Gay marriage: le nuove minacce alla famiglia

ROMA, domenica 4 aprile 2004 (ZENIT.org).- Nella prima parte di questa rubrica la dottoressa Claudia Navarini, docente della Facoltà di Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, risponderà personalmente in via pubblica ad alcune delle domande proposte dai lettori di ZENIT.

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Mentre, nella seconda parte, affronterà ogni domenica un argomento diverso. Il titolo del tema di quest’oggi è “Gay marriage: le nuove minacce alla famiglia”.

1) La mia domanda riguarda l'”utilizzo” degli embrioni congelati. Dal punto di vista etico, è lecito, nel caso di embrioni che stanno per essere distrutti perchè “in scadenza”, decidere di “adottarne” uno e quindi di farlo vivere, pur dovendolo impiantare artificialmente? Che cos’è più importante tra le due questioni: il fatto che comunque è una manipolazione o il fatto che si può salvare la vita di un bambino? – Stefania

Cara Stefania,

la tua domanda è davvero interessante e tocca un punto cruciale nella riflessione sulla fecondazione in vitro. Il testo della nuova legge, all’art. 14, c. 2 e c. 3, precisa che possono essere creati in vitro al massimo tre embrioni e che tutti devono essere obbligatoriamente impiantati nel corpo della madre, subito o al più presto, nel caso di patologie non prevedibili al momento della fecondazione. La crioconservazione è dunque limitata a questi casi particolari e per brevi periodi, mentre è vietata come pratica di routine (vedi art. 14, c. 1).

Il problema dell’adottabilità sorge tuttavia per quegli embrioni già prodotti e crioconservati nei centri di fecondazione assistita, il cui numero verrà precisato nei mesi a venire, al termine del censimento attualmente in corso. Non si è ancora deciso che cosa fare di questi individui, ma evidentemente una decisione andrà presa.

A mio avviso la via dell’adozione è corretta, purché non incentivi la pratica del congelamento embrionale. Poiché l’attuale normativa ha escluso per il futuro il ricorso ordinario alla crioconservazione degli embrioni, mi pare corretto che quelli oramai esistenti siano salvati, impiantandoli.

Mi spiego meglio: non è mai lecito fare il male per ottenere un bene, quindi è sempre intrinsecamente sbagliato ricorrere ad una tecnica di fecondazione artificiale per procreare. Nel caso dell’adozione degli embrioni, però, il male non consiste nell’impianto, ma nella tecnica di fecondazione in vitro, che sostituisce l’atto coniugale e che è stato commesso in precedenza, senza alcuna responsabilità da parte della coppia disposta ad adottare.

Tale coppia, infatti, non ricorre alla fecondazione assistita, ma accoglie un bambino che già esiste, come farebbe con uno più grande, rimediando ad un male commesso da altri. Proprio perché la coppia che adotta non ha alcuna responsabilità nel male commesso, tuttavia, l’adozione degli embrioni a mio avviso è lecita ma non obbligatoria.

Se embrioni prodotti artificialmente muoiono e vanno distrutti sarà una conseguenza del male intrinseco alla pratica della fecondazione in vitro, non dell’egoismo di chi non vuole adottarli. Infine, è fondamentale che la possibilità di adottare gli embrioni congelati esistenti non diventi in qualche modo un incentivo a produrne altri, aggirando i limiti imposti dalla legge. Se si prevede che tale opportunità generi abusi, è lecito impedire l’adottabilità, anche se questa non rappresenta in sé un male.

2) Sono un’ostetrica e mi trovo, mio malgrado, ad operare in un centro di fecondazione assistita dopo che il vecchio reparto di ostetricia è stato riconvertito nell’attuale centro. Ora che c’è la possibilità di esercitare obiezione di coscienza, chiedo a quali procedure specifiche sarebbe rivolta l’obiezione, solo all’assistenza al trasferimento degli embrioni o anche all’assistenza per il prelievo degli ovociti? Vorrei avere qualche chiarimento in merito, grazie. – T.V. Tosini

Il testo di legge tratta la questione dell’obiezione di coscienza nell’art.16. Al c. 3, in particolare, si precisa che “l’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività sanitarie ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificatamente e necessariamente dirette a determinare l’intervento di procreazione medicalmente assistita e non dall’assistenza antecedente e conseguente l’intervento”.

Dal momento che il prelievo dei gameti è specificamente e necessariamente diretto allo svolgimento della tecnica riproduttiva, rientra a pieno diritto nell’ambito dell’obiezione di coscienza.Diverso sarebbe il caso in cui il prelievo dei gameti fosse effettuato a scopo puramente diagnostico o terapeutico.

3) Gentile dottoressa Navarini, la questione è la seguente: la Chiesa Cattolica autorizza, in caso di fisiologica impossibilità della coppia di avere figli, la richiesta della fecondazione assistita da parte della donna? – Carlo Introvigne

La posizione della Chiesa – che in questa materia esprime non un articolo di fede ma la verità sull’uomo che l’intelletto può riconoscere – è chiarissima fin dalla Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede “Donum Vitae” (1987), e ribadita da numerosi altri interventi magisteriali (Pontificia Accademia per la Vita, X Assemblea Generale, Comunicato Finale su “La Dignità della Procreazione Umana e le Tecnologie Riproduttive. Aspetti Antropologici ed Etici”, febbraio 2004; Giovanni Paolo II, Messaggio del Santo Padre Giovanni Paolo II in Occasione della Festa della Famiglia Organizzata dalla Diocesi di Roma, 6 febbraio 1999; Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica “Evangelium VItae” sul Valore e l’Inviolabilità della VIta Umana, 1995, n. 14): la fecondazione artificiale non è mai ammissibile in quanto sostituisce all’atto coniugale degli sposi un atto tecnico di laboratorio. Non può pertanto essere richiesta né dalla donna né dall’uomo.

Le dimensioni unitiva e procreativa proprie del matrimonio, infatti, sono fra loro inscindibili. La tecnologia, che deve essere a servizio dell’uomo, potrà essere validamente utilizzata nel matrimonio a fini procreativi solo nella misura in cui rappresenta un “aiuto” all’atto coniugale e non una sua sostituzione.

“L’intervento medico è rispettoso della dignità delle persone quando mira ad aiutare l’atto coniugale sia per facilitarne il compimento sia per consentirgli di raggiungere il suo fine, una volta che sia stato normalmente compiuto. Al contrario, (…)accade che l’intervento medico tecnicamente si sostituisca all’atto coniugale per ottenere una procreazione che non è né il suo risultato né il suo frutto: in questo caso l’atto medico non risulta, come dovrebbe, a servizio dell’unione coniugale, ma si appropria della funzione procreatrice e così contraddice alla dignità e ai diritti inalienabili degli sposi e del nascituro” (Donum Viae, II, n. 7).

In questo senso, è lecita, ad esempio, la stimolazione ovarica per indurre farmacologicamente l’ovulazione in una donna con cicli anovulatori; in alcuni specifici casi, si può ammettere l’INSEMINAZIONE (non fecondazione) artificiale omologa, ricordando sempre che “se il mezzo tecnico facilita l’atto coniugale o l’aiuta a raggiungere i suoi obiettivi naturali, può essere moralmente accettato. Qualora, al contrario, l’intervento si sostituisca all’atto coniugale, esso è moralmente illecito” (Donum VItae, II, n. 6).

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Gay marriage: le nuove minacce alla famiglia

Nel corso del III Congresso Mondiale delle Famiglie (Città del Messico, 29-31 marzo 2004), che ha riunito trecento istituzioni provenienti da più di cinquanta Paesi del mondo, è stato ripetutamente denunciato il grave rischio che tutta la società civile corre nel tollerare o favorire le unioni omosessuali, sia culturalmente che giuridicamente, “perché ciò è contrario alla natura e alla dignità dell’uomo e alle istituzioni fondamentali della società come la famiglia e il matrimonio” (Cfr. Conclusioni del Terzo Congresso Mondiale delle Famiglie).

Gli esempi di tale tendenza purtroppo s
i moltiplicano. Valga per tutti il caso eloquente dello Stato del Massachusetts, che ha votato il 29 marzo un emendamento alla costituzione per riconoscere le unioni omosessuali come unioni civili, pur definendo il matrimonio come l’unione di un uomo e di una donna. Il fatto è doppiamente interessante: da un lato, infatti, il Massachusetts diviene così il secondo stato americano ad avere istituzionalizzato le unioni civili fra persone dello stesso sesso, attentando alla salute dell’istituzione matrimoniale e famigliare. Dall’altro, l’emendamento ha suscitato comunque l’indignata reazione dei movimenti gay, che avrebbero preferito il riconoscimento del gay marriage, cioè di un vero e proprio matrimonio come quello delle persone eterossessuali, con relativi diritti e responsabilità, invocando a supporto i principi di uguaglianza sociale e giuridica e di non discriminazione sessuale.

La pressione dei movimenti gay in tale direzione si sta facendo martellante in molti paesi occidentali, con il conforto di molti mass media che presentano come normale e innocuo il comportamento omosessuale e il suo riconoscimento legale, anche attraverso fiction e varietà di ogni tipo. Ciò induce la necessità di affinare ulteriormente la riflessione sul carattere autentico della famiglia.

La famiglia, come precisa anche il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali (3 giugno 2003), ha ben precise caratteristiche naturali, che stanno all’origine dell’ordinata convivenza civile e in quanto tali promuovono l’armonico sviluppo psicologico ed etico delle persone. Il fondamento della famiglia non è “una qualsiasi unione tra persone umane” (ibid., n. 2), ma il matrimonio inteso come l’unione di un uomo e di una donna in un vincolo di amore esclusivo e indissolubile, strutturalmente aperto alla vita. Tale verità rappresenta un dato di natura che scaturisce dall’indagine onesta della realtà umana, e vale per tutti gli esseri umani.

Infatti, l’esercizio della sessualità ha basi biologiche, espresse nelle differenze fisiche complementari fra uomo e donna, che consentono l’atto sessuale e quindi la procreazione. Tale complementarietà, poi, investe la struttura psicologica, emotiva, intellettiva e spirituale dell’uomo e della donna, rendendoli, proprio attraverso la loro alterità, capaci di donazione reciproca totale, e quindi di amore vero. Infine, la stabilità dell’unione coniugale costituisce il terreno fecondo per l’adempimento del compito educativo, con cui le nuove generazioni si preparano ad occupare il loro posto in seno alla società, che “deve la sua sopravvivenza alla famiglia fondata sul matrimonio” (ibid., n. 8).

Nulla di tutto questo è evidentemente possibile per coppie omosessuali, che contraggono relazioni innaturali dal punto di vista psico-fisico, sono generalmente brevi e promiscue, sono inadatte ad accogliere e crescere dei figli, anche adottivi. Sono infatti noti nei bambini gli squilibri psico-evolutivi legati all’assenza di riferimento alla bipolarità sessuale, in particolare per ciò che riguarda la formazione dell’identità, frutto di una sana identificazione con “il” genitore dello stesso sesso. Le sole ricerche scientifiche attendibili su simili esperimenti pseudo-famigliari riportano in effetti dati inquietanti (si veda ad esempio American College of Pediatricians, Homosexual Parenting: Is It Time For Change?, 22 gennaio 2004).

Viene da chiedersi come mai le coppie gay abbiano tanto a cuore l’equiparazione delle loro unioni a matrimonio da parte dello stato, proprio in un’epoca caratterizzata dalla crescente tendenza a sostituire il legame coniugale con la “libera convivenza”, tanto più in presenza di un vincolo già fatalmente indebolito dalle legislazioni divorziste. L’intento è manifestamente ideologico: indebolire, sgretolare, e infine sradicare il significato stesso del matrimonio, deformandolo con semplici simulazioni, e così distruggere la famiglia, la cui realtà richiama inesorabilmente la verità radicale sull’uomo.

Dunque, “riconoscere legalmente le unioni omosessuali oppure equipararle al matrimonio, significherebbe non soltanto approvare un comportamento deviante, con la conseguenza di renderlo un modello nella società attuale, ma anche offuscare valori fondamentali che appartengono al patrimonio comune dell’umanità” (Considerazioni circa… cit., n. 11).

Una precisa responsabilità sociale investe pertanto tutti coloro che contribuiscono al bene comune, operando in campo educativo, politico, giuridico, pastorale e sociale, affinché, pur nella massima considerazione per la dignità delle persone omosessuali, che vanno “accolte con rispetto, compassione, delicatezza, … [evitando] ogni marchio di ingiusta discriminazione” ( CCC, n. 2358), siano ribaditi con chiarezza i fondamenti irrinunciabili di una società ordinata a misura d’uomo e secondo il piano di Dio, in conformità con la legge naturale senza la quale ogni abominio diventa possibile e legale, come l’epoca delle rivoluzioni e dei totalitarismi ci ha sanguinosamente insegnato.

La verità sul significato del matrimonio e della famiglia rappresenta quindi la migliore condizione per essere vicini alle persone omosessuali, lungo un cammino antropologico e formativo, alternativo rispetto all’orgogliosa rivendicazione di inesistenti diritti.

[I lettori sono invitati a porre domande sui differenti temi di bioetica scrivendo all’indirizzo: bioetica@zenit.org. La dottoressa Navarini risponderà personalmente in forma pubblica e privata ai temi che verranno sollevati. Si prega di indicare il nome, le iniziali del cognome e la città di provenienza] .

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ZENIT Staff

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