È interessante notare come, negli ultimi sessant’anni, il principale difensore istituzionale della Dichiarazione Universale nella sua integralità sia stata la Santa Sede. Oggi, laddove i provvedimenti della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo per la tutela del matrimonio, della famiglia, dei diritti dei genitori e della libertà di religione sono costantemente presi d’assalto, il Papa alle Nazioni Unite ha auspicato con forza che vengano “raddoppiati” gli sforzi per preservare l’“unità intrinseca” della Dichiarazione. Co un monito contro le pressioni verso “un allontanamento dalla protezione della dignità umana per soddisfare semplici interessi, spesso interessi particolari”, il Papa ha insistito affinché la
dichiarazione non possa “essere applicata per parti staccate, secondo tendenze o scelte selettive”.
4. Campagne per nuovi diritti
Strettamente legata al problema della selettività è la quarta fonte di preoccupazione citata dal Papa: la pressione affinché venga ampliato l’elenco dei diritti ritenuti fondamentali. Ovviamente, l’elenco non può rimanere chiuso, poiché – come egli stesso sottolineava – “mentre la storia procede, sorgono nuove situazioni”. D’altro canto però, quanto i più beni materiali o i desideri vengono riconosciuti come diritti, tanto più si corre il rischio di banalizzare i valori umani fondamentali. Di conseguenza, il Papa pone l’accento (due volte!) sul fatto che bisognerà avere grande “discernimento” nell’affrontare i tentativi di introdurre nuovi diritti. Come ho accennato sopra, quanto più la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo è stata accettata come una norma universale, tanto più lobby di ogni sorta hanno intensificato i loro sforzi per far riconoscere come diritti universali le loro problematiche particolari, come per esempio l’eutanasia, l’aborto, la procreazione assistita, il diritto a partner dello stesso sesso di sposarsi e di adottare figli, e così via. Non stupisce dunque che il Papa abbia richiamato alla prudenza nell’affrontare le richieste di nuovi diritti, sottolineando che esse “riguardano le vite stesse e i comportamenti delle persone, delle comunità e dei popoli”. Agire con discernimento significherebbe come minimo domandarsi quale bene intenda promuovere il diritto che viene proposto, e quale rapporto abbia con gli altri diritti e con le responsabilità. A questo proposito, gli ultimi tre punti che vorrei citare possono essere considerati dei validi aiuti per distinguere quali proposte rappresentino sviluppi sani e quali invece siano dannose per la dignità umana.
5. Iper-individualismo
Una buona domanda da porre riguardo qualsiasi nuovo diritto venga proposto è: Qual è la sua concezione intrinseca della persona umana e del rapporto fra individuo e società? Il Papa mette in guardia dalle proposte che ignorano la dimensione sociale propria della persona umana, così da “privileg[iare] indubbiamente un approccio individualistico e framment[are] l’unità della persona”. Dietro a ciò, naturalmente, sta una concezione di persona che ha un valore unico in sé ed è costituita in parte dal suo rapporto con gli altri e con Dio. Il Papa chiede ai suoi ascoltatori di considerare che “i diritti e i conseguenti doveri seguono naturalmente dall’interazione umana […] essi sono il frutto di un comune senso della giustizia, basato primariamente sulla solidarietà fra i membri della società”. Come esempio primario cita la libertà religiosa, un diritto che ha dimensioni pubbliche e sociali, oltre che individuali.
6. Correlazione fra diritti e responsabilità
Un’altra domanda pertinente da porre è il nuovo diritto proposto riconosca le relative responsabilità, e i modi in cui i diritti di ciascuno sono limitati dai diritti degli altri. Come afferma il Papa: “Nel nome della libertà deve esserci una correlazione fra diritti e doveri, con cui ogni persona è chiamata ad assumersi la responsabilità delle proprie scelte, fatte in conseguenza dell’entrata in rapporto con gli altri”.
7. Secolarismo aggressivo
Consideriamo infine l’allusione del Papa a una delle sue maggiori preoccupazioni: la minaccia alla libertà religiosa e alla dignità umana rappresentata da una forma aggressiva di secolarismo, che mira a sradicare totalmente la religione dalla vita pubblica. Pur essendo solo una breve allusione, è sufficiente a evocare il ricordo di altre lunghe disamine – di papa Benedetto, Marcello Pera e Joseph Weiler, fra gli altri – dei pericoli derivanti dall’ignorare le radici religiose delle grandi conquiste della modernità. Ma è importante ricordare che il Papa ha espresso ripetutamente il proprio apprezzamento per un’altra forma di secolarismo – il secolarismo “positivo” che ha permesso a molte religioni di co-esistere e fiorire negli Stati Uniti.
La reazione di alcuni a questa lunga sequela di ammonimenti potrebbe essere quella di chiedersi cosa papa Benedetto proponga di fare per aiutare il movimento internazionale per i diritti umani a evitare tali insidie e adempiere alla sua missione. Ma i papi moderni hanno spiegato molto chiaramente come, a loro avviso, spetti in primo luogo ai laici comprendere l’applicazione dei principi generali alle circostanze particolari. Perciò, quando papa Benedetto ha assicurato il suo pubblico alle Nazioni Unite che la Chiesa continuerà a “offrire il contributo che le è proprio alla costruzione di relazioni internazionali in un modo che permetta ad ogni persona e ad ogni popolo di percepire di poter fare la differenza”, stava anche lanciando un messaggio, un invito e una sfida a tutti gli uomini e le donne di buona volontà.
Permettetemi di concludere, dunque, ritornando alla considerazione fatta all’inizio di queste riflessioni, ovvero che i principali destinatari delle osservazioni del Papa sui diritti umani non sono i diplomatici o i funzionari delle Nazioni Unite. Le sue parole intendevano invitare ciascuno di noi a considerare i modi in cui le nostre decisioni e le nostre azioni, negli ambienti in cui viviamo e lavoriamo, possono contribuire a mutare il corso degli eventi pro o contro un ordinamento sociale che rispetti la dignità e i diritti della persona.“La sempre nuova faticosa ricerca di retti ordinamenti per le cose umane” – come ha affermato papa Benedetto nell’enciclica Spe Salvi – “è compito di ogni generazione” (Spe Salvi, 25). La decisione fondamentale per ognuno di noi, come insegnava don Giussani, è la scelta di abbracciare questo compito e accettarne le sfide.