Anche nei processi canonici una persona è innocente "fino a prova contraria"

Conclusione di un Congresso sul Processo penale tenutosi a Roma

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ROMA, lunedì 29 marzo 2004 (ZENIT.org).- Nei processi penali canonici è necessario armonizzare la tutela del bene comune con la dignità e i diritti dell’accusato. Questo è quanto a cui si è giunti a conclusione di un Congresso che ha riunito insieme esperti della Santa Sede, dell’ Europa e dell’America del Nord.

Il simposio, “Processo penale e tutela dei diritti nell’ordinamento canonico”, è stato organizzato dalla Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università della Santa Croce di Roma tra il 25 e il 26 di marzo.

La sintesi dei lavori è stata formulata così dagli organizzatori in un comunicato stampa finale: “Il processo giudiziario richiede persone equilibrate, tecnicamente ben preparate e dedite alla loro funzione”, così come “l’inflizione delle pene in via amministrativa deve essere rispettosa degli elementi essenziali del giusto processo”.

Monsignor Joaquín Llobell, docente di Diritto processuale presso la Santa Croce, ha parlato sul diritto di tutti ad un processo equo che garantisca gli interessi lesi e i diritti dell’imputato.

A proposito delle recenti norme adottate negli Stati Uniti a seguito dei delitti di pedofilia, Llobell ha ricordato “la necessità di armonizzare la tutela del bene comune con la dignità e i diritti dell’accusato”, così come “il bisogno di essere profondamente coerenti nel rispettare le esigenze che il diritto naturale e civile ritengono imprenscindibili per l’inflizione delle pene, in particolare quelle più gravi”.

Il prof. Carlo Gullo, avvocato Rotale e della Santa Sede, ha incentrato il suo intervento sulle “ragioni della tutela giudiziale in ambito penale” affermando che “il punto più alto dell’emendazione del reo si ha quando l’accusato riconosce, pur non essendo tenuto a farlo, le proprie responsabilità, il male che ha fatto ad altri e alla società”. E’ evidente, ha aggiunto, “che questo scopo si raggiungerà più facilmente attraverso il processo penale giudiziale, dove il diritto di difesa è molto meglio tutelato”.

Per tale motivo si comprende l’importanza “di un giudice veramente imparziale e di un avvocato, che assista l’accusato e lo aiuti – con la sua competenza tecnica – a produrre tutte quelle prove, vere e non adulterate, che siano necessarie a scagionarlo o a diminuirne la colpa o l’imputabilità”.

Sul dovere di riconoscere l’innocenza di una persona “fino a prova contraria” si è soffermato invece il Prof. Kenneth Pennington della Catholic University of America: “Un giurista dello Ius comune potrebbe non capire come noi oggi possiamo abbracciare la tesi secondo la quale ‘una persona è innocente fino a prova contraria’ e tuttavia negare a un essere umano il diritto, in alcune circostanze, di essere ascoltato da una corte”.

“A nessuno, assolutamente a nessuno può essere negato un processo, in nessuna circostanza – ha concluso Pennington –. E tutti, assolutamente tutti, hanno diritto ad una solida ed esauriente difesa. Un principio, questo; che non dobbiamo dimenticare o abbandonare”.

Mons. Velasio De Paolis, C.S., Segretario del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica dallo scorso mese di gennaio 2004, ha invece fornito un dettagliato percorso storico sulla “pena e i provvedimenti cautelari”, precisando che “in realtà il diritto penale ha una sua propria configurazione ed una dimensione specifica nella vita della Chiesa, che è complementare con altri strumenti con cui la Chiesa persegue la sua missione nel tempo”.

Lo stesso diritto penale, ha aggiunto De Paolis, “ha la sua specifica funzione propria nella pena che viene irrogata o dichiarata in relazione alla finalità che essa si prefigge e che non può essere trascurata, senza il pericolo che i fedeli perdano il senso della giustizia. Sarebbe qualche cosa di grave, perché senza il senso della giustizia si perde anche il senso della gratuità, della misericordia e della carità”.

Sulla “relazione conflittuale tra il Diritto Canonico Penale e il Diritto Statale Penale nei casi di reato sessuale da parte del clero” ha dibattuto il Prof. Ernest Caparros, emerito della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Ottawa, fornendo un excursus sulle differenti procedure giudiziarie adottate negli Stati Uniti e nel Canada in merito a incresciosi casi di abuso sessuale.

Caparros ha affermato che “di fronte alla recente crisi non è escluso che le corti potrebbero trovare delle strade per risarcire le vittime di questo comportamento”. In particolare, in Canada, “il Procuratore Generale sta chiedendo alla Suprema Corte di modificare i suoi precedenti per ottenere l’applicazione della dottrina della responsabilità vicaria alla Chiesa e alle altre istituzioni religiose”.

I lavori si sono conclusi con una tavola rotonda su esperienze e riflessioni sull’applicazione delle sanzione durante la quale si è anche discusso sulle norme penali applicate recentemente negli Stati Uniti.

A tal proposito, Mons. Kenneth E. Boccafola, prelato uditore del Tribunale apostolico della Rota Romana, ha riferito che “nella crisi in cui i Vescovi americani si sono trovati c’era bisogno di qualche rimedio veloce ed efficace per aiutarli a dimostrare ai fedeli che la Chiesa stava affrontando il problema, e che aveva la volontà di punire i malfattori e proteggere i giovani”.

Boccafola ha aggiunto inoltre che “forse sarebbe stato meglio chiedere un ripristino dell’istituto della ‘suspensio ex informata conscientia’, il quale si applicava a soggetti giudicati veramente colpevoli”, invece di porre nelle mani del Vescovo “poteri decisionali a cui ricorrere secondo propria discrezione”.

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ZENIT Staff

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