Cardinale Vanhoye: la morte di Cristo ha avvicinato Dio all'uomo

Al termine degli esercizi spirituali della Quaresima in Vaticano

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CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 17 febbraio 2008 (ZENIT.org).- Cristo, morendo per l’umanità, le ha permesso di accostarsi alla casa del Padre, ha permesso una piena comunicazione tra l’uomo e Dio, ha spiegato il Cardinale Albert Vanhoye, S.I.

Così ha detto venerdì il porporato gesuita nel terminare la lettura meditata della Lettera agli Ebrei, nella sesta giornata di esercizi spirituali della Quaresima, predicati al Papa e alla Curia Romana.

Secondo la sintesi offerta dalla “Radio Vaticana”, il Cardinale ha messo in luce la condizione di privilegio dei cristiani, rispetto al rapporto dell’antico popolo ebreo con Dio, dopo la scoperta della vicinanza e paternità di Dio e non – come nell’Antico Testamento – della sua distante e innominabile potestà.

Come cristiani, ha spiegato, possediamo un diritto d’ingresso nel santuario celeste, un diritto a far parte della famiglia divina, fondato sul sangue versato da Gesù.

“Nell’antica Alleanza, c’era la separazione tra il popolo e i sacerdoti – ha detto il poporato –. Il popolo non era mai autorizzato a entrare nell’edificio del Tempio. Poteva soltanto stare nei cortili. I sacerdoti avevano il diritto di penetrare nell’edificio”.

“C’era però separazione anche tra semplici sacerdoti e sommo sacerdote. I primi non potevano entrare nella parte più santa, ma solo nella parte santa dell’edificio”.

“C’era anche la separazione tra sacerdote e vittima – ha aggiunto –. Il sacerdote non poteva offrire se stesso, non era degno, non era capace. Doveva quindi offrire come vittima un animale, ma un animale non è in grado di santificare il sacerdote”.

“C’era infine la separazione tra vittima e Dio. Un animale non può entrare in comunione con Dio. Ora, invece, per mezzo dell’offerta di Cristo, tutti i credenti hanno il diritto di entrare nel santuario e non si tratta più del santuario non autentico, fabbricato dalle mani dell’uomo, ma del Santuario vero, cioè si tratta di entrare nell’intimità di Dio”.
 
L’autore della Lettera agli Ebrei afferma così l’esistenza della confidenza tra l’uomo e Dio e invita ad “accostarsi” con cuore puro a Lui, a fare cioè quello che prima era inconcepibile e vietato.

Quindi, rispetto all’antico israelita, ricercare la volontà di Dio per il cristiano non vuol dire più conformarsi a un codice fisso, ma ricercare una creazione continua, sostiene il porporato.

Soprattutto chi ha responsabilità pastorali, ha avvertito quindi il Cardinale Vanhoye, deve essere consapevole di ciò.

Infatti, passando poi a riflettere sulla necessità di annunciare la novità cristiana, il porporato ha rilevato che “talvolta i predicatori cristiani fanno troppe esortazioni morali e non abbastanza esortazioni teologali, che sono più importanti”.

“L’autore nomina le tre virtù teologali: la fede, la speranza, la carità. Avrebbe potuto nominare le virtù morali o cardinali, ma non lo ha fatto, perchè queste virtù non hanno un rapporto diretto con la Nuova Alleanza”.

“Gli ebrei erano preoccupati soprattutto di osservare bene tutte le tradizioni e i comandamenti. Invece, il Nuovo Testamento non insiste tanto sulla legge da osservare, ma esorta ad avere fede, speranza e carità”, ha continuato.

Con la seconda meditazione, il predicatore gesuita ha concluso la riflessione sulla Lettera agli Ebrei trattandone la solenne chiusura, incentrata sulla Risurrezione e sull’Alleanza eterna.

Il Cardinale Vanhoye ha poi ripercorso i livelli successivi di approfondimento della dottrina cristiana, passati dalla iniziale comprensione della Resurrezione di Gesù come semplice restituzione della vita di Dio al Figlio alla Resurrezione come frutto dell’intervento dello Spirito Santo, il soffio vitale di Dio.

Qui il predicatore degli esercizi si è soffermato sul legame, messo in luce dalla Lettera, tra lo spirito vitale e il sangue, quest’ultimo già considerato sacro dagli antichi – e dalla Bibbia – perché portatore del soffio della vita.

“Come noi aspiriamo l’aria dell’atmosfera per ossigenare il nostro sangue e renderlo capace di vivificare tutto il nostro corpo – ha detto il Cardinale Vanhoye –, così Cristo nella sua Passione per mezzo di una preghiera intensa ha aspirato lo Spirito Santo”.

“Per vincere la paura della morte, Egli ha pregato, ha supplicato e ha ricevuto lo Spirito Santo, il quale è entrato in Lui e lo ha spinto ad offrire la propria vita in un dono di amore”.

“Possiamo dire che nella Passione, il sangue di Cristo si è imbevuto di Spirito Santo, acquistando la capacità di comunicare una vita nuova e di fondare la Nuova Alleanza”, ha continuato.

Secondo il porporato gesuita, l’autore della Lettera ha avuto una grande intuizione sul cristianesimo quando non solo augura ai cristiani di fare la volontà di Dio, ma che Dio stesso operi in loro ciò che a Lui è gradito.

“Così viene indicato, mi pare, l’elemento più profondo della Nuova Alleanza – ha commentato –. Il fatto che riceviamo in noi l’azione stessa di Dio”.

“Nell’Antica Alleanza, Dio prescriveva ciò che si doveva fare, lo prescriveva attraverso una legge esterna. Questo tipo di Alleanza non ha funzionato, perchè l’uomo non è capace con le sole sue forze di compiere la volontà di Dio”.

“Perciò il Signore ha voluto istituire una Nuova Alleanza: ha promesso di scrivere la sua legge nel cuore dell’uomo, di dargli un cuore nuovo e di dare il suo spirito”.

“Pertanto, la nuova Alleanza non consiste soltanto nel ricevere le leggi di Dio all’interno del nostro cuore, ma nel ricevere l’azione di Dio stesso in noi”, ha quindi concluso.

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ZENIT Staff

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