Non si allenta l'emarginazione dei cristiani in Pakistan

il racconto di un sacerdote salesiano

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ROMA, giovedì, 21 agosto 2008 (ZENIT.org).- Anche se ci dovesse essere un cambio al vertice nel governo del Pakistan, non cambierebbe comunque l’emarginazione dei cristiani nel Paese, a causa delle sue radici profonde, afferma padre Miguel Ruiz.

In occasione delle dimissioni del Presidente pakistano Pervez Musharraf, il sacerdote, Rettore di una scuola tecnica gestita dai Salesiani situata a Lahore (la Don Bosco Technical Center), ha tracciato un’analisi della situazione del Paese nel visitare la sede dell’associazione cattolica “Aiuto alla Chiesa che Soffre”.

Il sacerdote ha detto che la pressione sulla comunità cristiana si è ridotta sotto Musharraf, ma che non si sono ridotte le minacce da parte dei circoli islamici fondamentalisti, a causa anche della cosiddetta “legge della blasfemia”.

Nel 1976, il generale Zia ul Haq introdusse due commi tuttora in vigore nella legge 295, risalente ai tempi della dominazione britannica e che regola i rapporti tra i vari credo: il comma b prevede la prigione per chi oltraggia il Corano, il comma c la morte per chi offende il profeta Maometto.

Nel 2004 il Parlamento ha approvato dei provvedimenti legislativi volti a ridurre la portata della “legge della blasfemia”, ma nonostante ciò continuano a verificarsi notevoli abusi nel suo utilizzo, come il ricorso strumentale per delazioni, vendette personali, atti di ritorsione contro avversari politici da parte dei musulmani integralisti.

Secondo padre Ruiz, la ragione reale della oppressione dei cristiani risiede nella grande povertà della popoalzione, che impedisce a molti genitori di assicurare ai propri figli (generalmente numerosi) una formazione scolare o che li porta ad affidarli alle madrase, che nel 50% dei casi non sono soggette ad alcun tipo di controllo.

E’ così che giovani deliquenti di 12 o 13 anni si ritrovano in queste scuole coraniche, dove, afferma il sacerdote, “le loro passioni, energie e frustrazioni vengono incanalate verso l’odio”.

Tuttavia, aggiunge padre Ruiz, il fatto che i cristiani pakistani venganno considerati al livello inferiore della società non è imputabile all’islam, ma al retaggio del sistema delle caste indù, di cui molti musulmani provano vergogna, poiché molti di essi occupavano questa stessa posizione ed erano quindi vittime di discriminazione e disprezzo, prima della indipendenza del Pakistan dall’India nel 1947.

Il salesiano di origine spagnola si è lamentato del fatto che i bambini cristiani pakistani hanno difficoltà nell’accedere al sistema educativo e a una formazione scolare superiore.

In parte, non hanno neanche la possibilità di entrare nei centri di formazione superiore della Chiesa perché non riescono a superare gli esami di ingresso stabiliti dallo Stato, a causa talvolta di una scarsa conoscenza della lingua inglese.

Per questo, ha precisato il sacerdote, è necessario che la Chiesa trovi nuove forme per permettere ai suoi fedeli di accedere al sistema educativo.

Il sogno di questo sacerdote cattolico è quello di rafforzare il lavoro con i giovani del Pakistan e con i giovani deliquenti, affinché non possano venire educati all’odio all’interno delle madrase.

Padre Ruiz ha detto di voler insegnare loro sentimenti come “l’amore, la tolleranza e il rispetto” e che per questo sarà disposto a collaborare con le istituzioni statali. A suo avviso, è anche necessario che gli insegnanti musulmani trasmettano ai giovani i valori del “vero islam”.

In Pakistan, i cristiani rappresentano una minoranza poiché non superano l’1,5% della popolazione di 167 milioni di abitanti, formata per la maggior parte (il 97%) da musulmani.

Attualmente nelle sette diocesi del Paese ci sono 270 sacerdoti, oltre a 735 religiose e 169 religiosi. I missionari stranieri incontrano molte difficoltà nell’ottenere i visti dal governo.

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ZENIT Staff

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