Arisitides de Sousa Mendes era nato nel 1885 nei pressi della città di Viseu da una famiglia profondamente cattolica. Laureatosi in Giurisprudenza presso la prestigiosa Università di Coimbra, scelse di non seguire le orme del padre, giudice, e si dedicò alla carriera diplomatica.
Nel 1910 fu nominato console di seconda classe a Demerara, nella Guyana britannica, dove si trasferì con la moglie Angelina e il figlio. Nel 1911, dopo una breve missione in Galizia, venne assegnato a Zanzibar, allora parte dell’Africa britannica, dove la sua famiglia continuò ad ingrandirsi.
Dopo aver denunciato, nel 1914, il suo cancelliere che rubava denaro, nel 1918, dopo molte richieste, riuscì ad essere trasferito in Brasile e venne promosso a console di prima classe. Nel 1919 venne costretto all’inattività perché accusato di essere monarchico e ostile al regime repubblicano portoghese, ma dopo l’interessamento del suo gemello la sospensione venne revocata.
Nel 1921 venne mandato a dirigere temporaneamente il consolato portoghese a San Francisco, dove rimase due anni, ma nel 1924 venne nuovamente trasferito in Brasile. Nel 1926 tornò a Lisbona, per poi essere assegnato alla Galizia, al Belgio e poi a Bordeaux, in Francia.
Nel 1948 sua moglie Angelina, che gli aveva dato 14 figli, morì dopo essere rimasta in coma vari mesi. Dopo essersi risposato e aver avuto un’altra figlia, il 3 aprile 1954, Sousa Mendes morì di stenti. A causa dei debiti che non erano stati pagati, gli venne confiscato tutto ciò che aveva nella sua abitazione, che venne usata per anni da estranei come pollaio o come rifugio per le greggi.
Alla notizia della sua morte, a Léopoldville, capitale del Congo belga, un rifugiato che era stato aiutato da lui a fuggire dalla furia nazista scrisse un necrologio su un giornale: “Un grande amico del Belgio è morto”.
Aristides de Sousa Mendes, infatti, durante la sua vita riuscì a salvare migliaia di persone dalla follia nazista, falsificando visti e rischiando la propria vita.
Nel 1940, infatti, dopo l’invasione della Francia da parte delle truppe naziste, migliaia di persone si riversarono verso la frontiera con la Spagna, il cui passaggio avrebbe costituito per loro la salvezza. Questo, però, sarebbe stato possibile solo con un visto per il Portogallo.
Sousa Mendes, allora, console portoghese a Bordeaux, cominciò ad emettere migliaia di visti contravvenendo agli ordini del dittatore portoghese Salazar, che aveva intimato di non emettere visti a certe categorie di rifugiati – nella fattispecie Ebrei e antifascisti – senza previa autorizzazione del Ministero degli Esteri.
La polizia politica portoghese (la PIDE), però, lo scoprì e informò il Ministero degli esteri, che gli ordinò di smettere, minacciando di prendere dei provvedimenti disciplinari contro di lui. La situazione a Bordeaux, però, dopo l’invasione nazista dei Paesi Bassi, era sempre più drammatica, e l’afflusso di gente che cercava la salvezza era ormai continuo.
Sousa Mendes non aveva intenzione di abbandonare chi gli chiedeva aiuto e continuò ad accogliere le persone che ricorrevano a lui nel consolato di Bordeaux, ospitandole poi, una volta giunte in Portogallo, nella sua casa finché non si fossero imbarcate per altri continenti.
L’operato di Sousa Mendes non si limitò a Bordeaux: sapendo che il console portoghese a Bayonne, Faria Machado, non poteva o non voleva accogliere le richieste di quanti gli chiedevano aiuto, si recò lì e prese in mano la situazione, emettendo migliaia di visti, e facendo lo stesso, successivamente, anche a Hendaye.
Quando le autorità spagnole smisero di accettare i visti passati da lui, Sousa Mendes accompagnò personalmente un gran numero di rifugiati attraverso la frontiere, per assicurarsi che continuassero il loro viaggio verso la salvezza.
E’ molto difficile stabilire quante furono le persone salvate da Sousa Mendes, ma si calcola che grazie ai visti firmati da lui riuscirono a fuggire dalla Francia, raggiungendo il territorio portoghese attraverso la Spagna, circa 10.000 persone.
Il 24 giugno 1940, Salazar inviò due telegrammi a Sousa Mendes, richiamandolo immediatamente a Lisbona e accusandolo di emettere abusivamente visti a stranieri. Il diplomatico presentò una lettera all’Assemblea Nazionale in cui cercava di giustificare le proprie azioni, anche se ormai la sua sorte era stata decisa. Posto in aspettativa e con lo stipendio dimezzato, non poté far altro che aspettare la morte.
Nel 1958 una delle figlie di Sousa Mendes, Joana, scrisse al Primo Ministro israeliano Ben Gurion parlandogli del padre. Ben Gurion ordinò di fare delle ricerche sul diplomatico portoghese e, nel 1961, il gabinetto del Primo Ministro informò Joana che erano stati piantati 20 alberi in memoria di suo padre nella “Foresta dei Martiri”, a Gerusalemme.
La Foresta è situata nei terreni del Museo dell’Olocausto e ricorda le vittime e i giusti che aiutarono gli Ebrei durante la più grande tragedia del XX secolo. L’“Autorità per il Ricordo dei Martiri e degli Eroi dell’Olocausto”, lo Yad Vashem, è l’organizzazione statale israeliana che convalida le dichiarazioni sui “giusti”.
Nel 1967, lo Yad Vashem ha onorato Sousa Mendes con la più alta onorificenza possibile, una medaglia commemorativa che riporta la frase del Talmud “Chi salva una vita umana è come se salvasse un mondo intero”. La cerimonia ha avuto luogo a New York; in Portogallo non ne è stata data notizia.
Nel 1969, una lettera all’allora Presidente della Repubblica portoghese, Américo Tomás, in cui la figlia di Sousa Mendes Joana chiedeva di riabilitare la memoria del padre non ricevette risposta, e solo dopo la fine della dittatura, nel 1974, qualcuno in Portogallo ha cominciato ad interessarsi a questo illustre connazionale, uomo giusto e salvatore di vite umane.
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Jun 18, 2004 00:00