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Siamo qui per fare memoria di un’alluvione disastrosa. E’ spontaneo accostarla al racconto biblico del diluvio, che abbiamo ascoltato come prima lettura dal libro della Genesi. «Il diluvio durò sulla terra […] Le acque divennero poderose e crebbero molto […] si innalzarono sempre più […] Perì ogni essere vivente che si muove sulla terra, uccelli, bestiame, fiere, […] e gli uomini».
Quaranta anni fa, il 4 novembre 1966, dopo tre giornate di fitta pioggia, la piena dell’Arno superò gli argini e i piani stradali dei ponti: sui quartieri di Bellariva, Piazza Gavinana, San Niccolò, Santa Croce, San Giovanni, Santo Spirito, Santa Maria Novella, Borgo San Frediano, cioè su gran parte della città di Firenze, si abbatté all’improvviso e simultaneamente una valanga di acqua e di fango. Con paurosi vortici l’acqua fangosa penetrò negli scantinati, nei sotterranei, nei piani terreni e rialzati, sorprendendo migliaia di famiglie, impegnandole in uno sforzo gigantesco per vincere la paura e lo smarrimento, resi ancor più angosciosi dalle urla di donne, vecchi e bambini, dal silenzio dei telefoni, dalla mancanza della luce elettrica, dell’acqua potabile e del gas. Diciassette furono le vittime in città e altre diciotto nella provincia (vogliamo pregare per loro in questa Messa e affidarle alla divina Misericordia).
Gravissimi i danni all’immenso patrimonio storico, culturale, artistico, accumulato attraverso secoli di straordinaria creatività. Diciotto chiese monumentali furono invase dall’acqua e dal fango, imbrattate di nafta, devastate negli altari, negli arredi, nei pavimenti, negli affreschi, nei dipinti. Il “Cristo” di Cimabue fu il drammatico simbolo dell’immane rovina.
Con la stessa violenza la catastrofe si abbatté sui Musei e sugli Archivi, sulla Biblioteca Nazionale e le altre biblioteche delle Accademie e delle Facoltà universitarie, danneggiando pesantemente molte migliaia di volumi, documenti, oggetti artistici, strumenti vari.
Oggi, a quaranta anni di distanza, la memoria di quel tragico evento rimane ben viva e in parte rimangono aperte dolorose ferite. Rimane però assai viva anche la memoria delle forti energie morali e della splendida solidarietà che si svilupparono allora come risposta alle sfide della calamità naturale.
La testimonianza, che allora molte persone seppero dare, corrisponde pienamente alle esortazioni dell’apostolo Paolo che abbiamo ascoltato nella seconda lettura: «la carità non abbia finzioni […] amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno […] siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione […] solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell’ospitalità. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto».
Firenze, duramente colpita, seppe reagire con le sue doti migliori. Paolo VI, venuto a portare la gioia del Natale di Cristo e a incoraggiare, in suo nome, la rinascita della città, dichiarava di avere piena fiducia nella «tempra fiorentina, vibrante di intelligenza, di coraggio, di laboriosità, di senso acuto ed operante della realtà. Sono virtù queste,» – aggiungeva – «che messe alla prova insorgono, si affermano e si accrescono, non cedono».
La fiducia del Papa non era infondata. Effettivamente la popolazione già si era messa prontamente all’opera con ammirevole impegno. L’amministrazione comunale guidata dal sindaco Piero Bargellini, noto scrittore ed intellettuale d’ispirazione cristiana, dette il meglio di sé nel coordinare e nell’organizzare gli aiuti, nel richiedere l’intervento delle istituzioni nazionali e l’aiuto della comunità internazionale, poiché Firenze appartiene al mondo intero. Un ruolo importante di sensibilizzazione in questo senso lo ebbe il famoso documentario televisivo realizzato dal regista Franco Zeffirelli con l’attore Richard Burton nel ruolo di commentatore delle tragiche immagini.
L’amore per Firenze e la gran voglia di soccorrerla si concretizzò specialmente in quel bellissimo fenomeno che fu giustamente denominato “Gli angeli del fango”. Moltissimi giovani, soprattutto studenti, vennero da paesi lontani e da diverse culture. Confluirono nella nostra città, per cooperare con i militari, i vigili del fuoco (molti dei quali vedo qui presenti) ed altri volontari, al salvataggio dei libri antichi, alla ripulitura di case e botteghe, al sostegno morale e materiale dei cittadini alluvionati.
Di quei volontari voglio ricordare quattro che oggi sono Vescovi: Mons. Giuseppe Betori, Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana; Mons. Luciano Monari, Vescovo di Piacenza e Vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana; Mons. Diego Coletti, Vescovo di Livorno; Mons. Mansueto Bianchi, Vescovo di Volterra. A loro e a tutti i soccorritori va oggi il nostro grazie che nella Messa diventa preghiera.
La Chiesa fiorentina in tutte le sue componenti, parrocchie, associazioni, istituti religiosi, si profuse con un grande slancio di carità per mitigare le sofferenze e per testimoniare la speranza cristiana. Al mio predecessore cardinale Ermenegildo Florit pervennero elargizioni ed offerte da parte di tutto il mondo cattolico su sollecitazione della Santa Sede, tanto che poté distribuire ai bisognosi ed ai danneggiati la somma, assai rilevante per quei tempi, di un miliardo e mezzo di lire.
Il Papa Paolo VI volle esprimere la sua vicinanza al popolo fiorentino venendo a celebrare, in questa Cattedrale di Santa Maria del Fiore, la S. Messa nella Notte di Natale di quel 1966. «Siamo qui venuti» – disse il Papa nell’omelia – «perché la vostra prova ci ha chiamati, ci ha quasi obbligati a venire».
Paolo VI volle condividere la sofferenza della gente, manifestando ad essa il suo amore di Padre. Volle soprattutto ravvivare la speranza e stimolare l’impegno. A conclusione dell’omelia lasciò ai fiorentini una precisa consegna: «rinascere popolo vivo ed unito; popolo laborioso e credente; popolo fedele alla sua tradizione e moderno».
Quarant’anni dopo possiamo domandarci in che misura la consegna, data dal Papa, sia stata accolta.
Molte cose positive senz’altro sono state fatte. Abitazioni, opere d’arte, beni culturali in gran numero sono stati restaurati e restaurati bene. I laboratori fiorentini si sono posti all’avanguardia per la scienza e la tecnica del restauro e hanno acquistato meritatamente fama internazionale. E’ significativo che il programma delle celebrazioni quarantennali si sia aperto ieri con la presentazione in Battistero della restaurata ultima formella della Porta del Paradiso di Lorenzo Ghiberti.
Molto però resta ancora da fare. Grande è ancora la quantità di beni storici e artistici che attende di essere recuperata. Il bacino dell’Arno ancora non è stato messo in sicurezza e occorrono ingenti risorse per i lavori necessari. Il decoro stesso della città in alcuni luoghi lascia a desiderare e chiede di essere più efficacemente tutelato e promosso.
Soprattutto desta preoccupazione la comunità civile come tale. La popolazione diminuisce e invecchia; le famiglie giovani sono costrette a stabilirsi nei comuni circostanti per il costo proibitivo delle abitazioni; il centro storico è occupato da uffici e da studenti, che affittano posti letto in molti per ogni appartamento. Varie attività artigianali e imprenditoriali sono venute meno o si sono trasferite altrove. Prospera solo l’economia legata al turismo di massa.
La città ha bisogno di un rinnovato slancio creativo e di una rinnovata solidarietà. E’ tempo di fare sintesi tra l’incomparabile patrimonio culturale, che ci è stato consegnato da una gloriosa tradizione, e le esigenze di una città moderna con le sue attività produttive, i suoi servizi, le sue possibilità di comunicazione.
E’ tempo di solidarietà, intesa non come vaga compassione, ma come volontà decisa e perseverante di impegnarsi per il bene comune secondo l
e proprie capacità. Occorre che ognuno faccia la sua parte e che tutti collaborino mettendo insieme le molteplici risorse politiche, lavorative, manageriali, finanziarie. Occorre convergere su obiettivi di fondo condivisi, elaborare linee progettuali comuni, individuare possibili sinergie.
La grande capacità creativa dimostrata da questo popolo nel corso della sua storia può essere risvegliata anche oggi. C’è bisogno di grandi ideali, di grandi speranze, di salde convinzioni. La fede in Gesù Cristo, che ha permeato la civiltà fiorentina nei secoli passati può offrire ancora splendide motivazioni e forti energie. Nel Vangelo che abbiamo ascoltato, Gesù ci ha detto: «chiunque ascolta le mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia».
La fede in Gesù Cristo contribuisce sicuramente a rendere solida la compagine della città. Ci aiuta a custodire il patrimonio storico, ad arricchirlo, a trasmetterlo alle nuove generazioni, a condividerlo con tutti i popoli della terra, perché, come affermava Giorgio La Pira, Dio ha dato a Firenze una vocazione universale; «ha, in certo modo, toccato le sue chiese, le sue pietre, le sue mura, le sue porte, le sue torri, le sue piazze, le sue strade, le sue acque […] e l’ha fatta così per tutti i secoli e per tutti i popoli, irradiatrice di bellezza»