Di Mirko Testa
CIPRO, giovedì, 16 agosto 2007 (ZENIT.org).- In un comunicato del 13 agosto scorso l’Arcivescovo di Nuova Giustiniana e di tutta Cipro, Sua Beatitudine Chrysostomos II, ha denunciato che la celebrazione della Messa nel monastero di San Barnaba di Famagosta, nel territorio occupato dall’Esercito Turco, è stata impedita con la violenza.
Secondo quanto si legge nella nota, “quando l’Archimandrita monsignor Gabriele si è recato nel monastero, trasformato dai Turchi in museo e finora accessibile ai cristiani dietro pagamento di un biglietto, un gruppo di sedicenti membri della ‘Polizia turco cipriota’, in realtà una milizia irregolare, sono intervenuti ordinando di sospendere la funzione”.
“Alle proteste di monsignor Gabriele i miliziani hanno cacciato a forza i fedeli, e mentre il religioso si ostinava a terminare la messa hanno coperto la voce del celebrante con insulti e bestemmie contro la fede cristiana. Tutti i presenti sono stati schedati dai sedicenti poliziotti”, continua il comunicato.
Si tratta dell’ultimo episodio di tensione nella regione settentrionale di Cipro occupata dalla Turchia nel 1974, con 40 mila soldati. La parte meridionale dell’isola, greca e cristiana, è invece entrata a far parte dell’Unione Europea il 1° maggio del 2004.
L’occupazione turca ha causato morti, distruzioni e uno spostamento forzato di popolazioni. Circa 200 mila greco-ciprioti di fede cristiana ortodossa che abitavano nel nord dell’isola sono fuggiti al sud. E viceversa, i turco-ciprioti del sud, musulmani, si sono spostati al nord.
Nel 1983 la Turchia ha consolidato l’occupazione creando una Repubblica Turca del Nord di Cipro, riconosciuta internazionalmente dal solo governo di Ankara. Un muro, la cosiddetta “linea verde”, presidiato da caschi blu delle Nazioni Unite divide le due parti dell’isola e taglia la capitale Nicosia.
Nell’aprile del 2004 l’ONU ha sottoposto a referendum un piano di confederazione tra i due Stati, ma esso è stato respinto dai greco-ciprioti del sud.
Intanto, l’islamizzazione del nord dell’isola s’è concretizzata nella distruzione di tutto ciò che era cristiano.
Recentemente l’Arcivescovo Chrysostomos II, vivamente preoccupato per la libertà dei cristiani a Cipro, aveva rivolto un appello al Presidente del Consiglio italiano, Romano Prodi, al Cancelliere tedesco, Angela Merkel, e al Presidente della Commissione europea, José Manuel Durao Barroso, perchè gli venga consentito di restaurare a spese della Chiesa locale le cinquecento chiese cristiane che si trovano nei territori occupati dai Turchi.
Molte di queste chiese, alcune delle quali non ortodosse, come quella maronita o quella armena, sono state trasformate dagli occupanti in depositi militari, stalle, discoteche e a volte anche moschee.
“L’incidente accaduto – spiega il comunicato – pare rispecchiare le ultime dichiarazioni del Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate Turche, il Generale Yasar Buyukanit, il quale lo scorso 30 luglio ad Ankara, in commemorazione dell’invasione di Cipro, ha dichiarato che l’Esercito Turco non abbandonerà mai le terre conquistate con le armi”.
Ad esasperare i toni del confronto tra la comunità greco-ortodossa e quella turco-cipriota musulmana contribuisce anche la decisione di Ankara di non consentire la visita dell’Arcivescovo greco-ortodosso di Cipro, Chrysostomos II, al Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, prevista tra il 17 e 21 agosto prossimi.
Secondo quanto riferito dall’agenzia “Asianews”, la visita, di carattere prettamente religioso, era già stata rinviata una prima volta dal governo turco nel maggio scorso, invocando il pretesto del clima pre-elettorale e le possibili conseguenze politiche dell’incontro.
“Il governo di Ankara ha mostrato il suo vero volto”, ha detto Chrysostomos II alla Radio greca “Skai”, annunciando poi “l’intenzione di inviare una lettera alla Santa Sede e al Consiglio mondiale delle Chiese, per metterle a conoscenza dell’accaduto”.
Chrysostomos ha infine precisato che “non esistono divergenze tra i greco-ortodossi ed i fratelli turco-ciprioti musulmani” e che il problema vero è nelle “interferenze di Ankara, che blocca qualsiasi tentativo di integrazione delle due comunità nel reciproco rispetto”.