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"Un'Europa madre". Il sogno del Papa per un Continente decaduto

“Cosa ti è successo Europa?” domanda Francesco nel suo monumentale discorso per la cerimonia del Premio Carlo Magno. L’appello ad integrazione e dialogo, ad un’occupazione dignitosa per i giovani e a non rendere la migrazione un delitto

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“Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?”.

Ci voleva un Papa latinoamericano di provenienza, ma di sangue europeo, a ricordare al Vecchio Continente quelle radici che sembra aver reciso, affossando anche il sogno dei Padri fondatori di un’Europa “culla e sorgente” di nuovo umanesimo. Francesco le elenca una ad una queste radici nel monumentale discorso rivolto stamane al folto uditorio venuto ad applaudirlo per la cerimonia del Premio Internazionale Carlo Magno, in Vaticano.

Una importante onorificenza, questa, conferita a chi nel corso ha maggiormente contribuito a diffondere i valori dell’Europa. Francesco l’ha accettata con riluttanza vista la sua scelta di non ricevere premi, ma ha voluto fare un’eccezione per offrirla all’Europa come auspicio di “uno slancio nuovo e coraggioso per questo amato Continente”.

Per l’occasione sono giunti a Roma i vertici delle istituzioni europee: Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo; Jean-Claude Junker, presidente della Commissione europea; Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, i quali hanno pronunciato un loro intervento. Presente anche la cancelliera tedesca Angela Merkel.

Davanti ai loro occhi, è stata consegnata al Papa la medaglia raffigurante il fondatore del Sacro Romano Impero sul trono, insieme alla pergamena con la motivazione: “Per il suo straordinario impegno a favore della pace, della comprensione e della misericordia in una società europea di valori”.

Valori ormai offuscati, dice il Papa che richiama quella espressione ‘scomoda’ già pronunciata nel Parlamento europeo nel novembre 2014: una “Europa nonna”, “stanca e invecchiata, non fertile e vitale”, dove i grandi ideali che l’hanno ispirata “sembrano aver perso forza attrattiva”; un’Europa “decaduta che sembra abbia perso la sua capacità generatrice e creatrice”. Un’Europa – dice Francesco – “tentata di voler assicurare e dominare spazi più che generare processi di inclusione e trasformazione”; un’Europa “che si va ‘trincerando’ invece di privilegiare azioni che promuovano nuovi dinamismi nella società”.

Quella “atmosfera di novità”, quell’“ardente desiderio di costruire l’unità” che animava il progetto dei Padri sembra ormai, a detta del Papa, una luce fioca. “Noi figli di quel sogno – afferma – siamo tentati di cedere ai nostri egoismi, guardando al proprio utile e pensando di costruire recinti particolari”.

Tuttavia, Bergoglio è convinto “che la rassegnazione e la stanchezza non appartengono all’anima dell’Europa e che anche le difficoltà possono diventare promotrici potenti di unità”. Serve una “trasfusione della memoria”, afferma il Pontefice parafrasando Elie Wiesel, nella certezza che i progetti di Schuman, Adenauer, De Gasperi, “araldi della pace e profeti dell’avvenire”, non sono “superati”.

Allo stesso tempo, sottolinea, bisogna “aggiornare” l’idea di Europa e aiutarla a “dare alla luce un nuovo umanesimo”.  Per farlo servono “la capacità di integrare, di dialogare e di generare”. Integrare come sempre il Continente ha fatto nei secoli: “La bellezza radicata in molte delle nostre città si deve al fatto che sono riuscite a conservare nel tempo le differenze di epoche, di nazioni, di stili, di visioni”, rammenta il Papa. “L’inestimabile patrimonio culturale di Roma” ne è la prova. Invece, “i riduzionismi e tutti gli intenti uniformanti, lungi dal generare valore, condannano i nostri popoli a una crudele povertà: quella dell’esclusione. E lungi dall’apportare grandezza, ricchezza e bellezza, l’esclusione provoca viltà, ristrettezza e brutalità”. E anche “meschinità”.

Siamo invitati allora “a promuovere un’integrazione che trova nella solidarietà il modo in cui fare le cose”, afferma Francesco. Solidarietà da non confondere con “elemosina”: “Il tempo ci sta insegnando che non basta il solo inserimento geografico delle persone, ma la sfida è una forte integrazione culturale”, puntualizza Bergoglio.

Un’altra sfida è il dialogo. “Se c’è una parola che dobbiamo ripetere fino a stancarci è questa”: la cultura del dialogo, che “implica un autentico apprendistato, un’ascesi che ci aiuti a riconoscere l’altro come un interlocutore valido; che ci permetta di guardare lo straniero, il migrante, l’appartenente a un’altra cultura come un soggetto da ascoltare, considerato e apprezzato”.

“La pace sarà duratura nella misura in cui armiamo i nostri figli con le armi del dialogo, insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro e della negoziazione”, rimarca il Pontefice. Per questo propone di inserire la cultura del dialogo “in tutti i curriculi scolastici come asse trasversale delle discipline” che “aiuterà ad inculcare nelle giovani generazioni un modo di risolvere i conflitti diverso da quello a cui li stiamo abituando”.

Urge, infatti, realizzare oggi “coalizioni”: non militari o economiche bensì “culturali, educative, filosofiche, religiose”. Coalizioni “che – spiega il Papa – mettano in evidenza che, dietro molti conflitti, è spesso in gioco il potere di gruppi economici” e che possano “difendere il popolo dall’essere utilizzato per fini impropri”.  “Armiamo la nostra gente con la cultura del dialogo e dell’incontro” esorta il Successore di Pietro.

Di qui un vigoroso appello “alla responsabilità personale e sociale” perché “tutti, dal più piccolo al più grande, sono parte attiva nella costruzione di una società integrata e riconciliata”.  In prima linea i giovani, i quali – precisa Bergoglio – “non sono il futuro dei nostri popoli, sono il presente”, quelli “che già oggi con i loro sogni, con la loro vita stanno forgiando lo spirito europeo”. Perciò, non si può immaginare l’Europa “senza renderli partecipi e protagonisti di questo sogno”.

Certo, domanda Francesco, come possiamo coinvolgerli “quando li priviamo di lavoro; di lavori degni che permettano loro di svilupparsi per mezzo delle loro mani, della loro intelligenza e delle loro energie?”. “Come evitare di perdere i nostri giovani, che finiscono per andarsene altrove in cerca di ideali e senso di appartenenza perché qui, nella loro terra, non sappiamo offrire loro opportunità e valori?”.

“Se vogliamo pensare le nostre società in un modo diverso abbiamo bisogno di creare posti di lavoro dignitoso e ben remunerato, specialmente per i nostri giovani”, chiosa Bergoglio. Ciò richiede un passaggio da “un’economia liquida” che “tende a favorire la corruzione come mezzo per ottenere profitti”, a “un’economia sociale” che “garantisce l’accesso alla terra, al tetto per mezzo del lavoro”.

Da parte sua la Chiesa può e deve contribuire “alla rinascita di un’Europa affaticata, ma ancora ricca di energie e di potenzialità”. Lo fa rimanendo fedele alla sua missione: “l’annuncio del Vangelo, che oggi più che mai si traduce soprattutto nell’andare incontro alle ferite dell’uomo”.

Le parole conclusive di Papa Francesco, pronunciate “con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie”, sono quindi quelle di “un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede”. Un “I have a dream” che riportiamo integralmente per non rubare nulla alla ricchezza che lo contraddistingue:

“Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre: una madre che abbia vita, perché rispetta la vita e offre speranze di vita. Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo. Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto.

Sogno un’Europa, in cui essere migrante non sia delitto bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile.

Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche veramente effettive, incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti.

Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stata la sua ultima utopia”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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