di Miriam Díez i Bosch
ROMA, martedì, 19 agosto 2008 (ZENIT.org).- La Parola di Dio non è ridotta alla Bibbia ed è una Parola “viva” perché non è un testo.
A spiegarlo è padre Roberto Fornara, ocd, Superiore del Centro Interprovinciale dei Carmelitani Scalzi di Roma (www.ocd.it), docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Facoltà Teologica “Teresianum” e la Pontificia Università Gregoriana nonché Direttore della “Rivista di Vita Spirituale”.
Il Sinodo vorrebbe favorire la riscoperta piena di stupore della Parola di Dio che è viva, tagliente ed efficace. Cosa si intende?
P. Fornara: La triplice annotazione prende spunto da Eb 4,12. La Parola è «viva», anzi «vivente» (zôn), perché non è un testo (il cristianesimo non è “religione del Libro”!), ma la persona viva del Verbo, per cui l’ascolto della Parola non si concepisce al di fuori di un’esperienza orante di relazione con Cristo.
Si parla poi della Parola «efficace» (energès, piena di «energia», di «forza viva»). Noi occidentali, tendenti a considerare la parola come flatus vocis, dobbiamo ricuperare il concetto ebraico di dabar, parola e atto, che presiede alla logica della creazione del mondo: «Dio disse…» e tutte le cose furono fatte.
La stessa efficacia creatrice, la Parola la esercita penetrando nel cuore dell’uomo, «più tagliente» (tomóteros) di ogni spada a doppio taglio. Supera le barriere dell’esteriorità e dell’apparenza, fa la verità in noi, penetra nell’intimo, è «lama di luce» (come si esprimevano i medievali), perché illumina il cammino e perché ci illumina, mettendo a nudo ciò che in noi appartiene allo Spirito e ciò che, appartenendo alla carne, ha bisogno di conversione.
In questo «taglio», la spada della Parola ci “fa male”: il Signore ferisce e risana. Maria stessa – nella profezia di Simeone – comprese che la sua vita sarebbe stata attraversata dalla spada della Parola: ferita e gioia, ferita orientata alla gioia piena.
Qual è il legame tra Bibbia e spiritualità?
P. Fornara: La Parola di Dio (non la Bibbia) è sorgente della vita spirituale, vita secondo lo Spirito e vita dello Spirito in noi.
Dei Verbum 12 cita un’espressione di san Girolamo secondo cui la Scrittura dev’essere letta e interpretata con lo stesso Spirito con cui fu scritta: lo Spirito all’origine dell’ispirazione biblica è lo stesso Spirito che ne opera l’interpretazione e la “vivificazione”.
Nella Bibbia sono spesso accomunati il «soffio» e la «parola» divini; lo Spirito continua a soffiare perché la Parola diventi carne nel credente: è questa la vita spirituale. È l’itinerario della lectio divina, dalla lectio (studio, lettura attenta della Bibbia, da cui attingere la Parola) alla contemplatio (divento io stesso quel templum, quel tabernacolo che contiene la Parola e la comunica, talmente ne sono impregnato: non sono più io che vivo, ma Cristo – Parola del Padre – vive in me nella forza dello Spirito; cf Gal 2,20).
Il legame tra Parola e spiritualità, di cui siamo oggi più coscienti e convinti, è indispensabile per evitare derive razionalistiche nell’interpretazione biblica o sentimentalistiche e devozionistiche nel modo di concepire e vivere la vita spirituale.
Quali frutti ha portato il documento conciliare Dei Verbum nelle comunità cattoliche?
P. Fornara: È evidente la maggiore importanza della Parola di Dio nella vita delle comunità; penso al diverso respiro biblico della riflessione teologica, della predicazione e della catechesi, come pure alla maggiore formazione biblica del clero, dei religiosi e dei laici, o alla crescente importanza della lectio divina, sia personale che comunitaria.
Rispetto al 1965, possiamo usufruire di un numero molto più grande di traduzioni e di strumenti per la lettura della Bibbia. L’eredità della Dei Verbum ci ha permesso di ricuperare molto terreno nei confronti delle comunità riformate, da sempre molto più centrate sulla Parola.
Tuttavia, molto resta ancora da fare, sia nel lavoro formativo, sia nella dimensione orante e spirituale, sia sotto l’aspetto più missionario di evangelizzazione. Alla presentazione dell’Instrumentum laboris, mons. Eterovic, segretario generale del Sinodo, ricordava i dati di una recente indagine: solo il 38 % degli italiani praticanti (27 % se si considerano gli italiani adulti) avrebbe letto un brano biblico negli ultimi 12 mesi. Oltre il 50 % considera la Scrittura difficile da comprendere. La gente ha bisogno di essere introdotta e guidata ad un’intelligenza ecclesiale della Bibbia.
Concretamente, qual è stato il contributo dei santi carmelitani alle Sacre Scritture?
P. Fornara: I santi del Carmelo riformato (soprattutto i tre dottori della Chiesa) vivono nel periodo che va dal Concilio di Trento al Vaticano II, definito «esilio della Parola» dalla vita del popolo di Dio. Eppure tutti provano una sete grandissima di abbeverarsi alle sorgenti della Parola. Vivono, in modi diversi, un cammino di lectio, fedeli alla Regola del Carmelo.
Teresa d’Avila si nutre di una sola parola delle Scritture più che di mille letture spirituali, e capisce che questo la preserva da «devozioni alla balorda». Giovanni della Croce dà importanza sia allo studio esegetico, sia all’accoglienza del linguaggio simbolico della Scrittura. Teresa di Gesù Bambino è maestra di un’ermeneutica spirituale della Bibbia, alla ricerca del volto di Cristo. Elisabetta della Trinità è forse la più contemplativa, non ascoltando la Parola per “fare” quello che le viene chiesto, ma per gustare, contemplare e adorare la Bellezza divina.
Tutti vivono il contatto con la Parola in una dimensione orante e con una tonalità affettiva. Si respira in tutti una certa “passività” verso una Parola da non usare o comprendere, ma da ascoltare, accogliere, servire e lasciar operare. Io spero che dal Sinodo emerga una nuova coscienza “passiva”, una consegna, un abbandono totale alla Parola di Dio, una fede grande nella potenza della Parola che opera ciò che significa. “Stupore”, insieme alla docilità dell’ascolto obbediente, è forse l’atteggiamento di cui abbiamo maggiore necessità.