Cardinale Vanhoye: Dio cerca la comunione con l'uomo

Nelle meditazioni quaresimali al Papa e alla Curia di lunedì mattina

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CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 11 febbraio 2008 (ZENIT.org).- La gloria di Cristo sta nell’aver amato sino alla fine, ristabilendo la comunione tra l’uomo e il Dio, ha detto questo lunedì il Cardinale Albert Vanhoye negli esercizi spirituali al Papa e alla Curia.

E’ questo quanto ha affermato il porporato gesuita, già Segretario della Pontificia Commissione Biblica, nelle riflessioni in vista della Quaresima che ruoteranno attorno al tema “Accogliamo Cristo nostro Sommo Sacerdote”, ispirato alla Lettera agli Ebrei.

Stamani, nella Cappella “Redemptoris Mater” del Palazzo Apostolico, il Cardinale ha tenuto due meditazioni sui temi “Dio ci ha parlato nel suo Figlio” e “Cristo è Figlio di Dio e fratello nostro”.

Il Dio della Bibbia non è un Dio muto – ha sottolineato all’inizio il Cardinale Vanhoye, secondo quanto riportato nella sintesi della “Radio Vaticana” –, è un Dio che parla agli uomini per entrare in comunicazione, in comunione con loro.

Il nostro Dio – ha proseguito –, vuole stabilire e approfondire dei rapporti personali con noi. Una volontà di comunicazione che risulta in modo eloquente quando il Signore parla a Mosé nel roveto ardente.

“E’ molto interessante vedere in che modo Dio si autodefinisce – ha continuato –. Dice a Mosé: ‘Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe’. Dio non si autodefinisce con la sua onnipotenza, né con la sua onniscienza, ma si definisce con relazioni personali con alcuni uomini privi di importanza”.

Dio, ha sottolineato il porporato, avrebbe avuto tanti motivi per non parlare più al suo popolo, che gli era stato infedele, ma invece cerca questa relazione.

Anche Gesù, ha aggiunto, quando parla alla Samaritana compie un gesto straordinario, vista l’inimicizia tra giudei e samaritani, ma perché questa è la volontà di Dio, una volontà di comunicazione.

L’autore della Lettera agli Ebrei, ha detto il Cardinale Vanhoye, ci mostra due periodi nella comunicazione della Parola di Dio e due specie di mediatori: nel primo, Dio ha parlato per mezzo dei profeti; mentre nel secondo periodo, quello escatologico, c’è l’intervento decisivo di Dio per mezzo del Suo Figlio, il mediatore perfetto.

Nelle meditazioni di lunedì mattina, il Cardinale Vanhoye si è soffermato sui due aspetti del nome di Cristo, presentati dalla Lettera agli Ebrei: Egli è Figlio di Dio, ma anche nostro Fratello, perché prende la forma umile della esistenza umana.

“Noi abbiamo più che un avvocato, ma un fratello che intercede presso Dio – ha spiegato il porporato – ; un fratello che ha promesso di annunciarci, dopo la sua glorificazione, il nome del Padre e che adesso lo annuncia. Un fratello che non si dimentica di noi nella sua gloria, perché la sua gloria è proprio il frutto stesso della sua solidarietà con noi”.

Il Figlio, ha ribadito, viene definito per mezzo della sua relazione con il Padre. E’ dunque ben superiore agli angeli che pure sono mediatori tra noi e Dio.

Il Cardinale Vanhoye ha quindi rivolto il pensiero al mistero pasquale: “La gloria di Cristo non è la gloria di un essere ambizioso o soddisfatto delle proprie imprese, né la gloria di un guerriero che abbia sconfitto i nemici con la forza delle armi, ma è la gloria dell’amore, la gloria dell’aver amato sino alla fine, di aver ristabilito la comunione tra noi peccatori e suo Padre”.

Cristo è con il Padre, Signore del cielo e della terra – ha concluso – . Cristo glorificato ha il potere di porre fine alla vecchia creazione, perché ha inaugurato la nuova creazione per mezzo della Sua Risurrezione.

Iniziati domenica pomeriggio alle ore 18, gli esercizi spirituali si concluderanno sabato prossimo 16 febbraio. In questi giorni, sono sospese tutte le udienze pontificie, compresa quella generale di mercoledì 13 febbraio.

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ZENIT Staff

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