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Santa Marta: "Poveretto Giuda, il 'vescovo' dalla doppia vita, che non ha riconosciuto le carezze di Dio"

Nella Messa mattutina, il Papa riflette sulla figura della “pecora smarrita”

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È un “giudice”, Dio. Ma un giudice buono. Un giudice “pieno di tenerezza” che “fa di tutto per salvarci”. Che non viene “a condannare ma a salvare”, come ha fatto con Giuda “la pecora smarrita più perfetta nel Vangelo”, “un uomo che sempre, sempre aveva qualcosa di amarezza nel cuore, qualcosa da criticare degli altri, sempre in distacco. Non sapeva la dolcezza della gratuità di vivere con tutti gli altri”. Gesù però ama anche lui e nell’orto degli ulivi lo chiama “Amico”, perché Egli “non ama la massa indistinta”, ma ci ama personalmente “per nome”, per “come siamo”. Con tutti i nostri peccati.

Un’omelia particolarmente intrisa di misericordia quella di Papa Bergoglio oggi, a Santa Marta. Il Pontefice si rivolge a tutte le pecore smarrite (o coloro che si sentono tale) a pascolo nel mondo di oggi, lontane da Dio perché non conoscono o riconoscono le sue “carezze”.

La pecora smarrita “non si è persa perché non aveva la bussola in mano. Conosceva bene il cammino”, chiarisce il Papa, si è persa perché “aveva il cuore malato”, perché accecata da una “dissociazione interiore” e fugge “per allontanarsi dal Signore, per saziare quel buio interiore che la portava alla doppia vita”.

Una doppiezza che non permette di sentirsi a proprio agio nel gregge del Signore e che spinge quindi a fuggire. Sono tanti oggi quelli che vivono così: “Tanti cristiani, anche, con dolore, possiamo dire, preti, vescovi…”, osserva il Papa, ricordando che Giuda stesso “era vescovo, era uno dei primi vescovi, eh? La pecora smarrita. Poveretto! Poveretto questo fratello Giuda come lo chiamava don Mazzolari, in quel sermone tanto bello: ‘Fratello Giuda, cosa succede nel tuo cuore?’”.

L’apostolo traditore “non era un uomo soddisfatto”, commenta Francesco, “scappava. Scappava perché era ladro, andava per quella parte, lui. Altri sono lussuriosi, altri… Ma sempre scappano perché c’è quel buio nel cuore che li distacca dal gregge”. Per questo “noi dobbiamo capire le pecore smarrite. Anche noi abbiamo sempre qualcosina, piccolina o non tanto piccolina, delle pecore smarrite”. Anche perché, sottolinea il Papa, non si tratta tanto di “uno sbaglio” quanto di “una malattia che c’è nel cuore e che il diavolo sfrutta”.

In tal senso Giuda, con il suo “cuore diviso, dissociato”, è “l’icona della pecora smarrita” che il pastore va a cercare. Lui però non lo ha capito e “alla fine quando ha visto quello che la propria doppia vita ha fatto nella comunità, il male che ha seminato, col suo buio interiore, che lo portava a scappare sempre, cercando luci che non erano la luce del Signore ma luci come addobbi di Natale, luci artificiali, si è disperato”. E si è impiccato, “pentito”, come dice la Scrittura.

“Io credo che il Signore prenderà quella parola e la porterà con sé, non so, può darsi, ma quella parola ci fa dubitare”, evidenzia Bergoglio. “Ma quella parola cosa significa? Che fino alla fine l’amore di Dio lavorava in quell’anima, fino al momento della disperazione. E questo è l’atteggiamento del buon pastore con le pecore smarrite”.

Questo è “il lieto annuncio che ci porta il Natale” e “che ci chiede questa sincera esultanza che cambia il cuore, che ci porta a lasciarci consolare dal Signore e non dalle consolazioni che noi andiamo a cercare per sfogarci, per fuggire dalla realtà, fuggire dalla tortura interiore, dalla divisione interiore”.

Dio porta le sue carezze, rimarca il Pontefice. “Chi non conosce le carezze del Signore non conosce la dottrina cristiana!”, esclama, “chi non si lascia carezzare dal Signore è perduto!”. Questa è “la gioia” che cerchiamo: “Che venga il Signore con la sua potenza, che sono le carezze, a trovarci, a salvarci, come la pecora smarrita e a portarci nel gregge della sua Chiesa”.

Dunque, incoraggia il Santo Padre, chiediamo al Signore la grazia “di aspettare il Natale con le nostre ferite, con i nostri peccati, sinceramente riconosciuti, di aspettare la potenza di questo Dio che viene a consolarci”. Che viene “con potere”, un potere che non è altro che “tenerezza”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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