“La Santa Sede apprezza le iniziative, gli sforzi e i progetti di Interpol destinati a migliorare le condizioni di vita e la sicurezza dei membri della famiglia umana”. Lo ha detto monsignor Dominique Mamberti, segretario vaticano per i rapporti con gli stati, intervenendo ieri all’Assemblea Generale di Interpol, in corso a Monaco (3-7 novembre).

In particolare nel campo della sicurezza, monsignor Mamberti ha ricordato che, nel 2008, il Vaticano ha voluto “associarsi a questa organizzazione per apportare il proprio contributo alla promozione e al rinforzo dello Stato di diritto, a livello locale come a livello mondiale, al fine di considerare la fiducia tra la gente e ravvivare la speranza di pace nel mondo”.

Lo stesso papa Francesco, promuovendo la “cultura dell’incontro, principio e misura dei rapporti sociali, oltre che dei rapporti interpersonali e delle relazioni internazionali” ha voluto ribadire “il riconoscimento della dignità e della trascendenza dell’uomo”.

Nel corso degli ultimi decenni, ha proseguito Mamberti, “la criminalità internazionale organizzata si è notevolmente trasformata sia da un punto di vista quantitativo che dal punto di vista della violenza delle sue manifestazioni, mettendo grave pericolo il progresso dell’umanità”.

Grazie anche alle nuove tecnologie, il crimine organizzato è divenuto più sofisticato, aumentando le sue capacità di penetrazione a livello planetario: a tal proposito, Mamberti ha citato “gli atti compiuti lo scorso mese con spietata ferocia dai terroristi dell’ISIS”, filmati e resi pubblici dagli autori stessi di quei crimini.

Il rappresentante della Santa Sede ha poi menzionato la “drammatica piaga del traffico di esseri umani”, definita una “forma moderna di schiavitù”: tale crimine va “combattuto con determinazione”, essendo “inaccettabile” che “ventisette milioni di persone, secondo le stime più recenti” subiscano tale sopruso.

La Santa Sede, quindi, “cerca di offrire il suo migliore contributo alla formazione delle coscienze individuali e della sensibilizzazione dell’opinione pubblica in favore dei diritti e della dignità della persona umana”: si tratta di un “lungo percorso da compiere” che richiede una “presa di coscienza collettiva sull’ampiezza del fenomeno”.

Nonostante lo sviluppo delle “istituzioni democratiche” nel mondo, permane un “certo grado di vulnerabilità di fronte alla criminalità più violenta, che erode il tessuto sociale e morale, sul quale le istituzioni sono fondate”.

Ogni stato, pertanto, “si deve interrogare sulle cause di certi comportamenti criminali e indagare sulle lontane origini degli stessi”. Quindi, per fronteggiare la criminalità, è necessario domandarsi come sia possibile “rispettare i principi fondamentali della legge nelle situazioni di massima tensione” e “conciliare le esigenze di sicurezza con le garanzie di libertà”.

La storia dell’umanità ha sempre presentato “situazioni paradossali o contraddittorie, provocando frustrazioni e sentimenti di ingiustizia”, a partire dallo “sviluppo asimmetrico in ambito tecnologico ed economico”.

In contesti di disuguaglianza, “il ricorso alla criminalità, al terrorismo e alla guerra per motivi ideologici, etnici o culturali sembrano essere i mezzi più semplici, se non gli unici, per uscire dalla povertà e diventare protagonisti del villaggio globale”.

La brutalità di tutte le forme di criminalità implica “il dovere morale di fare tutto il possibile per creare condizioni avverse al suo avvio e al suo sviluppo”. All’opera delle istituzioni di sicurezza pubblica, vanno affiancate “azioni efficaci di solidarietà sociale al fine di ridurre i fattori che generano il crimine organizzato e le sue infiltrazioni nel sistema sociale”.

C’è, tuttavia, anche un’implicazione di filosofia del diritto che va superata, ovvero, il “formalismo giuridico”, secondo cui “la sostanza del diritto positivo (la lex) deve coincidere con la giustizia sostanziale (lo jus)”. È importante, a questo proposito, recuperare la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che “invita a riconoscere l’esistenza di una natura umana, anteriore e superiore a tutte le teorie e le costruzioni sociali, che l’individuo e le società sono tenuti a rispettare, senza poterla manipolare a proprio piacimento”.

Le pene che lo stato commina, poi, devono essere finalizzare alla “riabilitazione del colpevole affinché possa, per quanto possibile, reinserirsi nel tessuto sociale”.

Secondo monsignor Mamberti va respinta la “tentazione di affrontare situazioni nuove con sistemi e soluzioni vecchi”. Vanno piuttosto ridefinite “le priorità in base alle quali mobilitare le risorse per lo sviluppo morale, culturale ed economico, poiché lo sviluppo, la solidarietà e la giustizia non sono nient’altro che il vero nome della pace, una pace duratura nel tempo e nello spazio”, ha poi concluso il presule.