CITTA' DEL VATICANO, martedì, 26 ottobre 2010 (ZENIT.org).- L'accoglienza del migrante deve collocarsi nella prospettiva dell'appartenenza di tutte le persone a una stessa famiglia umana, con i propri diritti e doveri, afferma il Papa.

“Una sola famiglia umana” è proprio il titolo del Messaggio che Papa Benedetto XVI ha scritto in occasione della prossima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato – il 16 gennaio 2011 –, reso noto questo martedì durante una conferenza stampa da monsignor Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti.


Il Pontefice sottolinea l'importanza di questa prospettiva di famiglia al momento di affrontare le questioni collegate alle migrazioni.

“Tutti fanno parte di una sola famiglia, migranti e popolazioni locali che li accolgono, e tutti hanno lo stesso diritto ad usufruire dei beni della terra, la cui destinazione è universale, come insegna la dottrina sociale della Chiesa”, ricorda il Messaggio.

Il tema scelto quest'anno, spiega il Pontefice, allude a “una sola famiglia di fratelli e sorelle in società che si fanno sempre più multietniche e interculturali, dove anche le persone di varie religioni sono spinte al dialogo, perché si possa trovare una serena e fruttuosa convivenza nel rispetto delle legittime differenze”.

Gli uomini sono fratelli perché “hanno una sola origine poiché Dio ha fatto abitare l'intero genere umano su tutta la faccia della terra” e perché “hanno anche un solo fine ultimo, Dio”.

Per la Chiesa, le migrazioni rappresentano “un segno eloquente dei nostri tempi, che porta in maggiore evidenza la vocazione dell'umanità a formare una sola famiglia, e, al tempo stesso, le difficoltà che, invece di unirla, la dividono e la lacerano”.

Molti “devono affrontare la difficile esperienza della migrazione, nelle sue diverse espressioni: interne o internazionali, permanenti o stagionali, economiche o politiche, volontarie o forzate”.

In alcuni casi, poi, “la partenza dal proprio Paese è spinta da diverse forme di persecuzione, così che la fuga diventa necessaria”.

Il Papa aggiunge che il fenomeno stesso della globalizzazione, “caratteristico della nostra epoca, non è solo un processo socio-economico, ma comporta anche un'umanità che diviene sempre più interconnessa, superando confini geografici e culturali”.

La fraternità umana “è l'esperienza, a volte sorprendente, di una relazione che accomuna, di un legame profondo con l'altro, differente da me, basato sul semplice fatto di essere uomini”.

“Assunta e vissuta responsabilmente, essa alimenta una vita di comunione e condivisione con tutti, in particolare con i migranti; sostiene la donazione di sé agli altri, al loro bene, al bene di tutti, nella comunità politica locale, nazionale e mondiale”.

Diritti e doveri

Per questo, la Chiesa riconosce il diritto di emigrare “ad ogni uomo, nel duplice aspetto di possibilità di uscire dal proprio Paese e possibilità di entrare in un altro alla ricerca di migliori condizioni di vita”.

Al contempo, la Chiesa ammette che i Paesi “hanno il diritto di regolare i flussi migratori e di difendere le proprie frontiere, sempre assicurando il rispetto dovuto alla dignità di ciascuna persona umana”.

“Si tratterà allora di coniugare l'accoglienza che si deve a tutti gli esseri umani, specie se indigenti, con la valutazione delle condizioni indispensabili per una vita dignitosa e pacifica per gli abitanti originari e per quelli sopraggiunti”, specifica il Papa.

Benedetto XVI invita a considerare in particolare la situazione dei rifugiati e degli altri migranti forzati, soprattutto di coloro che “fuggono da violenze e persecuzioni”.

“Quanti sono forzati a lasciare le loro case o la loro terra saranno aiutati a trovare un luogo dove vivere in pace e sicurezza, dove lavorare e assumere i diritti e doveri esistenti nel Paese che li accoglie, contribuendo al bene comune, senza dimenticare la dimensione religiosa della vita”, sottolinea.

Un altro gruppo al quale il Papa dedica la sua attenzione è quello degli studenti che vanno in altri Paesi, “una categoria anche socialmente rilevante in prospettiva del loro rientro, come futuri dirigenti, nei Paesi di origine”.

“Nella scuola e nell'università si forma la cultura delle nuove generazioni: da queste istituzioni dipende in larga misura la loro capacità di guardare all'umanità come ad una famiglia chiamata ad essere unita nella diversità”, conclude.