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Onorevoli Autorità,
Signori della Giunta direttiva di questa insigne Istituzione,
Stimati Professori,
Cari studenti e studentesse della Scuola Latinoamericana di Medicina,
Signore e Signori, amici tutti.
È un immenso onore trovarmi in questa Illustre Scuola Latinoamericana di Medicina. Contraccambio le attente parole di benvenuto che mi avete rivolto con la mia sincera gratitudine e stima. Ricevete tutti l’affetto di Sua Santità Benedetto XVI, che mi ha incaricato vivamente di trasmettervi la sua vicinanza spirituale e la sua cordiale stima.
Sono passati già dieci anni dal memorabile viaggio del Santo Padre Giovanni Paolo II in questa terra benedetta di Cuba, che Cristoforo Colombo definì «la più bella che occhi umani abbiano mai visto». Dio ci concede di seguire le orme di colui che è venuto come messaggero della verità e della speranza – come diceva il motto della sua visita pastorale -, poiché è stato servitore del Vangelo di Cristo. Questo Vangelo, come egli stesso ha precisato nella sua omelia a La Habana, non è «né un’ideologia né un sistema economico o politico nuovo, ma un cammino di pace, giustizia e libertà autentiche» (25.1.1998, n. 3).
Nell’incontrare la comunità della Scuola Latinoamericana di Medicina, mi torna in mente l’attenzione che il Santo Padre ha rivolto al mondo del dolore nel Santuario di San Lázaro. Con le parole che ha pronunciato in quell’occasione, saluto oggi tutti voi che «con competenza e dedizione utilizzate le risorse della scienza per alleviare le sofferenze e il dolore. La Chiesa stima il vostro operato perché, animato dallo spirito di servizio e di solidarietà verso il prossimo, ricorda l’opera di Gesù che “guarì tutti i malati” (Mt 8, 16). Sono a conoscenza – ha continuato dicendo in quella stessa circostanza il venerato Pontefice – dei grandi sforzi che si compiono a Cuba nel campo della sanità, malgrado le limitazioni economiche a cui il Paese è sottoposto» (24.1.1998, n. 1). Anch’io desidero condividere oggi questi sentimenti ed esprimere il mio ringraziamento alla nobile Nazione cubana per questo costante sforzo accademico, che permette a studenti di tutta l’America Latina di formarsi in un campo così importante per lo sviluppo dei popoli qual è il campo della salute.
Mi rivolgo prima di tutti agli studenti che frequentano le lezioni di questo prestigioso ateneo. La vostra presenza mi fa rivivere gratissimi ricordi personali. Non posso infatti dimenticare gli anni che ho dedicato all’insegnamento del Diritto pubblico ecclesiastico, dal 1978 al 1991, né i volti di tanti giovani studenti che ho avuto l’opportunità di incontrare in ambienti educativi e che, con il passare del tempo, hanno assunto importanti responsabilità nella vita sociale ed ecclesiale. La formazione acquisita nei loro anni di studio e di ricerca li ha resi capaci di offrire un servizio qualificato a popoli di tutto il mondo.
Oggi, grazie al cordiale invito delle autorità accademiche, mi ritrovo nuovamente fra giovani studenti che si preparano in questa Scuola Universitaria a servire i propri simili. Vedo in questo incontro la realizzazione di un desiderio espresso da Giovanni Paolo II nell’Università di La Habana: «La Chiesa e le istituzioni culturali della Nazione devono incontrarsi nel dialogo e contribuire così allo sviluppo della cultura cubana. Entrambe hanno un cammino e una finalità in comune: servire l’uomo, coltivare tutte le dimensioni del suo spirito e rendere feconde tutte le sue relazioni comunitarie e sociali» (23.1.1998, n. 6).
Distinti Signori, permettetemi, come parte di questo dialogo, di presentarvi oggi alcuni aspetti del pensiero della Chiesa sull’università e sulla dimensione umanitaria della medicina.
È ben noto che la Chiesa intende l’Università come una comunità impegnata nella ricerca della verità e nel servizio all’uomo e ai suoi diritti fondamentali. La centralità della persona e la sua dignità inviolabile esigono dall’Università una proposta pedagogica integrale. Questa prospettiva non deve restare disattesa, sebbene il contesto contemporaneo sembri attribuire il primato assoluto alla tecnica sperimentale, dimenticando in tal modo che ogni scienza deve sempre difendere l’uomo e promuovere la sua ricerca del bene autentico. «Sopravvalutare il “fare” oscurando l'”essere” – ha detto Papa Benedetto XVI – non aiuta a ricomporre l’equilibrio fondamentale di cui ognuno ha bisogno per dare alla propria esistenza un solido fondamento e una valida finalità. Ogni uomo, infatti, è chiamato a dare senso al proprio agire soprattutto quando questo si pone nell’orizzonte di una scoperta scientifica che inficia l’essenza stessa della vita personale» (Discorso nella Pontificia Università Lateranense a motivo dell’inaugurazione dell’anno accademico, 21.10.2006). Lasciarsi dominare dal gusto della scoperta senza salvaguardare i criteri che derivano da una visione più profonda induce a un’illusione ingannevole che può avere conseguenze disastrose per la nostra vita e per quella degli altri.
Voi, cari giovani, non siete solo studenti di medicina, ma siete anche persone che s’interrogano sul significato della propria esistenza e dei propri atti; e anche sul significato di questi anni di studio e di questa scienza acquisita, che nel futuro potrete usare per il bene o – che Dio non voglia – a danno dei vostri fratelli.
La dimensione integrale della formazione universitaria e la ricerca della verità sono favorite dal dialogo aperto fra le diverse discipline universitarie. Per questo, la necessaria specializzazione degli studi superiori non dovrebbe frammentare il sapere, né impoverire altri ambiti della formazione intellettuale, umana e religiosa. L’apertura della ragione a tutte le dimensioni e alla fede, rispettando sempre la dovuta specializzazione che ogni studio universitario serio richiede, sebbene possa essere conferita dall’organizzazione universitaria stessa, è compito di ogni professore e di ogni studente. In tal senso, apprezzo gli sforzi che si compiono affinché gli studenti abbiano spazi per partecipare alle attività pastorali, liturgiche e catechetiche offerte dalla Chiesa cattolica e dalle altre Confessioni cristiane in tutto il Paese.. In effetti, la maggior parte degli studenti è cattolica. Li Incoraggio a integrarsi nei diversi gruppi di preghiera, nei gruppi «pro-vita», al fine di aiutare le giovani che si trovano in difficoltà e pensano purtroppo di abortire quando restano incinte, e anche di essere audaci testimoni del Vangelo nell’ ambito educativo.
Come voi sapete bene, lo stare lontani dal proprio Paese e dalla famiglia provoca una sensazione di solitudine e di sradicamento che può nuocere molto. In effetti, induce a volte a perdere i propri valori e a cadere in una deriva esistenziale. Per questo è di somma importanza non dimenticare i comandamenti di Dio e gli insegnamenti della Chiesa. In tal modo, conserverete meglio una forza spirituale positiva, che vi permetterà anche di aiutare gli altri. Per quelli fra voi che sono cattolici, che sono un buon numero di voi, devo aggiungere la grazia inestimabile che si riceve nell’incontro con la misericordia di Dio, soprattutto mediante il Sacramento della Penitenza.
La formazione religiosa vi aiuterà a maturare come persone e come medici, senza che ciò vada a detrimento della vostra formazione accademica. In tal modo, gli anni trascorsi a Cuba vi serviranno, non solo per essere professionisti competenti, ma anche per rafforzare l’amicizia con Cristo, che avete conosciuto fin da bambini nella vostra famiglia e nel vostro Paese d’origine. Gli spazi di vita cristiana nell’università sono espressione del diritto inalienabile alla libertà religiosa che ogni persona ha e che vi invito a continuare a coltivare (cfr Giovanni Paolo II, Ai membri della Conferenza Episcopale Cubana ricevuti nell’Arcivescovado di La Habana, 25.1.1998, n. 3).
Cari studenti, in quanto persone giovan
i, state vivendo quell’importante momento della vita in cui si esaminano le molteplici proposte che s’incontrano lungo il cammino e si scrutano le convinzioni e i modelli che orientano la vita. Quella libertà che vi permette di operare a favore della verità, del bene, della giustizia e, in definitiva, della persona di Gesù Cristo, deve essere continuamente conquistata (cfr Benedetto XVI, Incontro con il mondo della cultura nell’Università di Ratisbona, 12.0.2006). Non dimenticate che Cristo non vi allontanerà mai da ciò che contribuirà al vostro bene e vi farà progredire in una conoscenza che vi edificherà autenticamente. Egli anzi vi incoraggerà a ricercare i corretti rapporti fra teorie e prassi, ossia, fra conoscenza e azione. Ai nostri giorni, l’uomo corre però il rischio di arrendersi dinanzi alla questione della verità. E ciò fa sì che la ragione, alla fine, si pieghi dinanzi alla pressione degli interessi e all’attrazione dell’utilità, come se fosse questa il criterio ultimo. Per evitare questo rischio, il Papa ha di recente trasmesso all’Università un messaggio in cui invita «la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro» (Allocuzione preparata per l’Università La Sapienza di Roma, 17.1.2008).
Vorrei concretizzare questa alta visione dell’Università collegandola alle vostre aspirazioni quali studenti di Medicina. A tal fine, ricordo nuovamente la visita di Papa Giovanni Paolo II a Cuba e la domanda fondamentale che Sua Santità ha posto ai giovani riuniti a Camagüey, tratta da un verso del salmo 119: «Come potrà un giovane tenere pura la sua vita? Custodendo le tue parole» (Omelia nell’Eucaristia celebrata nella Plaza Ignacio Agromonte, Camagüey, 23.1.1998, n. 3).
L’indimenticato Pontefice osservava che, purtroppo, molti giovani cedono facilmente al relativismo morale, vittime di schemi culturali privi di senso o di ideologie che non offrono norme morali alte e precise. Questo relativismo morale genera solo «egoismo, divisione, emarginazione, discriminazione, timore e sfiducia nei confronti degli altri» (Ibidem).
Nell’attuale contesto culturale e intellettuale del relativismo, che consiste nel non riconoscere nulla come definitivo e nell’affermare che non esistono verità o valori assoluti in materia morale, dove potrà un giovane – qualsiasi giovane, credente o non credente in Gesù Cristo – trovare verità e valori duraturi? Nella legge morale.
Questa legge mostra all’uomo il cammino che deve seguire per praticare il bene e raggiungere il suo fine e gli indica i precetti principali ed essenziali che reggono la vita morale. Si chiama naturale «non in rapporto alla natura degli esseri irrazionali, ma perché la ragione che la promulga è propria della natura umana» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1955).
Sua Santità Benedetto XVI attribuisce a questa dottrina una grande importanza per il buon funzionamento della vita sociale, poiché sulla base della legge naturale, che può essere scoperta da tutti gli uomini, è possibile per i credenti «entrare in dialogo con tutti gli uomini di buona volontà, e più in generale, con la società civile e secolare» (Alla sessione plenaria della Commissione Teologica Internazionale, 5.10.2007). Questa legge segnala il valore sacro della vita umana, dal suo inizio fino al suo termine naturale, e afferma il diritto di ogni essere umano a vedere rispettato questo suo bene essenziale. Il riconoscimento di questo diritto è alla base della convivenza umana e della stessa comunità politica (cfr Evangelium vitae, n, 2). La legge morale naturale ci dice anche che «non tutto ciò che è scientificamente fattibile è anche eticamente lecito»; ci ricorda altresì che l’uomo non può essere ridotto a materiale biologico, che è «qualcuno» e non «qualcosa» (Benedetto XVI, Ai partecipanti alla Sessione plenaria della Congregazione per la Dottrina della Fede, 31.1.2008). «La tecnica – insegna anche Papa Benedetto XVI -, quando riduce l’essere umano ad oggetto di sperimentazione, finisce per ‘abbandonare il soggetto debole all’arbitrio del più forte. Affidarsi ciecamente alla tecnica come all’unica garante del progresso, senza offrire nello stesso tempo un codice etico che affondi le sue radici in quella stessa realtà che viene studiata e sviluppata, equivarrebbe a fare violenza sulla natura umana con conseguenze devastanti per tutti» (Ai partecipanti al Congresso Internazionale sulla Legge Morale Naturale promosso dalla Pontificia Università Lateranense, 12.2.2007).
Questa legge può essere conosciuta meglio da una coscienza educata e disposta ad aprirsi al bene e alla verità. Da qui l’importanza dell’educazione. Al contrario, come dice il Papa, «in mancanza di una formazione continua e qualificata, diventa ancora più problematica la capacità di giudizio nei problemi posti dalla biomedicina in materia di sessualità, di vita nascente, di procreazione, come anche nel modo di trattare e curare i pazienti e le fasce deboli della società» (Ai partecipanti all’Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita, 24.2.2007). Vi invito, pertanto, a lasciarvi interpellare dai criteri morali che concernono questi temi e a elaborare un giudizio retto su di essi nella vostra coscienza.
Consapevoli della grandezza e della portata della nobile scienza della medicina, non dovete ignorare che il servizio che prestate alla società è una testimonianza vitale ed eloquente della trascendenza e del valore della persona umana. La solidarietà che praticate per professione vi offre un’opportunità formidabile e insieme concreta di riconoscere in ogni contatto con il paziente la sua dignità umana e la possibilità di creare una società sempre più giusta ed equa.
Oggigiorno appare quale ideale dominante l’acquisizione di una felicità permanente, intesa come esaltazione del benessere materiale e soppressione della sofferenza. L’esercizio della vostra professione vi permette, senza dubbio, di comprendere con maggiore profondità il dolore e la sofferenza, che non sono incompatibili con la dignità della persona umana. Vi esorto affinché, nei vostri contatti con i malati, non solo scopriate i dolori fisici, ma anche quella sofferenza spirituale che, con tatto e affetto potrete alleviare.
Imparerete, cari giovani, ad assistere il malato in quei momenti di crisi che la malattia inevitabilmente comporta. A voi compete la grazia e l’onore di accompagnare con sollecitudine e con amore i nostri fratelli sofferenti e afflitti. Sono sicuro che lo facciate con accuratezza, con grande rettitudine di cuore e con una carità che a volte giunge fino all’eroismo.
Nel farlo vi serva da sprone e da esempio il modo icon cui Cristo amava i malati, tenendo presente che gli esseri umani hanno sempre bisogno di qualcosa di più di una mera attenzione tecnicamente corretta. Hanno bisogno di essere trattati con umanità e cordialità. Quanti lavorano negli organismi sanitari sono quindi chiamati a distinguersi per il fatto di non limitarsi a realizzare con competenza ciò che è opportuno in ogni momento, ma per la loro dedizione verso l’altro con un’attenzione che proviene dal cuore, affinché l’altro sperimenti la loro ricchezza in umanità. Per questo è necessaria, oltre alla preparazione professionale, una «formazione del cuore» (cfr Deus Caritas est, n. 31).
Papa Benedetto XVI, profondamente convinto che la carità di Cristo crei «umanità» nei cuori, ha trasmesso con vigore ai giovani questa convinzione all’inizio del suo Pontificato, sottolineando che il cristianesimo non distrugge nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande, bensì porta ciò che è veramente umano alla sua pienezza. E non vi è nulla di più umano dell’amore. «Oggi, ha detto in quella occasione – io vorrei, con grande f
orza e grande convinzione, a partire dall’esperienza di una lunga vita personale, dire a voi, cari giovani: non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto» (Omelia nella Messa per l’inizio del Ministero Petrino del Vescovo di Roma, 24.4.2005).
Nel concludere questo incontro con tutti voi, auspico che queste semplici riflessioni vi servano per la vostra vita e nel contempo «vi incoraggio a continuare a lavorare insieme, animati dai principi morali più alti, affinché il noto dinamismo che contraddistingue questo nobile popolo produca abbondanti frutti di benessere e di prosperità spirituale e materiale a beneficio di tutti» (Giovanni Paolo II, Discorso di Congedo nell’aeroporto internazionale José Martí di La Habana, 25.1.1998).
Lascio queste intenzioni nelle mani di Nuestra Señora de la Caridad del Cobre, con la stessa preghiera che Le ha rivolto Giovanni Paolo II: «Fai della nazione cubana una famiglia di fratelli e di sorelle affinché questo popolo spalanchi la sua mente, il suo cuore e la sua vita a Cristo, unico Salvatore e Redentore» (Omelia nella Messa celebrata in Plaza Antonio Maceo di Santiago de Cuba, 24.1,1998, n. 6).
Grazie.