Stefano Zecchi

Stefano Zecchi - Youtube (Tv2000)

Zecchi: "L'indifferentismo sessuale è nichilismo"

Le provocatorie campagne pubblicitarie all’insegna dell’ambiguità sessuale vengono esaminate dalla lente del noto docente di Estetica

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È lunga la lista delle candidate per diventare donna dell’anno stilata dalla celebre rivista americana Glamour. Ci sono esponenti del mondo della moda, dello sport, dell’imprenditoria e della finanza. Donne giovani e anziane, note al grande pubblico e non.
Tra loro, spicca però una voce fuori dal coro: Bono Vox. Il cantante irlandese, leader degli U2, è il primo uomo a rientrare nei criteri necessari per essere eletto “donna dell’anno”. A Bono viene così riconosciuta la battaglia intrapresa “per la parità di genere”.
Dietro la provocazione di Glamour appare, in filigrana, la propaganda dei media di massa all’indifferentismo sessuale. ZENIT ne ha parlato con il prof. Stefano Zecchi, volto noto della tv, docente di Estetica presso l’Università statale di Milano, che ha partecipato ieri insieme alla scrittrice Costanza Miriana alla conferenza “Femmine e Maschi: sfida o alleanza?”, che si è tenuta a Roma, organizzata dall’associazione “Non si tocca la famiglia”, dal Comitato Articolo 26 e dall’associazione ProVita Onlus.
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Prof. Zecchi, come valuta questa scelta di Glamour?
È una provocazione. Alle provocazioni bisogna rispondere con l’indifferenza, per non enfatizzarle. Dunque io non ne prendo atto.
Esiste comunque una propaganda all’indifferentismo sessuale. Di questo ne prende atto?
Esiste una propaganda che ha un’origine politico-culturale. Io sono convinto che un omosessuale debba godere di rispetto e diritti uguali a quelli delle persone eterosessuali. Al contempo però sono convinto che l’intelligenza di un omosessuale debba portarlo a comprendere che non può avere ciò che la natura non gli ha dato. Deve riconoscere l’esistenza di un dato biologico, che oggi certe teorie vorrebbero però mettere in discussione attraverso una patetica gara a chi provoca di più.
Attraverso quale processo culturale si è arrivati a tanto?
È un processo partito dalla tolleranza dell’omosessualità e che oggi tende ad alzare sempre più l’asticella della libertà sessuale. Nasce da un equivoco secondo cui la libertà sessuale sarebbe una risposta a una società reazionaria. Invece il vero aspetto reazionario è quello di travalicare i limiti della natura mediante la sola volontà umana. Si tratta non di un progresso, come vorrebbero farci credere, bensì di un regresso.
A chi giova?
Giova fondamentalmente allo spettacolo. Viviamo in una società mediatica, del resto, che ha nello spettacolo la sua anima, dove più che ai contenuti si bada alle provocazioni.
Provocazioni che si servono soprattutto delle immagini. Lei che è docente di estetica, può dirci quanto influenzano l’opinione pubblica le immagini sempre più diffuse di modelli dall’ambiguità sessuale?
Influenzano tantissimo l’opinione pubblica. Le immagini sono molto più forti delle parole, perché sollecitano l’immaginazione in modo indiscriminato. Non c’è necessità di una cultura letteraria che serve a decifrare invece la scrittura, l’immagine arriva alla mente senza filtri, ha dunque un impeto comunicativo dirompente. Ci sarebbe bisogno di un controllo su basi di buon gusto delle immagini da veicolare al pubblico.
Ma in un contesto di relativismo culturale come è possibile individuare dei criteri per definire ciò che è di buon gusto e ciò che non lo è?
In effetti la battaglia culturale andrebbe ingaggiata alla radice del problema. Quotidianamente nel mio lavoro mi trovo a fare i conti con il relativismo culturale, in quanto ricevo critiche per via del mio costante riferimento alla dimensione etica della bellezza. Il fatto è che il relativismo culturale rinnega ogni fondamento, per cui tutto è il contrario di tutto. È la base del nichilismo, in cui il kitsh, il cattivo gusto trovano espressione. C’è chi pensa che questo sia un segno di libertà. Io al contrario ritengo che sia segno di grave inciviltà e di restrizione di libertà: dove tutto diventa libertà tutto è negazione della libertà.
In questo contesto c’è chi pensa sia libertà far scegliere ai bambini il sesso cui appartenere, inteso come un dato non più biologico ma soltanto culturale…
Il tentativo di inculcare ai bambini nella scuola queste teorie li sottrae all’educazione dei genitori e somiglia tantissimo agli esperimenti nazisti del dottor Mengele. La negazione dell’identità naturale di una persona è di una violenza inaudita.
I fautori di questa cultura sostengono che sia l’amore che crea la famiglia. È così?
Ormai c’è un abuso della parola amore. Il punto è che si può avere anche amore per la violenza, per la crudeltà. Esiste un amore distruttivo. Far assurgere questo astratto concetto d’amore a unica misura dell’agire è il trionfo dell’indistinto. In realtà l’amore è un’altra cosa. Da un punto di vista metafisico, l’amore ha molte affinità con il viaggio. Entrambe queste esperienze umane ti portano a uscire da te stesso, ad abbracciare ciò che non ti è noto, che è diverso da te. Negare questo aspetto di incontro tra i sessi significa negare l’amore. E quindi negare anche la famiglia.
È possibile contrastare questa tendenza all’ambiguità sessuale che Lei ha definito nichilismo?
Certo che è possibile. Il nichilismo è una malattia e come per ogni malattia, anche per il nichilismo esistono dei rimedi. Quello principale è l’educazione familiare. È in questa cellula che si sviluppa la personalità. Bisogna quindi riaffermare il ruolo della famiglia. Del resto se viene sfasciata la famiglia, crollano pure i ruoli di padre e madre, di uomo e donna.

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Federico Cenci

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