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Razza e cultura: incontro e scontro con la società



4. Come la Chiesa in Africa, nella sua storia, si è confrontata con la questione razziale. Parte prima.

La Chiesa in Africa è la Chiesa regionale che mostra il tasso di crescita più dinamico e veloce all’inizio del XXI secolo. Affrontando la sua storia e la questione razziale dobbiamo essere consapevoli che questa rappresenta la terza fase nella storia della Chiesa in questo continente. Il cristianesimo è stato dapprima introdotto nell’Africa settentrionale ed è fiorito attraverso un’intensa attività missionaria per molti secoli. È poi scomparso come risultato di divisioni interne e forti pressioni esterne da parte dell’Islam. La seconda fase dell’evangelizzazione in Africa è avvenuta nei secoli XV e XVI nell’Africa subsahariana ed è stata limitata ad alcune aree lungo la costa occidentale e lungo la costa orientale. L’impulso missionario è dovuto all’iniziativa portoghese. In quel caso, non è stato necessario un grande sforzo per radicare la fede nella cultura e nella vita del popolo. Il risultato è che in quelle aree la Chiesa non è fiorita. Ci troviamo ora nella terza fase della storia della Chiesa in Africa, che è iniziata nel XIX secolo grazie a migliaia di missionari provenienti dall’Europa e dal Nord America per stabilire il cattolicesimo nel continente africano. Si trattava di un periodo caratterizzato da un’incredibile espansione, accompagnata dalla costruzione di numerose chiese, scuole, ospedali e altri progetti di sviluppo.

Allora, come ha affrontato la questione razziale la Chiesa in Africa? Si tratta di un problema estremamente complesso. Le varie potenze coloniali hanno adottato diverse politiche nei confronti dei popoli indigeni africani. Inoltre, l’Africa è stata evangelizzata da molti ordini religiosi e congregazioni differenti, ognuno dei quali ha fatto ricorso a politiche e metodi missionari differenti. La mia valutazione, in effetti, è molto generale, con molte variazioni che non sarà possibile trattare in questa sede. Così, mentre ci sono stati esempi di razzismo, specialmente nel Sud, il problema maggiore è stato quello dell’imperialismo culturale occidentale. In questo breve trattato generale sulla questione razziale, guarderemo dapprima al modo in cui la Chiesa ha affrontato la questione razziale a un livello più universale, e poi specificamente in Africa. Nella seconda parte mi concentrerò sul grande problema dell’egemonia culturale dell’Occidente e sulla conseguente necessità di affrontare l’inculturazione del Vangelo nell’anima africana.

Poco tempo dopo la scoperta del Nuovo Mondo, la Santa Sede ha denunciato coloro che sostenevano che “gli abitanti delle Indie occidentali e dei continenti meridionali (…) dovrebbero essere trattati come animali irrazionali e usati esclusivamente per il nostro profitto e a nostro vantaggio”[1]. Nella nostra epoca, Giovanni Paolo II ha fortemente deplorato che le persone che appartengono a nazioni cristiane abbiano dato un notevole contributo al commercio degli schiavi neri[2]. Inoltre, c'erano stati alcuni episodi di compromessi missionari con gli stati coloniali. Non sarebbe esagerato affermare che in alcune colonie l'attività missionaria africana era andata a braccetto con l'attività politica. Papa Paolo VI osservava che "bisogna certo riconoscere che le potenze colonizzatrici hanno spesso avuto di mira soltanto il loro interesse, la loro potenza, il loro prestigio"[3]. Per essere onesti, Papa Paolo riconosce, tuttavia, che "bisogna nel contempo rendere omaggio alle qualità e alle realizzazioni dei colonizzatori che, in tante regioni abbandonate, hanno portato la loro scienza e la loro tecnica, lasciando testimonianze preziose della loro presenza”[4]. L’eredità coloniale, tuttavia, ha esercitato talvolta un effetto negativo sull'evangelizzazione. Bisogna osservare che l'espansione europea del XIX secolo ha coinciso con la crescita della missione della Chiesa. Lukas Malishi osserva:

Le comunità cristiane, pur moltiplicandosi, erano assediate dai conflitti, dall'intolleranza interdenominazionale, dalla bigotteria e dal settarismo, si accapigliavano per il territorio e per escludere gli altri (...). Non possiamo dare torto agli africani per averne tratto la conclusione che i missionari, al pari dei colonialisti, agivano contro i veri interessi della loro razza e del loro paese. Era difficile distinguere tra il messaggio evangelico e il funzionario imperiale.[5]

Nell’Africa meridionale, fino alla metà del XX secolo, e anche dopo, la Chiesa si è adattata al comportamento prevalente dei bianchi e alla mentalità coloniale. In questo modo si è lasciata trascinare dalla parte della segregazione istituzionale e sociale. Questo ha significato parrocchie, scuole e persino seminari segregati. In quel periodo si assisteva a stanziamenti sproporzionati di risorse umane e di fondi a vantaggio della comunità bianca più ricca. La realtà dell’apartheid e della segregazione razziale era data per scontata. Le iniziative verso l'integrazione delle strutture ecclesiali, come le scuole e i seminari, hanno guadagnato spazio soltanto negli anni 70. Dopo la caduta dell’apartheid, la Chiesa cattolica in Sudafrica ha ammesso davanti alla Commissione Verità e Riconciliazione che avrebbe potuto fare di più nella lotta contro l’apartheid. Ecco un estratto della deposizione:

La complicità della Chiesa cattolica..... va individuata in atti di omissione piuttosto che di perpetrazione ... il silenzio di fronte all'oppressione permanente e sistematica a tutti i livelli della società rappresenta forse il più grande peccato della Chiesa ... con il senno di poi si potrebbe affermare che la Chiesa abbia contribuito alla creazione di una cultura dei diritti umani, di una cultura della resistenza, di una cultura della protesta. Allo stesso tempo, ha condannato le violazioni palesi dei diritti umani su tutti i fronti. Riconosciamo tuttavia che avrebbe potuto essere fatto di più per protestare contro le violazioni permanenti e sistematiche dei diritti umani da parte dell'apparato statale.[6]

Dedicheremo tra breve la nostra attenzione all'accusa rivolta alla Chiesa di non aver mai preso seriamente il popolo africano e la sua cultura.

4. Come la Chiesa in Africa, nella sua storia, si è confrontata con la questione razziale. Parte seconda.

Abbiamo menzionato nella prima parte di questa presentazione che la storia della Chiesa africana è estremamente complicata e diversificata. Esiste una parte di verità nell'accusa che l'attività missionaria in alcune aree dell'Africa e in alcuni periodi sia stata asservita alle finalità delle potenze coloniali e si sia persino adattata in una certa misura a favorire i colonizzatori bianchi a danno dei popoli nativi. È però piuttosto nell'area dell'imperialismo culturale, nell'incapacità di alcuni missionari di apprezzare il ricco patrimonio culturale africano, che va individuato il problema più grande. Instillare l’idea che tutto ciò che era africano era ‘pagano’ e ‘primitivo’ e incoraggiare i popoli indigeni ad assimilare la cultura occidentale come parte essenziale del messaggio della salvezza, questo ha rappresentato il problema più grande in materia di questione razziale. Se almeno le parole del Cardinale Lavigerie, il fondatore dei Missionari d'Africa, popolarmente conosciuti come i Padri Bianchi, fossero state ascoltate per tempo:

Se vogliamo trasformare l'Africa, nella loro educazione i giovani africani non debbono essere trasformati in europei dalla pelle nera, poiché questo li renderebbe disadattati nella propria società e nel proprio paese. Siate come San Paolo, che si fece barbaro con i barbari ma anche greco con i greci. San Pietro e San Paolo non hanno cercato di trasformare in ebrei i figli dei primi convertiti di Roma, né Sant’Ireneo ha cercato di grecizzare i bambini di Lione. Non commettete l'imperdonab ile errore di educare i bambini africani nello stile francese. Vi proibisco di metterli a dormire in letti francesi, vi proibisco di dar loro cibo francese da mangiare, vi proibisco di insegnare loro a leggere e scrivere in francese.[7]

I Lineamenta (o documento preliminare) che sono stati pubblicati prima dell'Assemblea Speciale per l'Africa del Sinodo dei Vescovi menzionavano l'importanza cruciale dell'inculturazione. Vi si osservava che la Chiesa nordafricana era scomparsa poiché non era riuscita a incarnare il cristianesimo. D'altra parte, la Chiesa in Egitto e in Etiopia è sopravvissuta grazie all'accettazione delle loro lingue e delle loro culture nelle traduzioni bibliche e nella liturgia.[8] Queste affermazioni sono confermate dalla crescita fenomenale delle Chiese africane indipendenti, altrimenti note come Chiese africane riconosciute. Queste entità ecclesiali rappresentano una forza considerevole nel continente in termini di numero di membri, distribuzione e tasso di crescita. Sono un segno di ribellione contro le Chiese di fondazione occidentale. La loro sfida nei confronti della Chiesa significa che l'inculturazione costituisce una priorità vitale nel processo dell'evangelizzazione. Inculturazione significa niente di meno che la conversione di una cultura per opera del Vangelo di Gesù Cristo. Questo implica una ri-espressione del Vangelo da parte della cultura che è stata evangelizzata, e significa che l'unico Vangelo assume una nuova forma culturale. Diventa una materia di vita vissuta dai cattolici in Africa.

Vorrei citare alcune aree che richiamano un'attenzione speciale, se la Chiesa vuole essere veramente africana:
• La guarigione. Le società africane collegano la salute fisica con il benessere spirituale. Questo significa che la malattia fisica diventa una manifestazione delle relazioni disturbate. Di conseguenza, la guarigione implica la sconfitta delle forze spirituali avverse e il ripristino della pace e della riconciliazione. Questa guarigione dovrebbe esser accompagnata da una forma di cerimonia religiosa. Una risposta pastorale adeguata a questa concezione della malattia e della salute deve ancora essere trovata.

• Matrimonio. In molte aree del continente, fino all’80% della popolazione si colloca al di fuori dei matrimoni canonici regolari ed è di conseguenza privata dei sacramenti. Inoltre, le società africane vedono il matrimonio più come un processo che si svolge nel corso di alcuni mesi e coinvolge sia le famiglie che l'intero clan. Molti vescovi vorrebbero integrare il sacramento cristiano in questo processo, ma c'è molta incertezza su come farlo. Inoltre, la consumazione del matrimonio non è rappresentata tanto dall'atto sessuale quanto dalla prova della fecondità.

• Liturgia. Mentre è vero che sono stati fatti molti progressi - alcuni esempi sono: il rito dello Zaire, la Messa delle Lagune, la Messa Swahili - in altre regioni dell'Africa c'è ancora bisogno che le liturgia diventi una reale celebrazione della vita africana nel culto che rispetti più adeguatamente lo spirito del popolo africano.

• La venerazione per gli antenati rappresenta un altro aspetto molto importante della cultura africana. "Ogni cosa nella vita è collegata con gli antenati... la nascita di un bambino, la malattia, la fortuna, la sorte, la ricchezza, il matrimonio, il divertimento, ecc. in tutte queste cose viene invocato l'intervento degli antenati"[9].

Quindi gli antenati fanno ancora parte della comunità vivente e, di conseguenza,
esercitano un'influenza sulla vita dell'individuo. Questa costituisce certamente un’area matura per l'inculturazione. Anche Papa Giovanni Paolo II ha fatto riferimento al culto degli antenati come una preparazione per comprendere la comunione dei santi.[10]

Al fine di annullare gli effetti delle mancanze di sensibilità del passato e far avanzare il processo dell'inculturazione, che era il metodo tradizionale nella Chiesa primitiva di seminare il Vangelo, vorrei suggerire di ritornare ai tesori delle culture africane tradizionali. John Schumacher, uno studioso gesuita americano, offre quattro suggerimenti: primo, un riconoscimento “della pluralità culturale essenziale nell'unità che esiste nella Chiesa universale"[11]; secondo, combattere la demonizzazione e la denigrazione delle religioni tradizionali e riconoscere che alcuni dei loro valori, quali l'unità, la solidarietà, la pace e la riconciliazione, sono implicitamente cristiani; terzo, riconoscere che l'Africa ha un contributo da offrire alla Chiesa universale; quarto, che le sofferenze della Chiesa nel Sud del mondo possono condurre la Chiesa universale ad un impegno forte e sentito nella lotta per la pace e la giustizia in tutto il mondo.

In conclusione, la razza e la cultura sono così strettamente collegate che lavorare per sconfiggere l’eredità del passato significa lavorare per ricollegarsi con le tradizioni indigene vive dell'Africa e coltivare una reale interdipendenza con la Chiesa universale.


[1] Papa Paolo III, Bolla Sublimis Deus, 2 giugno 1537.
[2] Pontificia Commissione Justitia et Pax, La Chiesa e il razzismo: verso una società più fraterna, n. 4.
[3] Papa Paolo VI, Populorum Progressio, 22 marzo 1967, n. 7.
[4] ibid.
[5] Malisha, L. Introduction to the History of Christianity in Africa, Taboro, Tanganyika Mission Press, p.131.
[6] Deposizione della Chiesa cattolica di fronte alla Commissione Verità e Riconciliazione, 15 agosto 1997.
[7] Kilaini, M. The Catholic Evangelisation of Kagera in North-West Tanzania: The Pioneer Period 1892- 1912,
Doctoral dissertation, Gregorian University, Rome, 1990, p.vii.
[8] Lineamenta del Sinodo Speciale dei Vescovi per l’Africa, introduzione storica, n. 4.
[9] S. Ecc. Mons. Haushiku cit. in Reese, T.J. “The Synod on the Church in Africa”, America, 170 (1994).
[10] Ibid.
[11] Byamungu, G.T.M. “Construing newer ‘windows’ of ecumenism for Africa: A Catholic Perspective”, The Ecumenical Review, 53( 2001), p. 349.

[Testo tratto da: www.clerus.org]