CITTA’ DEL VATICANO, sabato, 25 dicembre 2004 (ZENIT.org).- È l’uomo nell’integralità del suo essere costituito da una dimensione terrena e da una divina che Cristo è venuto a salvare, ha affermato il cardinal Georges Cottier, OP.
Queste le conclusioni a cui è giunto il porporato nell’intervenire il 18 dicembre scorso alla 33ª videoconferenza organizzata dalla Congregazione per il Clero sul tema “Il Dio della Storia”, a cui hanno preso parte personalità di tutto il mondo.
Il prelato ha iniziato il suo intervento sottolineando la dimensione essenzialmente storica del Cristianesimo, che ha definito come “una storia scandita dalle Alleanze che Dio ha contratto con il suo Popolo”, alla cui origine c’è “l’Elezione, espressione dell’amore gratuito di Dio per noi”.
Mentre Dio è sempre fedele, però, l’“uomo peccatore” risponde spesso con l’infedeltà. La storia rivela tuttavia “la pedagogia della Provvidenza di Dio, giusto e misericordioso, che desidera la conversione del popolo peccatore, il suo ritorno alla fedeltà primaria”.
Il cardinale ha quindi sottolineato come, “in forte contrasto con la concezione pagana del tempo”, che è “ciclico” e “periodicamente ritorna al suo inizio”, la Bibbia abbia del tempo una concezione “storica, cioè lineare”, che ha lasciato la sua impronta profonda nella cultura d’ispirazione cristiana, al punto che oggi si ritrova anche in “filosofie e ideologie che si allontanano dalla fede”.
Per il cardinale, il senso biblico-cristiano della storia incontra oggi “due tipi di contestazione”: “La più recente nasce da una coscienza acuta e in un certo senso affascinata della forza del male: la storia è priva di senso, assurda, è caotica”.
L’altra, che costituisce una forma di secolarizzazione della concezione biblico-cristiana, “poggia in maniera esclusiva sulle capacità e sulle forze dell’uomo”: “la storia è progresso. Nel corso della storia, l’uomo fa se stesso, senza riferimento a Dio. Il fine della storia, un’era di libertà e di felicità, sarà frutto dell’opera dell’uomo. Si realizzerà all’interno del tempo. La storia è immanente a se stessa”.
Per i Cristiani, tuttavia, “Cristo è il centro della storia che è la storia dell’umanità salvata, redenta, e resa partecipe della vita divina. Perciò, il fine della storia non è nella storia, va al di là del tempo, il suo compimento è nella partecipazione alla gloria di Dio. Aspettiamo una terra nuova e un cielo nuovo”.
“È in Cristo, alfa e omega, che la storia trova il suo senso”, ha aggiunto il cardinale. Ciò non significa, ha proseguito il prelato, che la storia “come edificazione della civiltà dovuta alla scienza e al lavoro dell’uomo” sia priva “di significato e di valore”.
Al contrario – ha spiegato –, nella creazione, Dio ha affidato all’uomo la comprensione del mondo: “Così l’opera culturale dell’uomo, benché sia ostacolata dal peccato, cresce, confortata dalle energie evangeliche. Alla fine tutto quello che l’uomo avrà creato di buono e di bello, sarà ricapitolato”.
Non bisogna quindi contrapporre “storia profana e storia santa”, perché “i beni e i valori della civiltà hanno la loro propria autonomia e consistenza distinta, ma sono destinati, alla consumazione dei tempi, ad essere assunti nella gloria del Regno”.
Il prelato ha quindi ricordato come negli ultimi tempi si è assisto ad un “risveglio dell’ideologia del secolarismo o del laicismo”, che presuppone “un’idea sbagliata dell’autonomia dell’attività umana, intesa in senso assoluto, cioè precludendo ogni riferimento a Dio”.
La concezione cristiana della responsabilità storica dell’uomo, invece, è “tutt’altra”: la persona umana è infatti “cittadina della città degli uomini e della Chiesa come germe del Regno che non avrà fine”, ha spiegato.
“In quanto persona – ha aggiunto –, l’uomo è un soggetto morale, capace cioè di conoscere la legge morale, impronta di Dio nella sua coscienza, e di fare delle scelte libere in conformità alla suddetta legge, in virtù della sua stessa natura”.
La legge evangelica ricevuta da Cristo, ha sottolineato, non va contro le esigenze della legge naturale, ma al contrario “le assume, le perfeziona e ci porta al di là, dirigendo l’uomo verso la sua vocazione eterna, vissuta fin da questa terra nell’incontro con Cristo, soprattutto nella vita di fede, speranza e carità”.
“Il cristiano non è un essere diviso. L’appartenenza alla città degli uomini e la cittadinanza del Regno formano un’unità organica e articolata, rimanendo chiara la distinzione”, ha sottolineato.
Nel citare la Gaudium et spes il porporato ha affermato come sia chiaro a tal proposito che: ‘(…) benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del Regno di Cristo, tuttavia, tale progresso, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società è di grande importanza per il Regno di Dio’ (n. 39)”.
In questo modo si comprende perché “il compito primario della Chiesa sia l’annuncio di Gesù Cristo nostro Salvatore, che ci apre le Porte del Regno. Ma si capisce anche perché la Chiesa si preoccupa della sorte temporale dell’umanità”.
“È l’uomo nell’integralità del suo essere che Cristo è venuto a salvare – ha concluso –, fondando assieme l’autentico umanesimo”, ha concluso.