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La Conferenza dell’ONU su Popolazione e Sviluppo (Il Cairo, 3-12/09/1994) è ricordata come l’urgente e affannoso tentativo da parte delle Nazioni Unite di scongiurare un’imminente esplosione di devastanti proporzioni: quella della “bomba demografica”, causata da un vertiginoso aumento della densità della popolazione mondiale e origine di un allarmante sfruttamento ambientale che sta portando la terra e i suoi abitanti alla rovina. Il responsabile dello sfacelo sarebbe l’uomo stesso, che espanderebbe la sua attività in modo incontrollato e irresponsabile, al punto da divenire, come dice James Lovelock, il “cancro del pianeta”(cfr.
http://www.ecolo.org).
Ma la bomba demografica non è esplosa (cfr. L. Cantoni,
Sovrappopolazione e sviluppo). Tutti rincantucciati, con le mani sulle orecchie per non udire il fragore dello scoppio, col cuore in gola per l’ansia dell’attesa, e invece niente: è scoccata la fatidica “ora x” nel più perfetto silenzio. Ammutoliti, i “profeti di sventura” (cfr. A. Gaspari,
Profeti di sventura? No grazie! , 21 secolo, 1997) cercano spiegazioni e cambiano i toni. Ora, più che di “esplosione” demografica si parla di problemi di “sostenibilità” dello sviluppo socio-economico, e di “limiti di saturazione” del pianeta quanto a gestione delle risorse naturali, a diffusione dell’inquinamento, ad alterazioni della “biodiversità”, a tutela della flora e della fauna, ad interventi biotecnologici su animali e vegetali. In una parola, si insiste sugli attentati alla
salvaguardia dell’ambiente.
Buona parte di coloro che sporgono tali denunce, tuttavia, sono gli stessi che qualche anno fa “mentivano” sulla crescita demografica, e che ancora diffondono a ingigantiscono una serie di “bugie” di stampo ecologista. Le descrivono, sfatandole una a una, Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari in volume destinato ad esercitare notevole influenza nel modo di leggere l’etica dell’ambiente, dal titolo
Le bugie degli ambientalisti. I falsi allarmismi dei movimenti ecologisti (Piemme, Casale Monferrato 2004). Il volume, prefato dal Prof. Tullio Regge, è un’autentica miniera di “sorprese” e di dati che, mentre rivelano le vere e proprie superstizioni pseudo-scientifiche propalate dall’ambientalismo militante, offrono dati incontrovertibili e utili a chi voglia comprendere i fatti e fare fronte alla martellante propaganda di luoghi comuni ormai tanto radicati da far sembrare quasi moralmente riprovevole il non condividere certe idee.
Consideriamo ad esempio la
sovrappopolazione. Thomas Robert Malthus (1766-1834), nel 1798, aveva predetto un catastrofico aumento della popolazione a fronte di un inferiore aumento della produzione di cibo. Ci sarebbe stato uno squilibrio insanabile, che avrebbe provocato grande povertà e un altissimo numero di morti. In realtà, i dati ONU del 2001 dimostrano che fra il 1900 e il 2000 all’incremento della popolazione mondiale (comunque inferiore alle previsioni) si è accompagnato un netto aumento del prodotto interno lordo (cfr. R. Cascioli, A. Gaspari,
Le bugie…cit., pp. 41-43); inoltre, le risorse naturali sono cresciute (ibid., pp. 48-49).
Il “complotto demografico” viene sventato da alcune considerazioni facilmente accessibili (cfr. R. Cascioli,
Il complotto demografico, Piemme, Casale Monferrato 1996): l’espansione della popolazione mondiale è dovuto ad un fenomeno di “transizione” legato allo sviluppo socio-economico, e al conseguente abbattimento della mortalità neonatale, infantile e materna, nonché all’allungamento della vita media; solo l’1% delle terre emerse è urbanizzato, pertanto c’è ancora spazio per popolare la terra; la diminuzione della natalità avviene spontaneamente nei paesi ad economia avanzata per varie ragioni, fra cui maggiore scolarizzazione, attività lavorativa femminile, innalzamento dell’età dei matrimoni e delle prime gravidanze.
D’altra parte, l’aumento della disponibilità globale di risorse dimostra che “il concetto di risorsa non è definito dalla natura, ma dalla creatività e dalla tecnologia umana che rende sfruttabile una determinata componente della natura. Prima e fondamentale risorsa è dunque l’uomo, e la sua capacità di adattarsi e rispondere alle mutate esigenze” (R. Cascioli, A. Gaspari,
Le bugie…cit., p. 49).
Analoghe considerazioni possono farsi sullo
sviluppo sostenibile. Definito dalla Commissione Mondiale su Ambiente e Sviluppo (detta
Commissione Brundland) nel 1987 come “lo sviluppo che incontri i bisogni del presente, senza compromettere le possibilità per le generazioni future di incontrare i loro bisogni”, è divenuto un’autentica parola d’ordine dell’ambientalismo, e si propone, al di là della sua indeterminatezza e apparente ragionevolezza, di “risolvere” i problemi dei paesi in via di sviluppo non promuovendo, come dovrebbe apparire ovvio, lo sviluppo medesimo, ma essenzialmente riducendo le nascite. E non qualunque nascita, ma le nascite “non desiderabili”.
In questo modo si apre, fra l’altro, la strada all’eugenetica: infatti, se la popolazione va ridotta, si pone la questione di chi deve sopravvivere; la risposta è ovvia, la razza umana va selezionata in modo da non peggiorarne le condizioni. Aiuta in questo anche il principio moderno della ‘qualità della vita’: sotto un certo standard infatti la vita perde valore. Ecco così che controllo delle nascite nei paesi poveri, fecondazione artificiale e clonazione nei paesi ricchi sono facce di una stesa medaglia” (
ibid. , p. 55).
In realtà, gli stessi dati offerti dalla Commissione Brundland mostrano che “lo stabilizzarsi della popolazione è l’esito dello sviluppo e non la condizione, così come frutto dello sviluppo è il miglioramento delle condizioni ambientali” (
ibid. , p. 56), e non il loro degrado, come comunemente si crede. Per favorire un reale sviluppo delle nazioni meno fortunate, infine, non occorrono i contraccettivi, e nemmeno in prima istanza le innovazioni tecnologiche, e nemmeno giovano le derrate alimentari degli aiuti umanitari, ma è fondamentale investire nell’educazione, intesa come “introduzione alla realtà totale, cioè stimolo alla libertà della persona” (
ibid. , p. 62).
Sul
principio di precauzione, va detto che la dimensione del rischio per la salute caratterizza molte attività umane, le applicazioni della ricerca scientifica e in un certo senso tutta la vita dell’uomo e della biosfera, sempre esposte a pericoli (cfr. C. Petrini,
Bioetica, ambiente, rischio. Evidenze, problematicità, documenti istituzionali nel mondo, Rubettino, Soneria Mannelli [CZ] 2003).
Nelle attuali formulazioni del principio di precauzione, tuttavia, si scorge la tendenza crescente ad enfatizzare i rischi per l’uomo e per l’ambiente di varie iniziative e attività umane, a scapito dei ben maggiori vantaggi che queste stesse attività procurano, o addirittura dell’effettiva irrilevanza fattuale dei rischi stessi. Tra la miriade di esempi di indebita valutazione rischi-benefici, basterà citare la questione della clorazione delle acque potabili, l’uso del DDT nella sconfitta della malaria, il problema dell’elettrosmog (R. Cascioli, A. Gaspari,
Le bugie…cit., pp. 68-72). Nel caso poi del
riscaldamento globale e della
fobia da OGM, ci troviamo di fronte a dei veri e propri falsi scientifici, propinati per motivi ideologici e politici (cfr.
ibid. , pp. 72-128).
Ancora, gli ambientalisti ritengono che l’uomo sia responsabile della diminuzione della vegetazione sulla terra, in particolare delle
foreste così preziose per la biosfera, e dell’estinzione di numerose
specie animali, con gravi rischi per la biodiversità del pianeta. Tale idea deriv
a dalla convinzione che, lasciata a se stessa, la “natura” si auto-regoli, mantenendo spontaneamente condizioni di equilibrio ecologico. Al contrario, le “forzature” imposte dall’uomo per perseguire i suoi interessi di “specie dominante” avrebbero rotto tale equilibrio, esponendo la terra a catastrofi ambientali di ogni tipo.
I fatti dicono cose diverse. Intanto che le possibilità di “impatto ambientale che l’uomo ha sulla flora e sulla fauna” è correlato al suo effettivo “peso” sul pianeta. Sorprenderà allora sapere che mentre le foreste ricoprono circa un terzo delle terre emerse, l’umanità “costituisce solo lo 0,01% delle forme di vita” (cfr.
ibid. , p. 88), molte delle quali sono ancora a noi del tutto ignote.
Inoltre, proprio l’apporto dell’uomo rappresenta la migliore collaborazione ad uno sviluppo armonico dell’ambiente, dal momento che è l’uomo, non l’astratta natura, ad impedire, per quanto possibile e in misura delle sue capacità tecniche, che il verde sia “mangiato” da incendi e invasioni di erbivori, che le specie animali a rischio siano conservate nella loro strenua lotta per l’esistenza, che i terreni non inaridiscano.
Quelle che agli ambientalisti appaiono come violazioni dell’
habitat naturale di alcune specie viventi (urbanizzazione, industrializzazione, razionalizzazione delle risorse naturali e sfruttamento delle materie prime) non solo si rivelano globalmente innocue o irrilevanti sull’equilibrio ecologico, ma creano nuovi e migliori equilibri di cui la biologia va elencando le caratteristiche con interesse crescente (cfr.
ibid. , pp. 95-104; 112-117).
Anche l’
inquinamento atmosferico, contrariamente a quanto si pensa, non è direttamente proporzionale allo sviluppo tecnologico. Anzi, le necessità vitali degli uomini (ma anche degli animali) risultano tanto più inquinanti quanto più prive di strumenti efficaci e agevoli di smaltimento dei rifiuti e dei prodotti di scarto. Dal punto di vista della salute dell’aria, la situazione attuale è in netto miglioramento rispetto all’era pre-industriale e industriale (cfr.
ibid. , pp. 132-134).
In altre parole, “la realtà dimostra che un ambiente più pulito è possibile se si favorisce la ricerca, l’introduzione e l’uso di nuove tecnologie; vale a dire che per migliorare l’ambiente è necessario un maggiore sviluppo, e non minore, come vorrebbero gli ambientalisti” (
ibid. , p. 134).
Di fronte a tutte queste osservazioni nasce una domanda imprescindibile: perché tutte queste menzogne? Perché questa battaglia assurda dell’uomo contro l’uomo? Una prima risposta si trova nella già accennata mentalità eugenetica, che trascurando il valore intrinseco di ogni vita umana dal concepimento alla morte pretende violentemente di decidere chi sia degno di vivere, sulla base di criteri di selezione che nella storia hanno avuto varie forme ma un’unica sostanza (cfr. C. Navarini,
Il supermarket dell’eugenetica, ZENIT, 6 giugno 2004;
L’eugenetica “positiva” non esiste, ZENIT, 3 ottobre 2004). È un fatto che la filosofia ambientalista si batte perché prevalga la cultura anti-vita umana.
Un’altra risposta si nasconde nel radicale fraintendimento della religiosità umana, che dopo aver rifiutato il cristianesimo si è ritrovata con una profonda sfiducia verso l’uomo, immagine e somiglianza di Dio, alimentando “una sorta di spiritualità dei tempi precristiani con gli animali e le piante che diventano veri e propri idoli, una sorta di panteismo, di politeismo e neopaganesimo di ritorno” (
ibid. , p. 147).
Infine, e soprattutto, il movimento ambientalista ha i tratti di una mirata, orgogliosa e nichilistica “negazione della realtà” (cfr.
ibid., p. 145). Dicono Cascioli e Gaspari: “la contemplazione del creato suscita suggestioni, rasserena l’animo, evoca visioni di pace e di grandezza infinita, invita alla speranza e all’ottimismo, muove lo sguardo verso l’alto” (
ibidem). Apre cioè ad una comprensione del reale che, al di là del dato biologico, riconosce quella dimensione metafisica (assolutamente “naturale”) che possiamo chiamare verità dell’essere.
Si evidenzia così l’inquietante paradosso del movimento ambientalista, che invocando il mito della natura rifiuta in realtà proprio l’ordine naturale.
[I lettori sono invitati a porre domande sui differenti temi di bioetica scrivendo all’indirizzo: bioetica@zenit.org. La dottoressa Navarini risponderà personalmente in forma pubblica e privata ai temi che verranno sollevati. Si prega di indicare il nome, le iniziali del cognome e la città di provenienza]