Gentile professoressa Navarini,
è vero che in base alla nuova legge sulla fecondazione assistita, gli embrioni – sani o malformati – devono essere obbligatoriamente impiantati nell’utero della madre, anche contro la sua volontà? E se è così, qual è il Suo parere a riguardo?
Grazie. – Cecilia Borgoni –
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Cara Cecilia,
la legge 40/2004 sancisce effettivamente l’obbligo di impiantare tutti gli embrioni prodotti in vitro (tre al massimo). La normativa potrebbe invero subire alcune modifiche: l’8 giugno, infatti, sono state approvate a larga maggioranza le linee-guida applicative da parte di una commissione ministeriale di 29 esperti nominati dal Ministro della Salute Girolamo Sirchia.
Nelle linee guida, ora al vaglio del Consiglio Superiore di Sanità per l’approvazione definitiva, potrebbero essere contenute due novità rispetto alla formulazione della legge pubblicata il 19 febbraio 2004: 1) Si potrebbe decidere di non impiantare gli embrioni se l’analisi morfologica (non genetica) rivelerà “gravi anomalie”, tenendo gli embrioni “anomali” in coltura fino alla loro morte naturale; 2) Si potrebbe scegliere di congelare uno o due embrioni sani per impiantarli in momenti successivi, ed evitare così la gravidanza gemellare.
Naturalmente tale dilazione comporterebbe il rischio di “abbandono” degli embrioni, qualora la coppia – o meglio la donna – dovesse successivamente cambiare idea riguardo all’impianto. Dalle linee-guida potrebbe emergere dunque un maggior rilievo per il consenso della donna rispetto all’originario testo di legge, che apparirebbe invece più proteso a tutelare i diritti del concepito.
Per gli oppositori della legge il cambiamento resterebbe comunque “misero”, e non scoraggerebbe pertanto l’intenzione di raccogliere 500 mila firme entro settembre al fine di indire il referendum abrogativo, con cui si cercherebbe di reintrodurre elementi come la fecondazione artificiale eterologa, la maternità surrogata, la diagnosi genetica preimplantatoria, la selezione embrionale.
Staremo a vedere. Intanto, è utile illustrare lo spirito che ha animato l’attuale formulazione della legge nella questione spinosa della selezione embrionale. La preoccupazione del legislatore è rivolta ad evitare la perdita di embrioni, già fisiologica nei processi di fecondazione assistita per l’alto numero di fallimenti (mancanza di sviluppo dell’embrione in vitro, difficoltà di trasferimento in utero e di impianto, frequenza di aborti spontanei).
E’ evidente che effettuare una diagnosi genetica preimplantatoria per decidere quali embrioni siano “degni” di proseguire il loro sviluppo e quali no, rappresenta un atto sommamente violento, con cui vite umane innocenti vengono indebitamente soppresse. Non solo: è un atto che apre la strada all’eugenismo, cioè alla selezione degli individui in base a criteri di maggior efficienza e di maggior rispondenza alle aspettative di chi li richiede.
È estremamente interessante considerare a questo proposito la posizione del biologo della riproduzione Jacques Testart, che è stato nel 1982 il “padre” scientifico della prima bimba francese concepita in provetta, e che per primo ha messo a punto tecniche divenute poi di uso generale: il congelamento degli embrioni e l’ICSI (l’iniezione di spermatozoi direttamente nel citoplasma dell’ovulo). In un’intervista rilasciata al quotidiano “Il Foglio” si dichiara contrario alle “tecniche identitarie che consentono di prevedere cosa diventerà ogni ovulo se lo si trasforma in bambino” (cfr. F. Pierantozzi, Se la fecondazione è artificiale e la legge è naturale. Per Testart, pioniere della rivetta, l’eugenismo è già terribile realtà, “Il Foglio”, 11 giugno 2004, inserto n. 2).
Tale atteggiamento deformato nei riguardi della procreazione riceverà una drammatica spinta, afferma lo scienziato, con le nuove tecniche di produzione massiccia di ovuli, che costituirà, secondo Testart, “la prossima rivoluzione” in questo campo. Infatti, oggi la selezione embrionale rappresenta ancora una pratica limitata per l’esiguo numero di embrioni a disposizione, dovuto principalmente allo “scarso” numero di ovuli prelevati attraverso le attuali modalità di stimolazione ovarica. “Ma proviamo a immaginare”, continua lo studioso, “che si abbiano a disposizione cinquanta o sessanta embrioni di una coppia, una vera e propria popolazione. Allora sì, che la selezione del ‘migliore’ avrà una validità. Credo purtroppo che il compito futuro della procreazione medicalmente assistita non sarà quello di dare bambini a coppie sterili, ma dare bambini ‘normali’ a chiunque, visto che chiunque rischia, potenzialmente, di avere un figlio con patologie genetiche”.
In uno scenario non troppo lontano, osserva Testart, potremmo essere bombardati da spot televisivi studiati appositamente “per colpevolizzare i genitori che vogliono fare il ‘bambino del caso’”, facendoli sentire dei selvaggi, responsabili di aver trascurato le tecniche attuate dalla ricerca per avere bimbi sani e felici. I genitori “normali”, insomma, diventerebbero un po’ come quei cattivi pazienti che non prendono le medicine prescritte e per questo stanno male.
In tale prospettiva è del tutto assente il riconoscimento della vita come un dono da accogliere, come un mistero da accettare, e come una realtà che trascende il dato puramente biologico. Il bambino (quasi) perfetto sarebbe infatti unicamente un prodotto da valutare secondo criteri di qualità, non sarebbe più l’ospite “che viene da lontano”, da ricevere e servire con umile e appassionata dedizione (Giuseppe Angelini, Il figlio. Una benedizione, un compito, Vita e Pensiero, Milano 1991, p. 161). La visione eugenetico-selettiva, infine, sradica totalmente dalla pratica biomedica il principio di tutela della vita fisica dell’uomo e il principio di giustizia, sui quali si regge gran parte dell’etica medica, per lasciare il posto ad un atteggiamento aggressivo e discriminatorio nei confronti di soggetti inequivocabilmente deboli.
Sono pertanto assolutamente favorevole al divieto di diagnosi genetica preimplantatoria e di selezione embrionale. Non è una novità che il coro di chi vorrebbe giustificarle si vada amplificando. Eppure, ogni motivazione legata ai disagi psicologici della donna che rischia di mettere al mondo bambini deformi o “infelici”, alle difficoltà che incontrerà nella vita un bambino disabile, alle paure che assalgono tutta la società di fronte alla realtà della sofferenza, non vale a confronto con il fondamentale diritto alla vita di questi “figli allo stadio embrionale” (Adriano Pessina, Un figlio non può essere ridotto soltanto a oggetto del desiderio, “Il Foglio”, 11 giugno 2004, inserto n. 3).
Se l’obbligo di impianto di tutti gli embrioni concepiti in vitro appare come un’imposizione per la donna, è perché il punto di partenza è distorto: il figlio germogliato dalla fecondazione artificiale si rivela una volta di più come “atto di volontà” della coppia, che può essere posto ma anche successivamente revocato o modificato. L’embrione faticosamente ottenuto dai suoi “proprietari” deve ripagarli degli oneri che ha causato, cioè non deve deludere. Altrimenti, con un atto di volontà simile a quello che lo ha preteso, i suoi genitori lo potranno rifiutare.
Resta così in ombra il fatto che, nel fenomeno della generazione umana, l’atto di volontà fondamentale è quello con cui l’uomo e la donna si rendono disponibili alla procreazione. Dopo, si è già genitori.
[I lettori sono invitati a porre domande sui differenti temi di bioetica scrivendo all’indirizzo: bioetica@zenit.org. La dottoressa Navarini risponderà
personalmente in forma pubblica e privata ai temi che verranno sollevati. Si prega di indicare il nome, le iniziali del cognome e la città di provenienza]