Convegno dei Rogazionisti: “con i poveri per una carità creativa”

A Rocca di Papa (Roma) dal 6 al 9 dicembre

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ROMA, mercoledì, 12 dicembre 2007 (ZENIT.org).- Si è svolto dal 6 al 9 dicembre a Rocca di Papa (Roma) il Convegno “Apostoli del Rogate: per quale missione?”, organizzato dai Padri Rogazionisti del Cuore di Gesù.

L’obiettivo, ricorda un comunicato stampa ricevuto da ZENIT, è stato quello di “approfondire la missione rogazionista della carità, interrogandosi sulle modalità dell’essere buoni operai per l’avvento del regno di Dio, lavorando – come recitano le Costituzioni dei Rogazionisti – per il bene spirituale e temporale del prossimo sull’esempio del padre Fondatore, Sant’Annibale Maria di Francia”.

L’intervento inaugurale è stato pronunciato dal prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, che ha sottolineato la scarsa popolarità riscossa dai poveri nella società attuale.

“Forse non siamo riusciti a cantare la loro bellezza, o forse siamo talmente deboli da fuggirli. O forse siamo presi dalla nostra mentalità egoistico-consumistica”, ha constatato.

In questo contesto, per Riccardi bisogna “spiegare ai giovani e ai nostri coetanei come non c’è vita cristiana senza un povero per amico. Non c’è esperienza spirituale senza un povero, perché l’esperienza del povero è esperienza di Cristo stesso. Non c’è mistica senza il contatto diretto con il debole”.

“Occorre creatività per dirlo forte e bene nella Chiesa e per rimettere i poveri al centro. Dobbiamo rimettere il contatto personale, amicale, con i poveri al centro della spiritualità, perché solo i poveri insegnano a comprendere la profondità del Vangelo”.

Per padre Antonio Fiorenza, Vicario generale dei Rogazionisti, “la missione che attua il carisma del Rogate comprende in maniera congiunta e inseparabile la dimensione della preghiera per i buoni operai e della carità”.

Gli obiettivi del Convegno, ha aggiunto, sono due “aiutare a prendere coscienza che la credibilità della Chiesa oggi passa attraverso la scelta dei poveri, e che tale scelta va fatta in sintonia con le esigenze e i bisogni reali della società di oggi”.

“Il primo obiettivo si basa sulla convinzione che il servizio della carità appartiene all’essenza della Chiesa”, “il secondo postula la capacità del discernimento delle tante forme di povertà presenti nella società di oggi, e l’elaborazione di risposte concrete ai tanti poveri che si incontrano dappertutto, anche nelle regioni del mondo più ricche e nelle città più moderne”.

Il 9 dicembre è intervenuto al Convegno Savino Pezzotta, ex Segretario nazionale della Cisl, che ha affrontato il tema della giustizia e della carità sociale.

Il temine “carità”, ha osservato, “è quanto mai impegnativo per il cristiano, e non può essere riferito solo alle opere di giustizia verso gli uomini”.

Nel linguaggio corrente, ha commentato, “è stato ridotto a filantropia e ha assunto sempre di più una dimensione di compassionevolezza”, con il rischio che “ci si incammini su questi terreni per tranquillizzare la coscienza nei casi in cui si è consapevoli che un certo modo di fare, che certe organizzazioni economiche, producono offese alla persona che poi bisogna riparare”.

Ciò accade, ha spiegato, “perché attraverso la compassionevolezza si cerca di evitare la ribellione degli offesi, oppure – e questo è fenomeno molto più diffuso – perché non si vuole assumere l’incarico dell’emancipazione”.

Con l’avvento della società industriale, ha proseguito, i poveri vengono considerati come persone che “non contribuiscono alla crescita economica” e quindi “disturbano il corso verso il profitto”.

“Siccome non si possono eliminare, si cerca di nasconderli e di farli sopravvivere, magari con buon cuore”, ha osservato. Ciò non significa che cura, elemosina e beneficenza non servano – “l’elemosina è anzi un atto che educa alla dimensione della gratuità” –; “tuttavia, seppur propedeutiche alla dimensione della carità, queste pratiche non sono la carità”.

“Nella carità cristiana sta dentro, direi ‘connaturata’, l’idea dell’emancipazione, della promozione, della valorizzazione della persona come essa è, dal concepimento alla morte – ha ricordato Pezzotta –. Bisogna sempre promuovere e valorizzare il debole, emancipandolo”.

“Per il fatto che lo consideriamo immagine di Dio, non possiamo non amarlo e pertanto cercare sempre di restituirgli quella libertà per cui è creato”.

Per questo, “la carità cristiana non è solo soccorso e cura del debole, ma impegno ad attivare processi di emancipazione, di libertà: Dio non tollera la schiavitù, l’emarginazione. In questo senso l’azione caritativa si sposa con la giustizia”.

Tra le attività di impegno per “la liberazione dell’uomo dalle schiavitù del presente, anche quelle di ordine morale”, Pezzotta ha messo al primo posto l’educazione.

“Non continuiamo a dire che le famiglie devono educare. Perché le famiglie non ce la fanno. E non perché non vogliono, ma perché tutti gli strumenti che stanno attorno alla famiglia non educano: l’individualizzazione presente anche nelle nostre comunità non educa più allo stare insieme, alla relazione”, ha denunciato.

“Come cristiani – ha concluso – abbiamo il dovere di riprendere in mano il tema dell’educazione e capire come riuscire a fare delle nostre associazioni, delle nostre comunità parrocchiali, delle comunità educanti”.

[Ulteriori informazioni su www.rcj.org; www.convegno.rcj.org]

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ZENIT Staff

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