Arcivescovo Foley: il “silenzio può essere spezzato per diffondere il grido dell’umanità”

Intervento al Convegno Internazionale su Cinema e Spiritualità

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ROMA, mercoledì, 15 novembre 2006 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’intervento pronunciato questo mercoledì da monsignor John P. Foley, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, in occasione del Convegno Internazionale su Cinema e Spiritualità, dal titolo “La cospirazione del silenzio”, tenutosi presso la Pontificia Università Gregoriana.

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La drammatica esperienza della parola negata e del grido soffocato attraversa l’intera storia dell’umanità si ripete con lo stesso lacerante dolore in ogni luogo geografico, in ogni cultura e si dipana davanti ai nostri occhi in mille sfaccettature, prendendo a volte come pretesto anche il nome di Dio, quello stesso Dio di amore che ci ha creati a Sua immagine. Il silenzio è in tutte quelle parole che si vorrebbero dire e che invece restano inespresse, il silenzio è in tutte quelle verità che si dovrebbero proclamare e che invece vengono taciute, il silenzio è in tutte quelle urla contro l’ingiustizia ed il sopruso che dovrebbero straziare i cuori e che invece vengono soffocate.

Questo stesso silenzio però può essere spezzato per diffondere il grido dell’umanità, per dare voce ai deboli e ai miseri che hanno perso ogni speranza. Ma per fare questo occorre che ognuno di noi si senta chiamato ad abbattere il muro dell’indifferenza, a mettere da parte i pregiudizi, accettando umilmente di conoscere, di aprire gli occhi sulle tante realtà lontane dal nostro microcosmo. La dignità dell’uomo non deve essere soffocata, non può venire calpestata, eppure questo accade intorno a noi, lontano o vicino, ogni volta che il silenzio si abbatte impietoso sulle sofferenze dell’umanità, a causa di interessi più alti, di intolleranza, di prevaricazione.

La nostra epoca è indubbiamente privilegiata perchè la diffusione capillare dei media unisce il mondo in una comunicazione globale che abbatte le distanze di luogo e tempo. Il cinema in particolare è uno strumento creativo che ha saputo conciliare la poesia, l’arte, la musica, per rappresentare il mondo in cui viviamo, per metterci di fronte alle tante realtà che, come abbiamo avuto modo di ascoltare in questi due giorni, ci costringono a non dimenticare, ci impediscono di dire “io non sapevo”.

Per questo il cinema, mezzo di comunicazione, strumento di cultura e di profonda conoscenza, può essere prima di tutto il mezzo a cui affidare la memoria storica di tutte quelle realtà dimenticate, taciute, grazie anche allo straordinario potere dell’immagine, un linguaggio universale che sa arrivare al cuore e che non può lasciare indifferenti.

Penso poi alle nuove generazioni, che tanto amano il cinema, e che attraverso di esso possono imparare, imparare quanto è pericoloso l’odio, quanto è inaccettabile il razzismo, quanto è distruttiva l’intolleranza religiosa. I nostri giovani possono così entrare in tutte quelle realtà storicamente e geograficamente lontane da loro che hanno calpestato l’uomo, distrutto i suoi sogni, le sue aspirazioni, annullando la sua dignità. E vedendo sullo schermo dove può portare il sopruso, si sentiranno chiamati ad impegnarsi perché questo non debba ripetersi.

La Chiesa si è sempre schierata a fianco dei deboli, dei dimenticati, facendo sì che nessun grido restasse inascoltato; i valori che essa proclama sono validi per l’umanità intera, perché fondati sul rispetto, ed il cinema, che tante volte ha veicolato questi valori, ha saputo prestare voce a tanti “rifiutati”. Esso è dunque un’ottima opportunità da non lasciar sfuggire, perché con il suo forte impatto visivo, se utilizzato con responsabilità e rispetto, può diventare un altoparlante in grado di diffondere su tutto il pianeta la voce di quanti sono oppressi e restano inascoltati.

Voglio concludere citando i versi che aprono una poesia di Gerard Manley Hopkins, poeta gesuita inglese, vissuto nella seconda metà dell’ottocento.

Elected Silence, sing to me
And beat upon my whorled ear,
Pipe me to pastures still and be
The music that I care to hear.

Questi sono i versi che mi tornano alla mente ogni volta che mi soffermo a riflettere sul silenzio e questi sono i versi che aprono il mio cuore all’altra faccia del silenzio, quella in cui Dio si manifesta all’uomo che si dispone all’ascolto e parla al suo cuore, nel pieno rispetto della sua libertà, per farsi accogliere.

Nonostante la cospirazione, il silenzio non è vuoto, anzi può essere il luogo privilegiato in cui l’uomo si mette a nudo di fronte a Dio, infinita pienezza, infinito amore, per recuperare la dignità che il Suo Creatore gli ha donato.

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ZENIT Staff

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