Don Paolo Gentili - Direttore dell'Ufficio per la pastorale della famiglia della Conferenza Episcopale Italiana

CEI -Ufficio Nazionale per la pastorale della famiglia

Sinodo. Don Gentili: "L'invito è a coniugare verità e misericordia"

Il direttore dell’Ufficio per la famiglia della Cei commenta il Sinodo appena concluso e spiega come raccogliere gli spunti suscitati

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Il Sinodo ordinario sulla famiglia si è concluso domenica scorsa con la Messa di papa Francesco, durante la quale ha ricordato che il compito della Chiesa è di “proclamare la misericordia di Dio, di chiamare alla conversione e di condurre tutti gli uomini alla salvezza”.

Compito che, letto alla luce della Relatio Sinodi, deve compiersi con grande sollecitudine e con sensibilità pastorale nei confronti delle famiglie che vivono situazioni di sofferenza e di conflitto. Don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio per la famiglia della Conferenza episcopale italiana (Cei), è pronto a far tesoro di queste indicazioni.

Nell’intervista che segue, don Gentili spiega come la Chiesa italiana raccoglierà alcuni spunti suscitati dall’assise: dai corsi di preparazione al matrimonio all’accompagnamento di famiglie che hanno subìto un lutto, passando per l’obiezione di coscienza degli educatori dinanzi a corsi che vanno contro la morale cristiana. Non manca una considerazione sull’aspetto che ha raccolto il maggior interesse dei media: la Comunione ai divorziati risposati.

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Don Gentili, qual è il bilancio che trae a conclusione del Sinodo?

Direi un capolavoro dello Spirito! Dobbiamo ricordare che è stato un percorso di oltre un anno, iniziato con un Sinodo straordinario e impreziosito da una doppia consultazione di popolo, per poi tornare nelle aule sinodali per l’assemblea ordinaria che si è appena conclusa. Inizialmente, sembrava di ascoltare un’orchestra, in una specie di “sala prove”, dove ognuno accordava il proprio strumento. Poi però è emersa una straordinaria sinfonia e le posizioni differenti si sono rivelate una ricchezza, svelando la cattolicità e l’universalità della Chiesa. Questo itinerario è stato insaporito da tre ingredienti speciali indicati dal Santo Padre già nella veglia con cui si è aperto lo scorso anno: ascolto reciproco, confronto fraterno, sguardo su Cristo. È davvero bello far parte di una Chiesa viva, dove i genitori si mettono a tavola con i figli, prima di elaborare scelte decisive. Direi che le famiglie hanno davvero illuminato il sinodo e indirettamente hanno anche indicato il metodo di lavoro ai Padri sinodali. Un papà e una mamma che hanno quattro figli, pur avendo dei criteri educativi chiari, non potranno mai educare il quarto come il primo; non solo perché loro stessi sono cambiati e perché quel figlio è originale, ma soprattutto per incarnare al meglio i valori di sempre in quel determinato contesto storico. Chi resta prigioniero di schemi del passato rischia di non comunicare più la vitalità, la bellezza e la perenne novità del vangelo.

La Comunione ai divorziati che hanno intrapreso un’altra relazione affettiva è un tema che ha catalizzato le attenzioni della stampa. Eppure nella Relatio non sembra esserci alcun riferimento al riguardo…

Ci sono alcuni verbi chiave che indicano l’atteggiamento da tenere nei confronti di chi ha vissuto il fallimento del proprio matrimonio e intrapreso una nuova unione: accompagnare, discernere, e includere. L’accompagnamento è il compito fondamentale di una Chiesa che è maestra in quanto è madre, e quindi chiamata a curare i feriti con misericordia. Il discernimento è il compito dei pastori e di chi collabora con essi. Si tratta di evitare di essere “stolti e lenti di cuore” (Lc 24,25) come i due di Emmaus, non riconoscendo in quella persona ferita Gesù che ci passa accanto, o amalgamando con atteggiamenti confusi ed erronei situazioni completamente differenti. L’inclusione è l’atteggiamento delle parabole della misericordia; in particolare, della donna che si lascia illuminare dalla lampada e, ritrovando la dracma perduta, le restituisce tutto il suo valore (cfr. Lc 15,8-10). In definitiva, ciò che è davvero cambiato, è la richiesta di uno sguardo nuovo alla comunità dei credenti, perché si abbandoni un atteggiamento giudicante verso le famiglie ferite, coniugando efficacemente verità e misericordia. Solo chi è in conversione può guidare l’altro nel cambiamento del cuore, altrimenti si è “ciechi e guide di ciechi” (Mt 15,14). Con questo sguardo intriso di tenerezza si potranno anche indicare percorsi penitenziali che, in determinate circostanze, aprano la possibilità di accedere alla Comunione eucaristica, ma, prima di tutto c’è una comunione di abbracci da inaugurare.

Quale messaggio rivolge la Chiesa alle famiglie “spezzate” in quanto è venuto a mancare un componente?

Mi sembra che il n. 19 descrivendo le famiglie che soffrono la vedovanza e il n. 20 che invita ad una pastorale di accompagnamento per chi ha vissuto un lutto nella propria famiglia, mostrino la via da percorrere nella luce del mistero pasquale. Il nostro Dio si è fatto carne a Nazareth in una famiglia con tante vicissitudini, già nel nascere escluso da coloro che abitavano gli alberghi, per poi emigrare in Egitto per difendersi da Erode, fino alla morte in croce, strappato alla madre e ai suoi cari. L’incontro con la Maddalena nella grotta della resurrezione, illumina però una via di speranza, e “passando per la valle del pianto la cambia in una sorgente” (Sal 84,7). Lì ci sono le lacrime di ogni mamma che ha perso il figlio, di ogni donna che ha perso il coniuge. Nello sguardo della fede, il dolore straziante può trasfigurarsi e la ferita diviene feritoia di luce. Credo però che il primo avvertimento da avere è di non lasciar sole queste persone, individuando magari una famiglia che possa “adottare” per un certo tempo quella famiglia lacerata dal dolore. In queste situazioni occorrono però samaritani che abbiano umiltà, delicatezza e prudenza speciali, perché talvolta una persona ferita non la puoi nemmeno abbracciare; rischi infatti di farle molto male. È necessaria quella che papa Francesco in Evangelii Gaudium chiama “la forza rivoluzionaria della tenerezza”.

Si parla anche dei corsi di preparazione al matrimonio, definiti talvolta “poveri di contenuti”. Si sta lavorando alla Cei per migliorare, magari anche per rinnovare, questo tipo di catechesi?

La Relatio Sinody dipinge la famiglia come “fabbrica di speranza” e sollecita le comunità ad un nuovo annuncio del vangelo del matrimonio, realmente efficace per questo tempo. Già negli ultimi anni molte diocesi hanno rinnovato i percorsi di preparazione alle nozze alla luce degli Orientamenti sulla preparazione al matrimonio e alla famiglia della Cei. Fra poco, mossi dalle recenti catechesi di papa Francesco sull’amore in famiglia, partiremo con un corso mensile on-line per animatori degli itinerari di preparazione al matrimonio: abbiamo già migliaia di iscritti da tutta Italia e anche dall’estero. Si tratta di formare piccole equipe dove sacerdoti e sposi accompagnano nell’avventura dell’amore. Il segreto è mostrare il matrimonio non tanto come un giogo di obblighi o divieti, ma come una vera Grazia e illuminare la famiglia come una chiamata alla pienezza di vita e alla felicità: Cristo guarisce il cuore umano e rende possibile amarsi per sempre. Ai corridori, ancor più che insegnare a vincere, occorre mostrare che è possibile rialzarsi dalle cadute dicendo ogni giorno permesso, grazie, e scusa al proprio coniuge come al proprio figlio, e anche alla propria suocera. In Italia, la presenza numerosa di persone già conviventi che si preparano alle nozze ci chiede una nuova sensibilità pastorale, capace di mostrare il volto di una Chiesa accogliente e gioiosa, che non vedeva l’ora di ri-incontrare i suoi figli.

Un richiamo è anche alla “libertà della Chiesa di insegnare la propria dottrina” e al “diritto all’obiezione di coscienza da parte degli educatori”. Secondo lei, in Italia qual è la situazione riguardo questi due aspetti?

Si
amo in un contesto culturale che è profondamente cambiato ed emerge in modo evidente la difficoltà di educare alla vita buona del vangelo in questo tempo. Eppure, è proprio questa la sfida: custodire una profonda simpatia per l’umano e, come diceva il Beato Paolo VI nell’enciclica Ecclesiam Suam, “venire a dialogo col mondo in cui ci si trova a vivere”. Ci stiamo preparando al Convegno decennale della Chiesa Italiana che si terrà dal 9 al 13 novembre a Firenze sul tema “In Gesù cristo il nuovo umanesimo”. Sono convinto che le famiglie credenti, come agli albori della cristianità, siano chiamate ad umanizzare gli ambienti, talvolta anche con scelte controcorrente, ma soprattutto costruendo ponti, piuttosto che innalzando muri. Ricordo una famiglia di Vicenza che, con grande mitezza, ha dovuto spiegare ai genitori dei compagni del proprio figlio i motivi per cui lui non partecipava, all’interno della scuola elementare che frequentava normalmente, al corso di educazione sessuale. Ne è nato, fra i genitori e insegnanti, un dialogo sereno e molto profondo. Di lì è scaturita, da parte degli organi competenti, una rielaborazione dell’impostazione del corso. A volte, in famiglia come nella società, la testimonianza mite e silenziosa ha un efficacia sorprendente ed è Vangelo puro.

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Federico Cenci

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